Economia | L'intervista

La piaga dei contratti pirata

Michele Buonerba, segretario generale della Sgb-Cisl, sullo sfruttamento lavorativo, i “raggiri” legalizzati, le lacune del sistema e quella lettera a Kompatscher.
Michele Buonerba
Foto: Facebook

salto.bz: Buonerba, di lavoro, e soprattutto delle falle del sistema, non si parla solo il 1° maggio. Prendiamo per esempio il diffuso fenomeno dei cosiddetti “contratti pirata” (quelli cioè siglati da parti sociali non rappresentative con l’obiettivo esplicito di fissare condizioni “al ribasso”), che non sono un’eccezione nemmeno in una provincia notoriamente ligia come l’Alto Adige. Qual è il suo punto di vista?

Michele Buonerba: Questo è un tema dirimente, perché se la questione relativa a questi contratti non viene risolta sarà a lungo ancora fonte di problemi. Per spiegare però perché si applicano i contratti pirata occorre fare un passo indietro.

Indietro fino a quando?

Al 1948, quando è entrata in vigore la nostra Costituzione. L’articolo 39 stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera e, secondo il comma 4, solo i sindacati registrati possono stipulare contratti collettivi, che hanno efficacia obbligatoria cosiddetto erga omnes, cioè sono validi per tutti i lavoratori ai quali il contratto si riferisce a prescindere dalla iscrizione degli stessi ai sindacati. Ad oggi questo sistema è rimasto inattuato. Nel 2013, poi, una storica sentenza della Corte costituzionale, nell’ambito del ricorso della Fiom contro la Fiat, ha dichiarato illegittimo l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, nella parte che consente la rappresentanza sindacale aziendale esclusivamente ai sindacati firmatari del contratto applicato nell’unità produttiva. La sentenza della Consulta ha stabilito che proprio l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori privato del comma che indicava la statuizione dei sindacati maggiormente rappresentativi (risultato del referendum 1995 sostenuto dalla Fiom) ha stabilito che, in assenza dell’esercizio della riserva di legge, tutti i sindacati sono rappresentativi. Pertanto chi non firma il contratto non può chiederne di beneficiarne (la trattenuta sindacale era per legge nello statuto dei lavoratori, ma anche quell’articolo fu abrogato dal referendum radicale, sempre nel 1995).

Cosa è successo dal 2013 a oggi?

Che i contratti nazionali sono passati da 300 a 900, sono nate sigle di ogni tipo, sia di associazioni datoriali che sindacali, e tutti si sono sentiti autorizzati a firmare accordi anche in assenza di rappresentatività. Da allora di questi contratti pirata se ne sono visti moltissimi. In questo contesto da un lato qualunque contratto al ribasso diventa legittimo, dall’altro emerge un problema ancora più grave ed è quello che si verifica nell’ambito degli appalti pubblici. 

Un esempio a livello locale?

Fino a vent’anni fa le pulizie all’ospedale di Bolzano le facevano alcuni dipendenti dell’Asl. Ora invece, da quando c’è stato il boom delle privatizzazioni, si ricorre all’appalto. Prima di questa esternalizzazione di massa si applicava l’art. 36 dello Statuto dei lavoratori che stabiliva l’obbligo del rispetto dei contratti nazionali e provinciali per tutti i dipendenti occupati negli appalti, pena la rescissione del contratto d’appalto. Il punto è che l’art. 36, dalla famosa sentenza della Consulta, è diventato sostanzialmente inapplicabile perché tutti i contratti sono diventati validi. Emblematico è stato un caso accaduto proprio all’ospedale di Bolzano in merito a un appalto di manutenzione degli impianti elettrici. Un’impresa proveniente da fuori provincia aveva fatto ricorso, con successo, al Tar, dopo l’esclusione dalla gara. Quest’impresa anziché applicare il contratto corretto, quello dei metalmeccanici, applicava quello dei multiservizi, che prevede un costo del lavoro molto più basso. 

Occorre contrastare il principio ormai purtroppo consolidato secondo il quale chi sfrutta il lavoro viene premiato

Come si scongiurano situazioni come queste?

Dal momento che l’amministrazione provinciale sta rivedendo la norma sugli appalti, ieri abbiamo inviato congiuntamente (Cgil, Cisl e Uil, ndr) una lettera al presidente Kompatscher per sollecitare una attenta riflessione sul tema, altrimenti nell’ambito degli appalti finisce che chi sfrutta il lavoro viene premiato. 

Non c’è sufficiente controllo?

La capacità sanzionatoria è bassissima, ci sono pochissimi ispettori del lavoro non solo per la sicurezza ma anche per la parte amministrativa. In più il fatto che l’art. 39 non sia mai stato regolamentato genera per esempio l’impossibilità di escludere da una gara un’azienda che non applica un contratto collettivo corretto. E nel privato le cose vanno ancora peggio. C’è poi anche il problema delle cooperative spurie.

Ovvero?

Si tratta di un fenomeno preoccupante. Sono quelle cooperative costituite per sfruttare le agevolazioni fiscali che sono previste per la cooperazione. Giocando molto sul bisogno di lavorare delle persone più povere - spesso straniere e in molti casi per difficoltà linguistiche inconsapevoli di ciò che stanno firmando -, queste cooperative danno loro la possibilità di diventare socie e la quota che viene trattenuta in busta paga può essere anche di 200-250 euro al mese. Ne consegue che le persone, legalmente, vengono di fatto pagate meno. Per questo stiamo chiedendo, anche a livello nazionale, che sulla cooperazione vengano poste delle regole. 

E non solo sulla cooperazione, non è così?

La lista sarebbe molto lunga. Penso al lavoro a chiamata liberalizzato, per esempio - un altro grande danno che il Jobs act ha causato ai lavoratori -, che determina condizioni di grave sfruttamento. Si tratta infatti di uno strumento attraverso il quale l’azienda chiama il lavoratore solo quando ne ha bisogno, e che non eroga l’indennità di disponibilità. Penso anche ai contratti che prevedono 6 giorni lavorativi su 7, che sono purtroppo legittimi e che inevitabilmente influiscono anche sulle relazioni personali. Avere il weekend sempre occupato può finire per rappresentare un problema in una coppia o in una famiglia. Penso a quei contratti nel commercio che durano appena due-tre mesi, alle grandi catene che possono trasferire i propri dipendenti da un momento all'altro in qualunque filiale dislocata sul territorio italiano. Ecco perché puntiamo su un contratto locale che determini le modalità di gestione dei rapporti professionali in Alto Adige. Contrastare lo sfruttamento del lavoro resta la missione principale.

 

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Alberto Stenico Ven, 05/03/2019 - 07:35

Non trovo giustificato il giudizio sulle cooperative di lavoro. A generalizzare si sbaglia sempre, in tutti i campi. Nelle cooperative gestite secondo le leggi vigenti, i soci lavoratori hanno diritto alle retribuzioni contrattuali stabilite nei contratti di lavoro, come tutti i dipendenti del settore in cui operano. Hanno inoltre diritto al parziale riparto degli utili, se previsto dallo statuto. Versano come in ogni impresa anche la loro quota sociale, che viene restituita in occasione delle eventuali dimissioni. Se parliamo di cooperazione, questa è la realtà, anche in provincia di Bolzano. Se parliamo di violazione delle leggi, allora il tema è un altro e riguarda tutte le forme di società dalle Spa, alle Srl, alle Sas. Tutti questi casi vanno perseguiti. Ma la Cooperazione non può essere genericamente messa sotto accusa. In provincia di Bolzano, peraltro, le cooperative rappresentano una parte decisiva dell'economia dal Credito all'Agricoltura, ai Servizi Sociali, ecc.,ecc. Da oltre 100 anni.......

Ven, 05/03/2019 - 07:35 Collegamento permanente
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michele buonerba Ven, 05/03/2019 - 22:58

In risposta a di Alberto Stenico

Io non ho messo in discussione la bontà della cooperazione, ma è oggettivo che ci siano sul mercato aziende che sfruttano la legislazione per sfruttare i loro soci-dipendenti. Io personalmente ho gestito diversi casi di questo tipo. Ritengo che sia necessaria una legislazione che proporzioni la quota associativa alla retribuzione e al fatturato della cooperativa. Sono d’accordo sul ruolo sociale della cooperazione che anche ritengo essere strategico soprattutto in un’ottica di riduzione delle disuguaglianze.

Ven, 05/03/2019 - 22:58 Collegamento permanente
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Karl Gudauner Sab, 05/04/2019 - 21:56

Michele Buonerba mette in evidenza un problema importante. L'atomizzazione dei contratti è un altro esempio della sminuizione del lavoro e lavoratori e lavoratrici. Mi chiedo, quale sia la strategia dei sindacati per contrastare questi sviluppi e diffondere informazioni e consapevolezza sui loro effetti.

Sab, 05/04/2019 - 21:56 Collegamento permanente
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Alberto Stenico Dom, 05/05/2019 - 08:27

In risposta a di Karl Gudauner

I Sindacati Confederali non possono sfuggire al principio Costituzionale che afferma "L'organizzazione sindacale è libera" (art.39). L'egemonia degli uni, non si può imporre per legge contro gli altri.
Decisiva sarebbe, invece, la scelta di contrattare le condizioni di lavoro e di retribuzione a livello provinciale, anziché statale. Come si può pensare che il minimo salariale sia lo stesso in provincia di Trapani e in quella di Bolzano? Come si può prescindere dalle enormi differenze nel Mercato del Lavoro e dei prezzi tra il Sud (disoccupazione al 12 - 14%) con l'Alto Adige (disoccupazione al 2,9%)?
Va ripensato il sistema contrattuale tornando alle aziende ed al territorio. Non c'è niente di più sbagliato di applicare le stesse norme, a situazioni così diverse tra di loro.
Del resto resto, i dipendenti della Provincia (l'impresa più grande del nostro territorio!) non vanno a Roma a contrattare le loro condizioni, ma vogliono un contratto locale, adeguato alle nostre condizioni reali.

Dom, 05/05/2019 - 08:27 Collegamento permanente