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Società | Maltrattamenti

Nessuno ha il diritto di dormire

Ecco la peripezia di Giovanni, un clochard inseguito da due vigili intenzionati ad applicare la modifica del regolamento di polizia urbana.

Questa è la triste storia di un senza tetto (diamogli il nome Giovanni) il giorno dopo l'entrata in vigore della modifica del regolamento di polizia urbana, quella che vuol fare per l'appunto sloggiare i barboni, come vengono più comunemente chiamati, o anche i clandestini e gli extracomunitari (sono appellati così anche quelli che vengono dalla Polonia, per dire), la modifica del regolamento, insomma, che li fa sloggiare dal posto di fortuna – una panchina, un atrio, un porticato - in cui si ritrovano a passare la notte. Stasera, per esempio, Giovanni aveva deciso di dormire dietro il Monumento alla Vittoria. In realtà, in questo momento del monumento a Giovanni frega pochissimo, figuriamoci, comunque dormire con cotanta storia alle spalle non è da tutti. Butta giù un sorso di vinaccio comprato al supermercato, si tira su la coperta che gli hanno lasciato i volontari e si addormenta. Dopo dieci minuti viene svegliato da una voce perentoria. Due vigili urbani gli presentano un foglio e gli intimano di levarsi di lì. Lì non ci può stare. Lì non può dormire. “Dai, balordo, fuori dalle balle”. Gli propongono di raggiungere la Casa dell'Ospitalità di via Trento, ma lui non è persuaso, è lontana, non la conosce, non si fida. Si rimette giù. Allora quelli si fanno più bruschi. Indossano dei guanti di lattice, lo afferrano per le gambe, lo strattonano, lo minacciano. Giovanni cede, prende la sua coperta, il vino, un paio di buste e se ne va. Ma non di molto. Va a stendersi all'imbocco di via Orazio. I vigili però sono implacabili e lo fanno smammare anche di lì (“è finita la pacchia, eh?...”, ridacchiano). Giovanni barcolla fino a via Amba Alagi. I due ancora dietro: non può stare neppure là. Stessa scena in via Thuille, in via San Quirino, in viale Venezia, in via Gorizia, in via Fiume, in via Zara, in viale Trieste, in via Roma, in piazza Tribunale, sotto il bassorilievo illuminato da una scritta che dice “Nessuno ha il diritto di dormire”. Giovanni si trascina dietro coperta, buste e vino, i vigili sempre dietro, sempre addosso. Sempre addosso e sempre dietro, vigili e inesorabili. Vigili come mai furono vigili nella loro vigilatissima vita. E Giovanni, il povero Giovanni, mai ramingo e reietto come stanotte. Sono ormai le quattro, le cinque. Il buio è quasi tutto consumato, e lui non ha potuto stendersi per più di dieci, quindici minuti, subito destato dai due persecutori che adesso, con la modifica del regolamento in mano, hanno il potere di non farlo dormire da nessuna parte. È l'alba. Gli uccelli cominciano a cinguettare come fossero ministri della Repubblica. Le prime persone si affacciano ai portoni per andare a lavorare. Dietro il monumento di piazza Vittoria i due vigili, finalmente esausti, si sono intanto sdraiati su una panchina. Giovanni, sulla panchina di fronte, li guarda con gli occhi pesti. Afferra il cartone del vino e prova a mandarne giù un sorso. Il cartone è vuoto. Allora si gratta la barba. Visto dove si trova, gli torna in mente un proverbio che aveva imparato a scuola, nel suo paese: Vulgus vult decipi, ergo decipiatur. I due vigili sono lì, davanti a lui, intirizziti e quasi accartocciati l'uno sull'altro. A Giovanni viene quasi da coprirli, quei due bastardi maledetti.