Cultura | Salto Afternoon

Il confine è il luogo...

...dove (se passi) accade qualcosa. Lo scrittore Paolo Bill Valente fa parte del progetto "Stille Post | Ad alta voce". Un estratto.
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Foto: Suedtirolfoto.com / Othmar Seehauser

Alzano i fiumi la loro voce,
alzano i fiumi il loro fragore.
Ma più potente delle voci di grandi acque,
più potente dei flutti del mare,
potente nell'alto è il Signore

Salmo 92


La montagna ha piedi nell'acqua. Immobile all'apparenza, non ha radici, ma piedi. La roccia cade a strapiombo nella gola. Puoi sentirne il tonfo a ogni istante.
Vuoi traversare lo specchio d'acqua? Si può fare. Il tratto è breve. Pochi passi che racchiudono innumere stagioni, cento e cento generazioni, sogni come maree. Onde che inghiottirono cadaveri. A migliaia.
Il giorno in cui le due terre si incontrarono, l'acqua ha messo mano al suo lento, inesorabile scavo lungo la fessura che resta. È la crepa che si apre a ogni bacio, a ogni abbraccio e dopo la lotta.

Ecco un mare che nessuno traversa a cuor leggero.
Per andare di là c'è un pezzo di legno lanciato d'azzardo come una zattera. Non è sicuro che tu possa salirvi. O che ti lascino gettare gli ormeggi, una volta giunto all'altra riva. Sei uno straniero. Anche loro sono stranieri, però hanno le chiavi del portone e ogni altra risposta. Ti faranno entrare a precise condizioni. Non è casa loro, ma le chiavi ce l'hanno nella borsa. Ti diranno che cosa devi e che cosa non devi fare, prima ancora di chiedersi chi sei e che cosa vuoi.

Dovrai identificarti. Conosci bene la lingua dei docu­menti! Possono guardarti i piedi, se vogliono capire. Allora vedrebbero chi sei. Dai tuoi sandali consumati. Sei uno che cammina. Uno che si porta dietro poche cose e le custodisce nel cuore. Dirai loro dei capelli neri di tua madre? Nessuno ti ascolterà. Tuo padre morí prima che tu nascessi. Lei te ne ha parlato a lungo. Ma tutto questo è lontano. Dai giorni della tua partenza c'è distanza di anni. Hai cercato e conosciuto il silenzio. Hai traversato la notte infinite volte, senza mai farti turbare dalle prime avvisaglie dell'aurora. Hai esplorato le ore del giorno senza toccare cibo. Hai abbandonato il mondo, per amore, nel fiore degli anni.
Quando quel tizio ti rubò la mula, hai superato la notte vegliando, senza curarti della fatica. Finché l'alba non ti riconsegnò la bestia e la riconoscenza di un uomo fratello. Ricordi? La sera in cui ti si parò davanti Adalberto, ladro e assassino, non ti desti pace fino a che non riuscisti a sottrarlo all'impiccagione, già decisa, già eseguita.

Chiedono del tuo nome. Racconterai dei capelli corvini della donna che ti ha messo al mondo? Parole. Solo un riflesso di ciò che tu davvero sei. Il tuo "io sono" non si lascia scrivere nero su bianco. Tu stesso, per capire di te, non vai forse a interrogare gli antenati? Non costruisti casa presso la loro tomba? Avresti voluto ritirarti in quei loculi. Sapevi già allora che il viaggio ti avrebbe portato a varcare tutti i confini, il primo e l'ultimo dei quali quello tra la vita e la morte. Tra la morte e la vita.
L'antenato che insegui è colui che, morto, vive. È su quel fondamento che intendi ora imbastire la tua esistenza. Scavi nelle cose. Più vai nel profondo e più i tuoi occhi si orientano in alto.
Quando prendesti congedo da mamma (capelli di corvo) e abbandonasti la terra degli avi, qualcosa è rimasto lì, qualcos'altro l'hai messo nella sacca. Ora nessuno spazio potrà esserti casa per sempre. Abiti il tempo. Temi pure che, una volta morto, sepolto nel luogo che avrai scelto per il riposo eterno, nemmeno allora ti lasceranno in pace. In quel giorno qualcuno vorrà riportarti nel paese da dove (secondo loro) sei venuto.
La prima volta eri fuggito dal chiasso. Dall'ansia di soffocare sepolto sotto montagne di parole vane. Evasione dalle cose inutili che ti impoltronano e ti ingrassano come un vitello. Ti si offrivano ricchezza e potere, tu cercavi solo quiete e pace dentro. Perciò avevi salutato, eri partito, avevi percorso miglia e miglia.
Una volta raggiunta la meta, odorosa e impossibile, eri dovuto tornare sui tuoi passi. Ti rimandarono indietro. Con molte ragioni buone e pie.

...

Nell'anno del signore 720, ai tempi di Carlo Martello maggiordomo dei franchi, il vescovo Corbiniano, di ritorno dal suo secondo viaggio a Roma, dove invano ha pregato papa Gregorio di liberarlo dal compito vescovile, venne fermato al Castrum Maiense dalle guardie bavare. Ai piedi della rocca, nelle acque mosse dalla gola di Maia, scorreva allora invisibile la frontiera che univa e separava mondi, storie, continenti. E Corbiniano comprese bene che la frontiera narrata da quel fiume andava passata. E ci volle essere sepolto. Nella cappella di San Zeno, accanto a San Valentino.
Ma fu Arbeone, nativo di Maia
(non è sufficiente essere nati sulla frontiera per essere uomini della frontiera), a profanare quella tomba e a portare la salma del santo lontana dal suo luogo di vocazione. Paolo Bill Valente, raccontandoci la storia del vescovo Corbiniano, ci racconta milioni di anni di frontiera meranese, frontiera persino tra l'Africa e l'Europa. La si puó riconoscere analizzando la composizione geologica delle pareti sottostanti il Castello di San Zeno.

In collaborazione con:
Edizioni alphabeta Verlag