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Politica | Avvenne domani

Una storia di famiglia

Un racconto in occasione del 1 maggio

Se per caso vi venisse la tentazione di inserire in un motore di ricerca il nome di Silvio Flor, rischiereste, scorrendo i riferimenti, di farvi venire un grosso mal di testa. Difficilmente, in un primo momento, riuscireste a raccapezzarvi tra risultati che sembrano del tutto contraddittori. Per fortuna, a salvarvi, trovereste l’indicazione bibliografica di un bel volume edito qualche anno fa ormai dalla Raetia di Bolzano e ben scritto dalla ricercatrice Klara Rieder. Addentrandovi, se conoscete la lingua tedesca perché il libro purtroppo non è mai stato tradotto in italiano, tra le vicende narrate nelle 244 pagine del volume capirete ben presto che all’origine di tutto il pasticcio c’è una semplice omonimia. Ci sono, nella storia del sindacato e della sinistra di questa nostra terra, tra la fine dell’ottocento e il secondo dopoguerra, ben due Silvio Flor, padre e figlio il cui percorso politico e umano rappresenta come pochi altri i drammi e le vicende di quel periodo.

Vale dunque la pena, in occasione di un 1 maggio così particolare come quello che abbiamo appena vissuto, di rievocarlo seppure in breve.

Il primo Silvio Flor, il padre, nasce a Brez, in Val di Non il 24 agosto 1879. Figlio di una povera famiglia contadina gli tocca la sorte che in quegli anni era comune a moltissimi ragazzi della sua classe sociale. Giovanissimo deve abbandonare la famiglia per cercare lavoro come pastore e poi come giovane apprendista artigiano. Approda a Merano dove avviene il suo incontro con la politica e con il sindacato. Sono gli anni nei quali anche nel vecchio Tirolo le classi più umili, gli operai della nascente industria i piccoli artigiani cercano di organizzarsi per migliorare delle condizioni di vita che erano molto spesso miseranda, scontrandosi con la durissima opposizione del padronato, per nulla disposto a cedere anche solo una parte dei propri profitti. Resta storica la lotta sindacale condotta proprio a Merano, attorno al 1909, dai lavoratori che si oppongono ad una drastica riduzione dei salari decisa dall’organizzazione sindacale dei proprietari dei grandi alberghi. Una battaglia che si svolge nel silenzio totale dell’informazione di allora, ma che convoglia nella città del Passirio personaggi del calibro di Benito Mussolini (allora sindacalista rivoluzionario) e di Alcide Degasperi, che in una domenica di febbraio arringano, ciascuno per proprio conto, gli aderenti alla propria organizzazione e poi si scontrano in un duello oratorio. Di queste lotte, solo raramente coronate da successo, Silvio Flor senior è un protagonista attivo. In quegli stessi anni si è sposato e ha avuto un figlio che ha battezzato col suo stesso nome. Poi arriva la guerra e Flor senior la vive interamente da Vienna dove è stato chiamato per occupare posizioni di prestigio nell’ambito del movimento sindacale austriaco. Rientra solamente dopo il 1918 ed è subito uno dei maggiori esponenti del socialismo del Trentino Alto Adige, rimasto tragicamente orfano della guida di Cesare Battisti. Flor è candidato alle prime elezioni politiche che ammettono al voto anche i cittadini delle terre annesse. Viene eletto alla Camera e partecipa con slancio polemico ai dibattiti che si svolgono dal 1921 in poi, gli ultimi in un Parlamento ancora libero dalla minaccia fascista.

Nel frattempo il figlio è cresciuto in un ambiente ricco di suggestioni come quello della gioventù socialista viennese. Anch’egli, tornato in Italia, si getta nell’agone politico e la sua scelta è quella di aderire, sempre in quel fatidico anno 1921, al neocostituito Partito Comunista Italiano. Si riflette nel microcosmo di una famiglia il travaglio più generale di una sinistra italiana che affronta profondamente divisa è lacerata lo scontro con l’incombente minaccia delle squadre in camicia nera di Benito Mussolini. I due Silvio Flor debbono in un primo tempo lasciare il Trentino e tornare in Alto Adige, poi, nel 1926, la pressione del regime, dopo la promulgazione delle leggi fasciste, si fa insostenibile e diviene quasi inevitabile la fuga all’estero. Per molti fuorusciti l’approdo ideale è quello della Francia. Nel caso dei due Flor la scelta invece è quella di tornare in Austria dove evidentemente possono contare su antichi contatti e collaudate amicizie e dove il giovane Flor lavora come tipografo alla stampa di un foglio di partito. Anche questo esilio, però, è di breve durata. Anche a Vienna sugli esponenti di sinistra inizia a pesare la pressione dei movimenti di estrema destra, con la presenza sempre più minacciosa di quel nazionalsocialismo che va conquistando posizioni su posizioni nella vicina Germania.

È una situazione sempre più difficile che porta ad una spaccatura drammatica. Silvio Flor senior, più che cinquantenne e forse già ammalato crolla. Chiede di rientrare in Italia facendo abiura delle proprie convinzioni. Il regime, benevolo con i pentiti anche per ragioni di propaganda, gli concede il passaporto. Flor senior torna in Alto Adige dove si spegne il 13 aprile del 1938. Tutt’altro destino quello del figlio che invece non ha nessuna intenzione di cedere. Anche per lui, come per moltissimi altri esponenti del comunismo internazionale l’unico approdo sicuro sembra essere quello di Mosca. Nella Russia stalinista Flor frequenta una scuola di formazione, ma poi riprende il suo esilio, passando per diversi paesi tra cui la Francia, cosa che forse gli consente di superare indenne, gli anni delle terribili purghe staliniane che colpiscono in particolare tutti i soggetti appartenenti ai vari partiti comunisti che si trovano in esilio a Mosca. Anche Flor junior, nel 1939, approfittando di un’amnistia rientra in Alto Adige appena in tempo per partecipare alle opzioni. Opta per l’Italia ed entra in contatto con le organizzazioni dei Dableiber.  Dopo l’8 settembre, per sfuggire alle ricerche della Gestapo si rifugia in valle di Non. Rientra a Bolzano solo alla fine della guerra e si presenta con tutti i requisiti per assumere un ruolo di assoluto rilievo nei quadri politici della sinistra. È tra i primi segretari della federazione bolzanina del PCI e assume incarichi direttivi anche nel sindacato. È una situazione che però durerà poco. Flor non nasconde la sua posizione politica assolutamente favorevole alla concessione ai sudtirolesi del diritto di autodeterminazione. È una posizione, che i comunisti italiani avevano affermato in modo netto nel documento approvato nel congresso svoltosi in clandestinità a Colonia nell’aprile 1931 e nel quale si affermava che “Il PCI sostiene il diritto all’autodeterminazione delle minoranze slovena, croata e sudtirolese…”.  Una posizione che nel dopoguerra cambia in maniera netta, almeno per quel che riguarda i sudtirolesi.  Lo stesso Palmiro Togliatti , in un celebre articolo pubblicato il 14 settembre del 1945 su l’Unità, ha definito la nuova linea in maniera chiara e inequivocabile. La frontiera del Brennero, per il leader comunista, non si tocca: “La difesa contro ogni eventuale rinascita di un germanesimo aggressivo e conquistatore - scrive Togliatti - deve essere quindi uno dei capisaldi di una politica nazionale italiana, fino a quando perlomeno non si abbia la certezza assoluta che ogni pericolo è scomparso da quella parte”. È una posizione sicuramente condivisa anche da Mosca, tanto è vero che, dopo una iniziale fase di incertezza, l’Urss si pronuncerà, al tavolo della pace, per il mantenimento della frontiera del Brennero.

Flor entra in contrasto deciso con i vertici locali e nazionali del partito. Lo stesso Andrea Mascagni, ex partigiano e personaggio di spicco del comunismo altoatesino ha ricordato in più occasioni gli scontri di quegli anni. Il PCI è e resterà favorevole alla concessione di un’ampia autonomia criticando aspramente alcuni aspetti della politica praticata in Alto Adige dai governi nazionali. È anche un partito interetnico, ma le posizioni di Flor, che è tornato al suo antico mestiere di tipografo, lavorando anche tra l’altro presso la casa editrice Athesia non sono conciliabili con quelle comuniste.

Nel 1947 Silvio Flor esce dunque dal PCI ma non abbandona affatto l’attività politica e sindacale, portata avanti, sino agli anni 70, in vari modi. Nel 1953, ad esempio, guida una lista di indipendenti sudtirolesi che si presenta con scarsissimo successo, appena 609 voti, alle elezioni regionali. Nel 1972 entrerà a far parte come cofondatore dell’SPS, il piccolo partito socialdemocratico sudtirolese fondato da un altro transfuga, Hans Dietl, uscito dalla Südtiroler Volkspartei perché in totale disaccordo con la politica del “Pacchetto” di Silvius Magnago.

Due Silvio Flor. Una storia di famiglia che è anche una vicenda che si snoda attraverso le vicissitudini e le contraddizioni di un percorso politico, quello della sinistra in questa terra di confine, nel quale forse la preponderanza della questione nazionale ha finito per offuscare, se non a volte per cancellare del tutto, le battaglie sindacali per una maggior giustizia sociale. Sembra storia di ieri e invece, a ben pensarci, ha tutte le caratteristiche di una stringente attualità.

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pérvasion Sab, 05/02/2020 - 19:51

» È anche un partito interetnico, ma le posizioni di Flor, che è tornato al suo antico mestiere di tipografo, lavorando anche tra l’altro presso la casa editrice Athesia non sono conciliabili con quelle comuniste.«

Non sarebbe più corretto dire che le sue posizioni non erano conciliabili con quelle del Partito Comunista Italiano?

Sab, 05/02/2020 - 19:51 Collegamento permanente