Wirtschaft | Fondi strutturali

“L’Italia può diventare perno dell'UE”

L’approvazione del Next Generation EU può cambiare gli assetti futuri dell’Unione europea (e anche dell'Euregio): intervista a Davide Maffei, ricercatore dell'Eurac.
Davide Maffei
Foto: EURAC Research

Alla notizia dell’approvazione del nuovo programma di fondi dell’UE, denominato Next Generation EU (NGEU), da più parti si sono susseguite dichiarazioni di sollievo e soddisfazione per l’approccio che le istituzioni europee hanno deciso di adottare. In molti sperano che il NGEU possa segnare un cambio di prospettiva per l’Unione e dare inizio ad una fase di maggiore coesione tra i vari paesi; ma se la pandemia ha permesso di comprendere che ormai le complesse situazioni, alle quali far fronte, richiedono una prospettiva che valichi i confini nazionali, nell’Unione permangono ancora differenze, a volte sostanziali, tra i vari Stati membri. Le opportunità di questo programma rappresentano però un’occasione fondamentale e il suo eventuale successo, o fallimento, aprirà sicuramente una nuova fase. Ne discutiamo con Davide Maffei, ricercatore presso Eurac Research, nell’istituto per il Management pubblico.

Salto.bz: Dottor Maffei, l’UE ha risposto bene alla pandemia, dimostrando una certa solidarietà, pensa che questo esperimento possa aumentare la sua coesione?

Davide Maffei: Nonostante all’inizio della pandemia l’UE si sia mostrata titubante e sia partita in ritardo rispetto a quanto ci si aspettasse, ha dimostrato poi di saper dare un’importante svolta positiva, che ha portato a varare un piano imponente. L’esperienza europea insegna che l’UE tende a ripetere gli esperimenti positivi e se il NGEU dovesse concludersi con successo potrebbe portare ad alcuni cambiamenti. Si inizia già a parlare di debito comune tra i vari membri ma alcuni Stati, come Austria o Paesi Bassi, hanno ribadito che il NGEU rappresenta un’esperienza unica, legata alla eccezionalità della situazione pandemica, limitando quindi la prospettiva di chi ipotizza già un ulteriore accentramento delle competenze monetarie. Il piano ha comunque un orizzonte temporale di media durata (la conclusione è prevista per il 2026), vedremo come proseguirà la politica nell’Unione in questo periodo.

I problemi che i cittadini britannici stanno affrontando per via della Brexit sono un ulteriore incentivo a rimanere nell’UE?

La lezione della Brexit sta sicuramente ridimensionando le velleità del fronte antieuropeo. Il Regno Unito, per ora, sembra essere molto più colpito dalle sue conseguenze negative rispetto all’UE. I nodi da risolvere sono molti, in quasi tutti gli ambiti, dalla pesca, agli approvvigionamenti, fino alle procedure alle frontiere, gli Inglesi infatti hanno ripristinato un sistema di controlli per merci e persone e sono costretti a pagare la Francia perché effettui tali controlli su coloro che devono attraversare la Manica. Stiamo comunque parlando di un Paese che non faceva parte dell’Eurozona e non aderiva agli accordi di Schengen, ma che sta comunque subendo cambiamenti drastici e che sta pagando in maniera maggiore la situazione pandemica. Considerando gli atteggiamenti e le scelte politiche del paese all’interno dell’Unione, diversi analisti concordano nel dire che, se l’UK avesse fatto ancora parte dell’UE, il Recovery Plan non ci sarebbe stato o comunque non sarebbe stato così incisivo. Si inizia inoltre a parlare di maggiore coesione anche nella politica estera e di difesa dell’UE, mentre le precedenti spinte autonomiste del Regno Unito aveva fatto naufragare anche i timidi tentativi in questa direzione.

L’Italia è il paese che più beneficia dei fondi del NGEU e in molti affermano che l’Italia sia un sorvegliato speciale, se non saremo in grado di spendere attentamente i soldi e fare le riforme sarà un duro colpo alle prospettive più solidaristiche dell’UE?

Sicuramente c’è un’attenzione particolare, vista la fetta da 192 miliardi che negli anni siamo destinati a ricevere e questo richiede una serie di riforme importanti, da quella della giustizia a quella della pubblica amministrazione (PA), alle quali siamo vincolati perché i fondi siano sbloccati. La prima tranche di aiuti è già arrivata ed è servita soprattutto a finanziare dei progetti già approvati, precedenti alla pandemia; diversi Paesi hanno inserito nei propri PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) progetti che erano già in cantiere, perché la velocità con la quale sono arrivati i primi soldi ha richiesto celerità anche nella presentazione della prima parte del piano. Come detto però, il NGEU compre un tempo abbastanza ampio e si potranno varare varie riforme strutturali, con il giusto indirizzo politico. Draghi gode di ampio consenso all’interno dell’Unione e nelle sue istituzioni e, visto anche il vuoto lasciato dal ritiro di Angela Merkel dalla scena politica, l’Italia può diventare il perno di stabilità dell’Unione.

Questi fondi quindi viaggeranno in parallelo con i fondi strutturali che l’Unione Europea già erogava o ci sarà una sostituzione?

Non si può parlare di sostituzione completa, anche perché i fondi strutturali vengono erogati sulla base di piani pluriennali che non sono stati cancellati. Il NGEU si basa poi su un diverso sistema di finanziamento, con un meccanismo di debito comune finanziato a tassi bassi, visto l’alto rating di cui gode l’UE nel settore finanziario. I fondi precedenti non vengono quindi eliminati, ma integrati dal nuovo programma. C’è un cambio di priorità che tenta di bilanciare le riforme strutturali richieste nel PNRR con gli interventi precedenti già programmati e ci sono investimenti che ricadono in entrambe le categorie di fondi, come nel caso del GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori).

Il PNRR ha stabilito come prioritari alcuni obiettivi per tutta Italia, ci sarà una differenza d’investimento tra i vari territori?

Durante la pandemia il divario tra nord e sud è cresciuto e questo rappresenta un nodo importante per tutto il Paese. Proprio per questo motivo il 40% dei soldi del PNRR è destinato al Mezzogiorno, per tentare di rimediare a quelle carenze, soprattutto infrastrutturali, che pregiudicano gli investimenti, anche stranieri. Il restante 60% si occupa comunque dell’intero territorio e anche la Provincia di Bolzano ha presentato un piano di 2,4 miliardi di euro che verrà in parte finanziato dal PNRR e in parte da fondi provinciali. Il Presidente Kompatscher ha inoltre dichiarato che una parte consistente (circa 28 miliardi di euro) andrà a Ferrovie dello Stato per ridefinire la mobilità in un’ottica più sostenibile: il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta hanno, in Europa, il numero relativo più elevato di auto di proprietà. Per quanto la difficoltà del trasporto pubblico in queste due regioni si scontri con la complessità morfologica di valli e montagne, il tentativo di ridisegnare la mobilità si inserisce appieno nella transizione ecologica prevista nel NGEU.

Un altro punto importante è quello della digitalizzazione, soprattutto della PA. La Provincia di Bolzano come si colloca in questo settore?

Come per il resto d’Italia, anche a Bolzano l’età media degli impiegati pubblici è abbastanza elevata. Questo provoca spesso una mancanza di competenze in campo informatico che rallenta il settore e rende più difficile l’accesso per gli utenti. In questo senso però, la pandemia ha accelerato il processo, perché in poco tempo si è data una forte spinta allo smartworking e, di conseguenza, a tutte le procedure digitali. Ci si è poi finalmente accorti di quanto l’innovazione digitale sia necessaria per la semplificazione ed il rapporto con gli utenti, soprattutto per le piccole e medie imprese, particolarmente numerose nel nostro territorio, che a volte non hanno le competenze necessarie per districarsi nell’intricato mondo dei regolamenti, come nel campo della richiesta dei fondi strutturali. Bisogna però ricordare che la provincia è disseminata di comuni non particolarmente grandi, che da soli non riuscirebbero a compiere la digitalizzazione, serve quindi una cooperazione tra amministrazioni, che aiuti anche gli enti più piccoli.

Infine un confronto con l’Austria. Il Trentino-Alto Adige fa parte della macroregione Euregio che comprende anche il Tirolo, come cambierà il paese austriaco in seguito al NGEU?

È difficile fare un confronto perché c’è un’ampia diversità tra i nostri finanziamenti e quelli austriaci, che saranno di soli 3,46 miliardi (l’Italia ne riceverà 192); in Austria c’è quindi un dibattito molto minore sul tema e a cambiare sarà soprattutto il nostro territorio. Ci sono però più investimenti nel campo della mobilità e da poco è stato varato l’Euregio pass che permette di utilizzare tutti i mezzi pubblici nelle 3 province ad un prezzo agevolato. L’Austria spinge poi per l’alta velocità/alta capacità sulla linea del Brennero, già ampiamente finanziata dall’UE (circa il 50% dei costi del tunnel di base sono sostenuti dall’Unione) ma le procedure per la sua costruzione procedono a rilento nella parte tedesca, mentre l’Italia ha già appaltato il primo lotto. È ancora presto per dire se il NGEU porterà ad una maggiore collaborazione tra i territori sul confine italo-austriaco, le due regioni però sembrano capirsi sempre meglio, condividono l’ufficio a Bruxelles e dimostrano una certa vicinanza anche presso le istituzioni.

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Karl Trojer Mi., 13.10.2021 - 09:08

Um eine zukunftsfähige Weiterentwicklung der EU zu gewährleisten, müsste, meines Erachtens, vor allem das Vetorecht der einzelnen Staaten durch Mehrheitsentscheide abgelöst werden. In einer effizienten Gemeinschaft erscheint mir ein Vetorecht nur dann gerechtfertigt zu sein, wenn die von allen ehedem beschlossenen Grundwerte angegriffen werden. Damit das europäische Wertesystem überlebensfähig bleibt, bedarf es einer gemeinsamen Außenpolitik, der Löschung interner Steueroasen und zu starker Unterschiede in der Besteuerung, einer gemeinsamen Verteidigungsstrategie und einer umfassenden Einbindung der Jugend mit Wahlrecht ab 16 Jahren.

Mi., 13.10.2021 - 09:08 Permalink