Cultura | nuova musica

"...è musica che mostra senza giudicare"

Al Festival di musica contemporanea Roberta Gottardi interpreta musiche di Cifariello Ciardi, Nussbaumer, Nilsson e Davidson.
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Foto: Archivio Gottardi

Roberta Gottardi è clarinettista, nata a Trento, è docente al conservatorio di Bolzano. Il suo repertorio spazia dal barocco al contemporaneo. Con passione si dedica alla nuova musica. Ha collaborato con numerosi compositori quali Stockhausen, Sciarrino, Kagel, Cifariello Ciardi, Fedele, Biasioni, Battistelli. Come solista e in varie formazioni si è esibita in alcune delle stagioni musicali e festival più importanti d’Europa. Ha inciso per Edipan, Symposion, Stradivarius, Altri Suoni, Stockhausen Verlag, Neos. Sarà una protagonista dell’appuntamento conclusivo dell’edizione 2022 del Festival di musica contemporanea di  Bolzano. 
 

Salto.bz: sua sorella Ornella è flautista, suo fratello Luciano burattinaio, è cresciuta in una famiglia dove la musica e le arti erano di casa?

Roberta Gottardi: Mio padre è sempre stato appassionato di musica, fin da bambino. Non avendo potuto studiare, ha imparato a suonare da autodidatta l’organo e ancora oggi suona nella chiesa del suo paese. Ha sempre ascoltato musica in ogni momento della giornata e noi siamo quindi cresciuti in mezzo ai suoni, ma soprattutto abbiamo percepito la sua passione e credo che questo in qualche modo ci abbia influenzati nello scegliere le nostre professioni. E mia madre ci ha sempre sostenuti.

Ricorda la sua prima lezione di clarinetto?

Certo! Dopo qualche mese di solfeggio alla banda ricordo di aver ricevuto un vecchio clarinetto in mi bemolle, e di aver tentato inutilmente di cavarci un suono per un sera intera. Avevo dieci anni, e nonostante l’inizio un po’ frustrante non mi sono persa d’animo e ho continuato. Ricordo l’ambiente spensierato della banda e soprattutto il mio primo maestro, Cornelio Moser, così importante perché è grazie al suo consiglio se ho poi cominciato a studiare in conservatorio.

 

 

Nel suo ricco e prestigioso curriculum spicca il riconoscimento che ha avuto dalla fondazione Stockhausen per la sua interpretazione di Harlekin, composizione per un unico clarinettista-danzatore-mimo di Karlheinz Stockhausen, compositore con cui lei ha poi collaborato. Che ricordo ha del premio, e del maestro e guru della nuova musica del dopoguerra?

Ho avuto la sensazione di avere incontrato un pezzo di storia della musica. Era un uomo imponente direi, ma aveva grande rispetto per gli esecutori che lavoravano sodo per eseguire la sua musica al meglio. Sapeva quello che voleva ma nella mia esperienza era anche aperto ai suggerimenti e al fatto che un interprete competente potesse fare “suo” un pezzo pur rispettando la partitura fino nei più minuti dettagli. Il premio è stato una grande emozione soprattutto perché ho sentito l’apprezzamento per il mio modo di suonare e di vivere Harlekin, un pezzo che coinvolge l’esecutore davvero nella sua totalità.

Nella sua carriera di concertista ha viaggiato molto. Vi è stata una occasione in cui si è sentita “straniera”?

Mi è capitato di sentirmi in qualche modo “straniera” non solo in paesi diversi dal mio ma anche con musicisti che venivano da ambienti ed esperienze differenti. Ogni qual volta è successo ho cercato sempre di instaurare uno scambio e una collaborazione e di imparare cose nuove, e penso che questo sia uno degli aspetti più belli, stimolanti e vitali del nostro lavoro. 

Ci può raccontare un episodio buffo, che la fa ancora sorridere al ricordo, accaduto nel corso o a margine di un suo concerto?

Ho un ricordo legato ad una esecuzione proprio di Harlekin di Stockhausen: suonavo all’aperto nel cortile di un castello. Poco dopo l’inizio ho notato una sagoma sul palcoscenico, lentamente ma sempre continuando a suonare mi sono avvicinata e ho visto che era un leprotto che si stava godendo lo spettacolo! Il leprotto naturalmente è subito scappato, facendo risuonare sotto le sue zampe il palcoscenico di legno, anticipando a suo modo la danza di Harlekin, a cui è infatti richiesto da un certo punto in poi di “suonare” ritmicamente con i piedi. 

 

 

La serata conclusiva del Festival di musica contemporanea di Bolzano si articola in due parti. Nella prima lei presenta  nuove composizioni in cui il clarinetto e il clarinetto basso si interfacciano con video e voci registrate. Nella seconda Caroline Profanter proporrà la sua musica elettronica.
Ci presenta il clarinetto basso?

Il clarinetto basso si è evoluto come strumento solistico nel secolo scorso: per esempio Eric Dolphy lo ha usato magistralmente nel jazz, e molti compositori, stimolati da grandi esecutori come Harry Sparnaay, hanno scritto per questo strumento che oggi è imprescindibile se ci si vuole dedicare alla musica contemporanea. Non è la stessa cosa che suonare il clarinetto in verità, bisogna dedicargli del tempo per conoscerlo e dominarlo, e per saper passare dal clarinetto al clarinetto basso nello stesso concerto, ma è una cosa sempre più richiesta, anche all’interno dello stesso pezzo. 
E’ uno strumento che ha una grande estensione ed è ricchissimo di armonici, il che lo rende molto duttile nel produrre multifonici, ovvero la capacità di produrre più di un suono contemporaneamente. 

 

 

Nel suo programma  i clarinetti si accompagnano a voci del Nagorno Karabakh, dell’Ucraina e della Siria nel lavoro di Fabio Cifariello Ciardi, a estratti di trasmissioni della seconda guerra mondiale in quello di Robert Davidson. E’ musica che prende posizione, che manifesta esplicitamente una visione del mondo?

Direi di no, è musica che mostra senza giudicare. Ma ciò non toglie che susciti emozioni, che ci portano inevitabilmente a pensare.

Si emoziona (ancora) quando sale su un palco?

Sì, ma finalmente in senso buono, ovvero in genere senza essere sopraffatta dall’ansia e dalla paura! Ora mi voglio godere quello che davvero considero un privilegio… cercando di dare il mio meglio ogni volta.

Un libro, o un film, che è stato per lei importante?

Torno indietro all’infanzia, dove inizia tutto, e dico Tom Sawyer!