Kultur | Europa

L’Europa è il suo orizzonte

Attraverso le finestrelle della torre di guardia del campo di sterminio di Birkenau, in Polonia. E l’Oggi che si collega con la Storia.
Birkenau
Foto: Pixabay

In occasione della Giornata dell’Europa il Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano e l’associazione Südtiroler Künstlerbund hanno promosso un concorso letterario al quale erano ammessi testi inediti di tutti i generi letterari, in una delle tre lingue provinciali (tedesco, italiano, ladino). salto.bz pubblica le tre opere vincitrici che verranno lette dagli autori in Aula questa settimana, in apertura di seduta del consiglio provinciale. Nel suo testo Elisa Caneve, insegnante 26enne delle scuole medie, racconta di quando, nel 2017, ha accompagnato un fotografo sulla torre di guardia del campo di sterminio di Birkenau.

 


 

05 febbraio 2017

"Eli, puoi accompagnare tu il fotografo sulla torretta di Birkenau?" Certo. Certo che lo posso fare. Sul momento non ci ho nemmeno pensato, in effetti. Non lo conoscevo e non ci siamo nemmeno parlati, forse non l'avremmo fatto comunque. Lui fotografa. Io faccio qualche passo in giro per la torretta, ma sento che qualcosa è cambiato. Non sto più mettendo i miei piedi sulle impronte degli oppressi del mondo, non sto calpestando il pavimento freddo delle baracche, non sono in fila per un pezzo di pane, ho messo il piede nel preciso punto in cui l'ha messo una, due, trecento SS prima di me. Ho le scarpe sporche di sangue. Non ho più voglia di camminare, anzi non ho proprio voglia di stare qui. Guardo il fotografo, fotografa. A passi lunghi mi avvicino alle tante finestrelle, per un senso di dovere, per distrarmi, non so. Sono sulla torretta di Birkenau. Guardo attraverso il vetro. Vedo un formicaio di corpi magri e grigi sotto di me. Sotto i miei piedi. Chiudo gli occhi, li riapro. Sotto di me ci sono gruppi di ragazzi accompagnati dalle loro guide. Fa molto freddo anche qui, chissà se le SS si portavano una stufetta. Appoggio o non appoggio la mano sulla maniglia della finestrella? Chissà da quanto tempo non entra del vento quassù. Alzo la mano, si fa sottile, allungata, bianca, tedesca. Sono un uomo, sono giovane e biondo, obbedisco agli ordini. I corpi grigi sono di nuovo sotto i miei piedi. Chiudo gli occhi, li riapro. Sono tornati i giovani, le loro guide. Abbasso con sgomento la mano. La finestrella rimane chiusa. Il fotografo fotografa. Anzi peggio, credo stia facendo un video. Ci vorrà molto? Faccio qualche passo all'indietro, verso le finestrelle che danno sull'uscita del campo, o meglio sull'entrata. In effetti esistono entrate che non per forza sono uscite. Mi sembra un concetto davvero geniale, eppure è una cosa abbastanza ovvia, mi correggo. Avvicino la mia faccia al vetro, sempre attenta a non toccare assolutamente nulla. Ecco, respiro! Ci sono campi, case, parcheggi. Peccato solo per quei binari, ma respiro. Guardo in basso, verso l'entrata/uscita. C'è un gruppetto di miei amici, siamo già stati insieme ad Auschwitz e Birkenau. Veramente siamo stati anche a Srebrenica e Sarajevo. E a Jasenovac. Insieme. Ma io ora sono su una maledetta torretta perché sì, il fotografo io lo posso accompagnare. Uno di loro alza lo sguardo proprio verso di me, occhi negli occhi. Forse è la prima volta nella storia che due amici si vedono attraverso le finestrelle della torretta di Birkenau. Cerco di accennare un sorriso, tiro le labbra in tutti i modi, penso mi esca un ghigno strano, forse nemmeno quello. Neanche lui sorride. Io sono in cima ad una torretta, ho le scarpe sporche di sangue. Lui ha i piedi sulle impronte degli oppressi del mondo. Non ci possiamo sorridere. Sarebbe a-storico. Sento le mani allungarsi, i capelli farsi biondi, mi sto alzando. Me ne devo andare. Devo prendere quel maledetto fotografo e dirgli che mi ha rotto le scatole, che non c'è tempo. Ma lui non si è sporcato le scarpe? Mi volto, è sempre lì che fotografa. Non ci siamo ancora parlati, devo solo dirgli che il tempo è scaduto. Faccio qualche passo, sono un giovane uomo biondo. Porca miseria, di nuovo. Scheisse. Ich bin eine SS. Porca miseria fotografo girati e guardami, non posso parlare. Non capisci? Wir müssen gehen. Es ist spät.
Mi avvicino a lui velocemente, ho pure gli stivaletti come quelli delle SS. Ich bin verärgert. Sono accanto al fotografo. Tiro fuori il cellulare. Scatto una foto. È un attimo, ho finito. Ci vuole solo un attimo sottolineano i miei occhi mentre mi volto a guardarlo. Mi sto abbassando, ma ho ancora i capelli biondi e chissà, forse se parlassi parlerei in tedesco. Gli mostro solo il badge speciale che ci ha permesso di salire sulla torretta.
Es ist spät. Hai capito fotografo dei miei stivali? È TAR-DI. E io devo tornare giù a mettere i miei piedi sulle impronte degli oppressi del mondo.

02 febbraio 2018

Quest’anno per me niente Krakow Plaszow; sono a Bologna, sto scrivendo la mia tesi triennale, sento una forte malinconia, va bene così. Nel pomeriggio però vado al doposcuola delle Guinizzelli. Insegno italiano per una cooperativa che si prende cura di minorenni con background migratorio, ci occupiamo inoltre dell'aiuto compiti per quanti sono in difficoltà, anche italiani naturalmente. C'è un ragazzo, è in terza media ma è stato bocciato, è nato a Bologna, credo abbia 14 anni. È un po' sconsolato perché deve svolgere una ricerca. Quest'anno ha gli esami. La prof con leggerezza gli ha detto di fare una ricerca sul suo paese. Lui a scuola non brilla, ma non è affatto stupido. "Intende sul paese dei miei genitori?" mi ha detto di aver chiesto alla prof. Lei gli ha risposto "ma sì, sull'Africa". Mi guarda con gli occhi un po' molli e commenta solo "A quel punto non le ho nemmeno chiesto se il lavoro lo voleva sull'Eritrea, dove è nata mia madre, o sulla Somalia, dove è nato mio padre. Che facciamo?" E infatti, che facciamo, porca miseria? "Senti" gli dico, "rileggimi la consegna". "Una ricerca sul mio paese". Ci guardiamo. Lui a scuola non brilla, ma non è affatto stupido. Iniziamo a scrivere una ricerca a base di ragù, portici e colli. Di pizza, musica e mare. Bologna è la sua città. L'Italia è il suo paese. L’Europa il suo orizzonte. Il mio piede è vicino al suo. Il mio piede è sotto la torretta di Birkenau.