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Montanelli fu la regola, non l’eccezione

“Noi, brava gente, gli abbiamo fatto le strade”. Perché l’Italia non riesce a fare i conti con il proprio passato coloniale? L’intervista allo storico Francesco Filippi.
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Foto: Salto.bz

Nel processo di costruzione e modellamento della memoria collettiva italiana abbiamo tralasciato volutamente il macigno dell’età coloniale. Rimossa, sminuita, giustificata. La parentesi colonialista è stata in realtà il fenomeno più lungo e coerente della nostra storia nazionale. Un fenomeno esasperato dal Fascismo ma cominciato molto tempo prima e durato quasi un secolo. Lo storico Francesco Filippi nel nuovo libro “Noi però gli abbiamo fatto le strade” racconta le colonie italiane dimenandosi tra razzismi, bugie e rimozioni storiche, smontando ancora una volta il mito degli “italiani brava gente” e restituendo in un lavoro puntuale quanto necessario i crimini e le responsabilità. 
Il libro verrà presentato oggi (18 novembre) alle ore 19.30 presso lo spazio autogestito 77 di Via Dalmazia. 



salto.bz: Filippi, come si caratterizza il colonialismo italiano?

Francesco Filippi: Nella galassia dei colonialismi europei, quello italiano arriva per ultimo perché è l’Italia stessa ad arrivare ultima nell'alveo delle grandi nazioni dell’Ottocento. Stiamo parlando di uno stato appena nato che si rivolge al resto del consesso internazionale cercando di sviluppare una propria politica estera e trovandosi immediatamente in difficoltà di fronte a un’arena piena di altri concorrenti dall’enorme vitalità. Gli altri paesi europei a quell’epoca stavano infatti già colonizzando e occupando militarmente il resto del mondo ma nonostante questo insistiamo per far parte a tutti i costi del treno di testa, quello dei civilizzatori che trionfano sui civilizzati. L’Italia dunque si affaccia allo spettacolo internazionale con una gran fretta e quest’ansia di far parte del club esclusivo dei grandi paesi del mondo si traduce in un modo violento e raffazzonato di occupare terre altrui, nulla a che vedere con il colonialismo pianificato del modello inglese o francese. Si crea dunque una situazione paradossale: la classe dirigente italiana sa di dover fare un’opera coloniale ma non sa il perché e finisce con il condurre un’enorme produzione di propaganda e convincimento coloniale persino maggiore rispetto alle altre potenze che si trovano già in una fase matura del loro imperialismo. 

 

Quale effetto scaturisce la propaganda coloniale di allora sui giorni nostri? 

Si tratta di una produzione massiccia, iniziata dagli anni settanta dell'Ottocento, quindi ancor prima dell’occupazione di territori da parte dell'Italia, e portata avanti fino agli anni sessanta del Novecento. Questa enorme propaganda - che all'epoca era razzista, biologica, brutale, misogina, atta all'occupazione e alla distruzione di territori altrui - ha provocato un effetto strano, una distonia: gli italiani, che di colonie hanno da sempre sentito abbondantemente parlare, a un certo punto si ritrovano privi di possedimenti e dagli anni quaranta in poi questo capitolo non viene più spolverato. Di conseguenza, il popolo italiano si ritrova nell’ultimo settantennio a non avere più a che fare con un reale racconto dell'altro e quando con questo altro ci si trova ad avere a che fare nuovamente l’ultima narrazione che sovviene alle mente di un’Italia che non conosce nemmeno se stessa è quella che è stata sviluppata e messa a punto durante il periodo coloniale. 
Dagli anni novanta in poi l’Italia è terra di immigrazione ed è stato evidente come siano sopravvissuti gli stereotipi forgiati per la colonia a suon di “Chi viene invaso è più debole, che viene invaso verrà sconfitto e cancellato”. Allora, con l’Italia liberale prima e il fascismo dopo, erano i sinonimi della capacità dell’uomo bianco di occupare terre altrui, oggi vengono vissuti invece con l'etica di chi ha paura di essere colonizzato, con il terrore dell'altro, che ci rubino “le nostre donne” e più in generale con l'incapacità di costruire una relazione con la diversità che vada al di là del “noi” contro “loro” e che continua a dominare il nostro modo di fare e vivere la politica.

In realtà il colonialismo italiano è un evidente tentativo di colmare con ansia e affanno un enorme complesso di inferiorità nei confronti del ruolo che doveva avere l'Italia nel mondo.

Nel tuo libro cerchi di individuare una chiave di lettura complessiva che possa spiegare il perché gli stati, e in particolare quello italiano, vengono spinti a colonizzare e occupare i territori altrui. Una motivazione che non regge in piedi con le sole ragioni economiche. Sei riuscito a darti una risposta?

Credi dì sì ed è drammatica. Vorrei tanto si potesse ridurre il tutto a variabili economiche o culturali, alle ragioni di civiltà tanto sbandierate sulla scia del “fardello dell'uomo bianco” dei Rudyard Kipling di turno, così come dai governi della sinistra storica liberale italiana. In realtà il colonialismo italiano è un evidente tentativo di colmare con ansia e affanno un enorme complesso di inferiorità nei confronti del ruolo che doveva avere l'Italia nel mondo. Non dobbiamo dimenticare che il colonialismo italiano nasce nel momento in cui la biologia razziale è una scienza riconosciuta. Ricordiamoci anche che a cavallo tra Ottocento e Novecento gli italiani che emigrano negli Stati Uniti e che vengono sottoposti alle mappature razziali di ingresso la “razza italica”, in particolar modo con gli italiani del Sud, non viene riconosciuta nemmeno come pienamente bianca. 
Quindi quel senso di inferiorità indotto dall’essere ai margini in una terra dubbia di identità, fa degli italiani dei colonialisti per partito preso. Drammaticamente, le ragioni del colonialismo italiano sono ancora tutte legate al famigerato discorso di Giovanni Pascoli del 1911, quello de “La Grande Proletaria si è mossa”. Ecco, in quel discorso ci sta tutto: Pascoli ammette che siamo un popolo di poveracci, siamo un popolo di gente che ha solo le braccia per campare, un popolo - e lo dice direttamente - che è stufo di essere trattato come i negri. Un inno di un colonialismo triste.

E per certi aspetti anche un colonialismo di sinistra...

Sì questo bisogna dirlo. L'esperienza coloniale, e soprattutto la propaganda che l’ha accompagnata, in Europa si rivela spesso un'azione di sinistra e di stampo progressista. Non la disdegnano i laburisti inglesi, i socialisti francesi né tantomeno la sinistra storica italiana, da Francesco Crispi allo stesso Pascoli. Io credo che quando non si ha altro modo di accontentare un popolo attraverso le riforme sociali, non si ha la capacità di costruire un welfare fonte di benessere e sicurezza, ecco che allora diventa molto più comodo far sognare terre e mondi altrui. Triste, no?

Il titolo del tuo libro riprende una narrazione falsata e ancora dura a morire ovvero che “Noi gli abbiamo fatto le strade”. Perchè continuiamo a ripetercelo?

Quello che mi sconvolge di questo discorso è la miopia protratta e sfacciata che ci caratterizza anche dopo un abbondante secolo di distanza. In quel “Noi gli abbiamo fatto le strade”, emerge sempre il “noi” e “l’altro” e anche oggi, nel 2021, l’altro, il secondo dei protagonisti, non appare mai. Nessuno si chiede perché venivano fatte queste strade, nessuno si chiede per chi fossero i quartieri “bene” di Asmara, le bellissime opere architettoniche di Tripoli. Paradossalmente assistiamo ancora una volta a un racconto di italiani, fatto per gli italiani con gli italiani in cui coloro che italiani non sono risultano semplicemente uno sfondo. È molto offensivo dire “noi gli abbiamo fatto le strade” arrivando addirittura a sostenere che ancora oggi loro utilizzano le strade che gli abbiamo fatto noi. Ma queste strade noi non le abbiamo fatte per loro, non abbiamo chiesto alla popolazione locale che cosa servisse, non abbiamo fatto piani regolatori facendo un'indagine tra le persone che vivevano in quelle terre. Quello che abbiamo fatto è stato semplicemente tracciare delle linee, abbiamo costruito confini che ancora oggi sono fonte di enormi problemi. Abbiamo amalgamato terre secondo una visione eurocentrica, nazionale e ottocentesca. Abbiamo costruito la nostra Africa, è stata costruita la nostra idea degli altri continenti che ancora oggi si rivela essere la lente attraverso cui noi leggiamo quei territori. Ecco perché siamo ancora colonialisti, anche dopo settant'anni, perché continuiamo a dire che gli abbiamo fatto le strade. Ebbene sì, le abbiamo fatte, ma solo per occuparli meglio.

Questo modo di fare la guerra, porta il colonialismo italiano ad essere particolarmente machista, violento e brutale


Le colonie italiane sono anormali anche, paradossalmente, per i pochi coloni. Si tratta di occupazioni maschili, sotto forma di controllo militare. Perché non fummo davvero il “posto al sole” tanto decantato dalla propaganda coloniale? 

In generale il fenomeno coloniale è un fenomeno di maschi contro maschi. Tutti i fenomeni coloniali della storia corrispondono a un'occupazione di terre altrui portata avanti da una casta di guerrieri nei confronti di altri guerrieri e i maschi sconfitti perdono i diritti su quello che hanno, di solito la Terra e le donne. Per quanto riguarda il colonialismo italiano nello specifico, si caratterizza per essere particolarmente maschile e maschilista. Mi spiego meglio: gli italiani non riescono a produrre un'amministrazione civile nelle proprie colonie perché è una cosa che costa e la si fa solo se si ha un tornaconto. Le colonie italiane sono dei buchi nel bilancio dello Stato italiano. Nessuna delle colonie, sin dal principio, riesce ad essere autosufficiente con la propria tassazione, non hanno reso nulla all'erario italiano, restano anzi delle spese. Lo Stato italiano, povero già in partenza, porta così avanti un'opera di colonizzazione "al risparmio", affidando una parvenza di amministrazione civile all'esercito, cioè all'organo dedito alla violenza che ha sconfitto e soggiogato i locali fino a quel momento. Questo modo di fare la guerra, porta il colonialismo italiano ad essere particolarmente machista, violento e brutale. I contatti diretti con la popolazione civile quando ci sono, come nel 1935 quando i soldati sono stati mandati in Eritrea con l'intento di invadere l'Etiopia, sono soprattutto di tipo sessuale, con centinaia di migliaia di giovani maschi italici che al canto di Faccetta Nera si prendono quello che pensano essere di loro diritto, cioè le donne del luogo, indipendentemente dal fatto che lo vogliano o meno. Su questo ha influito un'idea scientifico-biologica che purtroppo è ancora presente in molte narrazioni pubbliche, cioè il fatto che la donna nera non sia inferiore in quanto donna ma essendo inferiore anche in quanto nera, ha dei tratti di animalità molto più marcati che si ripercuotono sul concetto di sensualità e di sessualità a tal punto che un soldato italiano non può credere che una donna nera gli dica veramente di no.

Qualche colono alla fine è arrivato però...

Sì, ma l'ideale di colonia di ripopolamento arriva molto tardi in maniera molto precaria. In Libia arrivano letteralmente dei deportati dal regime fascista, circa 120.000 coloni, i cosiddetti civili che in realtà sono degli occupanti di terre non proprie, difesi da un apparato dell'esercito, che si trovano in Libia per cercare di "far fiorire il deserto" come dice la propaganda di allora ma che rimangono e sono sostanzialmente dei corpi estranei nella società locale tant'è vero che quando finisce la guerra, nel 1943, e smettono anche le sovvenzioni dello Stato italiano i coloni se ne vanno molto velocemente. Basti pensare che nel 1970, per pure ragioni nazionalistiche, il dittatore Gheddafi caccerà gli italiani nel famoso e famigerato "Giorno dell'odio" saranno 20.000 e non più 120.000 gli italiani che se ne andranno. Diciamo che la colonia italiana vuole essere tante cose tra cui, per esempio, l'Eldorado in cui nostri braccianti hanno il diritto di restare. Purtroppo in realtà si tratta di una esperienza in cui per 80 anni l'unico modo in cui gli italiani si fanno conoscere in colonia è attraverso le divise, o peggio, attraverso le armi spianate.

Il concetto di masse senza storia è un'esportazione brutale che va a braccetto con l'idea di essere superiori agli altri e che accompagna tutti i colonialismi nazionali


La colonizzazione ha portato all’annullamento anche delle peculiarità dei territori occupati a tal punto che si comincia a parlare di masse senza storia,, se non quella che abbiamo appositamente scritto per loro. Come è stato possibile?

Il concetto di masse senza storia è un'esportazione brutale che va a braccetto con l'idea di essere superiori agli altri e che accompagna tutti i colonialismi nazionali. Si arriva in una terra che viene considerata terra di nessuno in cui non ci sono possessi legittimi banalmente perché non si rispettano le forme di diritto consuetudinario presenti attraverso un'occupazione militare che viola le stesse regole del diritto internazionale. Per quanto riguarda il colonialismo italiano questo è chiaro soprattutto con la divisione delle terre che si occupano, territori appartenenti a popolazioni dedite alla pastorizia e quindi al nomadismo o a spostamenti stagionali in cui si tracciano confini fissi marcati dal filo spinato senza comprendere che l'economia di quei luoghi era basata invece sugli spostamenti imponendo loro invece il modello dello stato nazione. E qui non è più una questione di cattiveria, è proprio una questione di miopia nei confronti di ciò che l'altro è un non è l'incapacità di distinguere i comportamenti dell'altro nei comportamenti di civiltà. Il concetto di masse senza storia è stato proiettato in maniera così brutale che perdura tuttora. Noi continuiamo a parlare dell'Africa come fosse un paese e non come un continente di 54 Stati. Le vicissitudini travagliate che stanno vivendo dall'ultimo settantennio sono da imputare soprattutto alle divisioni arbitrarie che gli europei hanno imposto a quel continente, obbligando a  convivere con queste condizioni e contraddizioni i popoli assoggettati. Per non parlare del genocidio culturale che è stato portato avanti per secoli delle intere civiltà schiacciate da un racconto a senso unico secondo cui la civiltà era una e una sola, ma soprattutto era bianca.


Il caso di Indro Montanelli che durante la sua permanenza nelle colonie ha acquistato una moglie-bambina è stato il caso mediatico più rumoroso a tal punto da sembrare quasi un episodio estremo ed isolato. Nel libro, tuttavia, riporti diversi casi di violenze e sopraffazione portate avanti dai soldati italiani contro le donne del luogo, se non addirittura bambine. Possiamo parlare dunque di normalità?

Bambine è il termine più corretto da usare. Si preferivano le bambine perché si riteneva che fossero vergini e pertanto meno pericolose dal punto di vista delle malattie. Indro Montanelli non è assolutamente un'eccezione, Montanelli era la regola. La cosa ancora più sconvolgente e raccapricciante è che ancora oggi non si riesce a scalzare questa visione. Purtroppo Montanelli l'ha descritta bene a tal punto che quelle centinaia di migliaia di reduci, i famosi "nostri nonni" come si direbbe ora, non solo ci si sono riconosciuti ma hanno trovato delle formidabili pezze d'appoggio per scusare quello che hanno fatto durante la loro permanenza: “In Africa sono già donne, in Africa si usa così. Chi va in quelle colonie per essere davvero maschio deve fare determinate cose”. Le testimonianze che ci sono arrivate e che ho provato a riportare nel libro sono drammatiche. Il caso più famoso è quello della ragazzina urlante legata a croce di Sant'Andrea ad un carro armato, stuprata a turno e penetrata con un proiettile di mortaio perché bisognava farle conoscere la vera forza del maschio italico. La canzone di Faccetta Nera non è altro che un inno allo stupro, che ha accompagnato per anni centinaia di migliaia di ragazzini maschi a vivere le loro prime avventure sessuali in quella terra pensando di avere il diritto e il potere di fare tutto. Abbiamo convinto questi ragazzini vestiti in grigio-verde ad andare in colonia, a viverla come fosse una bella avventura. Come potevi viverla diversamente se a 20 anni, dopo aver passato tutta la vita nel raggio di dieci chilometri dalla porta di casa, ti danno il potere sotto forma di fucile, il diritto sotto forma onnipotenza dovuta al fatto di appartenere ad una razza superiore? 


La deficitaria narrazione del nostro passato prende in considerazione frammenti sconnessi in cui veniamo visti come le vittime o comunque assolti dalle responsabilità della storia. Perché ancora oggi sopravvive la narrazione degli “Italiani brava gente”?

Io credo in Italia ci sia un'enorme enorme capacità di fare memoria selettiva cioè, tagliare con l'accetta dei pezzi di passato che fanno comodo dimenticandone o addirittura insabbiandone altri per evitare di fare i conti con un passato che vuole, ha fame di linearità. Per quanto riguarda il colonialismo italiano, in questi anni non si è avuta nemmeno la dignità di trattarlo come un tema a sé stante. Persiste invece una narrazione di “italiani brava gente” che sono quelli narrati, per esempio, da autori come Rigoni Stern quando si racconta la ritirata dalla Russia omettendone l'avanzata e l'occupazione che ha causato milioni di morti e a cui l'Italia ha partecipato. Il colonialismo è una parte di questo autoconvincimento che scaturisce proprio dalla dall'incapacità degli italiani di fare i conti con il grande snodo che va dal '39 al '45. Un esempio emblematico è quando nel 1946, quando De Gasperi si trova alla Conferenza di Parigi e un deputato liberale dell'Assemblea Costituente, scandalizzato, presenta un'interpellanza parlamentare chiedendo il motivo per cui le Nazioni Unite hanno imposto agli italiani di sedersi al tavolo degli sconfitti accanto alla Germania. Già dopo solo sei anni dall’entrata in Guerra si assiste già a una grande incredulità pronta a dare il via a un’opera di rimozione rispetto all'immensa brutalità che ha caratterizzato gli italiani sotto il regime fascista, un’immagine e una visione che nel ‘47 non solo non aveva senso di esistere ma sarebbe stata vergognosa da accettare. Per esempio uno dei miti che girano sugli Italiani brava gente frutto del processo di rimozione è dato dal fatto che essendo gli italiani disorganizzati non avrebbero mai potuto creare un olocausto a differenza dei tedeschi. Qui addirittura si arriva a trovare lo stereotipo dell’indolenza e dell'incapacità degli italiani per usarla a favore del mito che ci siamo creati un mito di brava gente mentre sappiamo benissimo che nei Balcani non mancò né la capacità organizzativa né tantomeno la volontà di sterminio. È drammatico che il racconto pubblico dal 45 in poi dimentichi pezzi della nostra storia e ne esalti altri in modo da costruire un'immagine relativamente buonista a tavolino di italiani che non esistono e in cui risultano sempre e solo vittime, cancellando tutto il resto. Le vittime delle colonie sono i poveri italiani cacciati da Gheddafi senza che nessuno si chieda chi sono questi italiani che cosa ci facessero in Libia. Un altro simbolo incontrovertibile è il Giorno del Ricordo, in cui si raccontano e si ricordano le vittime di un solo attore, ovvero le nostre. Non si parla delle vittime che ci furono in Istria durante la rioccupazione tedesca del 43-44. Non si parla, figuriamoci, delle vittime fatte durante l'occupazione fascista del 42-43. Non si parla della politica anti-slava portata avanti per oltre un ventennio. Sarebbe troppo complicato, troppo doloroso e allora si sceglie. Ecco dunque la caratteristica del colonialismo italiano: essendo troppo difficile da maneggiare si è scelto di non sceglierlo. Nel grande supermercato della storia il bancone delle colonie viene disertato dagli italiani perché è difficile trovarci qualcosa di buono e tutto quello che si riesce a trovare sono il centro storico di Asmara le strade che abbiamo fatto ma è ora di imparare che il passato, nella propria complessità, va letto tutto.
 

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Karl Trojer Do., 18.11.2021 - 09:32

Dieses erste Foto könnte grausamer kaum sein. Lachend zeigen diese Eroberer ihre Beute, ein schutzloses Mädchen, her. Und heute schlägt man als EuropäerIn dem Diktator Lukaschenko vor, die an den polnisch-belarussischen Grenze darbenden Flüchtlinge einfach in ihr Niemandsland zurückzuschicken. Wo bleibt Europa ? Wie absurd : das allermeiste Unheil, das Menschen zu ertragen haben, wird ihnen von Menschen zugefügt....

Do., 18.11.2021 - 09:32 Permalink
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Christian I Do., 18.11.2021 - 13:50

Mi è quasi venuto da vomitare leggendo questo articolo, ma non per l'autore (che anzi ringrazio), ma per le atrocità che queste persone hanno dovuto subire. Ma la frase "Un fenomeno esasperato dal Fascismo ma cominciato molto tempo prima e durato quasi un secolo" è a mio avviso incompleta, perchè lo sfruttamento continua ancora oggi.

Do., 18.11.2021 - 13:50 Permalink
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Hartmuth Staffler Do., 18.11.2021 - 14:02

In Brixen ist immer noch der Alpinioffizier Gennaro Sora, der in Äthiopien 1500 Frauen und Kinder mit Giftgas und Flammenwerfern umgebracht hat, Ehrenbürger der Stadt, weil die italienischen Koalitionspartner darauf bestehen und die SVP ihnen keinen Kummer bereiten will. Sora teilt sich die Ehrenbürgerwürde mit dem emeritierten Papst Benedikt. Das passt vielleicht ganz gut zusammen, denn die katholische Kirche hat die faschistischen Verbrechen in Äthiopien nicht nur toleriert, sondern aktiv gefördert. So wurde von der Kirche die "giornata della fede" organisiert (von den Nazis nach dem Motto "Gold gab ich für Eisen" imitiert), bei der goldene Eheringe gegen eiserne eingetauscht wurden, um den Vernichtungskrieg in Äthiopien zu finanzieren.

Do., 18.11.2021 - 14:02 Permalink
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Alberto Stenico Do., 18.11.2021 - 17:16

Un nuovo quartiere di edilizia sociale a Bolzano ed il parco pubblico annesso sono stati intitolati negli anni scorsi dalla Giunta Comunale di Bolzano (di centrosinistra) all'Ufficiale pluridecorato, Francesco MIGNONE. Le motivazioni della sua Medaglia d'argento, sono le seguenti: "Comandante la Centuria, che prima si impegnò col nemico, con decisa e rapida azione, contribuiva efficacemente a scacciarlo dalle sue posizioni. Lo inseguiva poi nel folto della boscaglia, con vigore e risolutezza alla testa dei suoi Ascari, mantenendosi alle sue calcagna ed IMPEDENDOGLI anche con la lotta corpo a corpo, di riunirsi e di RACCOGLIERE MORTI E FERITI"
- Zavia Es Gaffa (Eritrea), 29 luglio 1913.
Per la verità, la componente tedesca della Giunta Comunale ha chiesto invece di denominare il quartiere e il parco, ROSENBACH, il toponimo storico del luogo. Alla fine si è scelta la denominazione bilingue: Mignone in italiano, Rosenbach in tedesco.

Do., 18.11.2021 - 17:16 Permalink