Politica | L'intervento

Una Convenzione è più utile

Francesco Palermo risponde a Thomas Benedikter e spiega perché, in relazione alla riforma dello Statuto, l'istituzione di una Convenzione su nomina consiliare sia da preferire a una scelta che prevede l'elezione di un'assemblea costituente.
ecotex_oew_2022_s_77.jpg
Foto: OEW Ecotex

Il contributo di Thomas Benedikter sul metodo per la riforma dello Statuto è molto importante. Perché coglie il punto essenziale su cui occorre discutere in questa fase: il metodo della riforma, prima dei suoi possibili contenuti. Perché senza chiarezza sul modo in cui impostare la riforma, ogni contenuto è destinato a infrangersi sullo scoglio dei veti incrociati. Benedikter ricorda giustamente che finora lo statuto e le sue riforme sono state il frutto di accordi a porte chiuse tra piccole élites, e richiama la necessità di passare ad un sistema più partecipato. Sacrosanto. Va aggiunto anche che i tentativi di riforma affidati ai consigli provinciali e regionale, secondo la procedura emendativa prevista dallo stesso statuto (art. 103), non sono mai decollati, a dimostrazione del fatto che quella sede non è in grado di aggiungere al proprio lavoro ordinario anche quello straordinario della riforma statutaria. Quindi serve una terza via. Ed è su questa che occorre concentrarsi.

Benedikter esprime scetticismo rispetto all’idea di una convenzione per la riforma, istituita dal Consiglio provinciale (o regionale) e composta da rappresentanti sia della politica sia della cd. società civile. Una formula da lui ritenuta “insoddisfacente sotto il profilo democratico”, in quanto risulterebbe nei fatti “nominata dall’alto”. In alternativa, Benedikter propone invece di eleggere un’assemblea costituente. E' una proposta interessante, e certamente non peregrina, visto che molte costituzioni – e lo statuto di autonomia è tale a tutti gli effetti – sono nate così. Anche se, occorre ricordarlo, non è affatto l’unico modo di produzione delle costituzioni.

Assemblea costituente e convenzione preparatoria a composizione mista rappresentano due filosofie profondamente diverse, ed è bene che vengano dibattute e confrontate, affinché si possa optare con cognizione di causa per un sistema o un altro.

In astratto, specie se si identifica democrazia con elezioni, un’assemblea costituente direttamente eletta dai cittadini sarebbe più “democratica”. Oltre a segnalare questa assai problematica identificazione tra democrazia e voto (su cui non è possibile qui soffermarsi, ma che è tutt’altro che scontata), mi permetto di evidenziare quattro aspetti che a mio avviso sconsiglierebbero l’elezione di un’assemblea costituente, facendo invece preferire il metodo della convenzione.

Primo, le assemblee costituenti sono normalmente il prodotto di momenti di profonda rottura, e servono a creare costituzioni nuove e anche simbolicamente diverse dal passato. Una cosa non necessaria nella nostra terra, dove l’evoluzione dell’autonomia dovrebbe anzi mostrare di porsi in continuità con l’esperienza complessivamente positiva degli ultimi decenni, che richiede un aggiornamento e non una rivoluzione. Sarebbe un po’ come prendere l'aereo per percorrere pochi chilometri. Come giustamente osserva Benedikter, il potere costituente va tenuto distinto dal potere costituito. Ma in questo caso è fuori dubbio che si dovrebbe trattare di esercitare il secondo e non certo il primo.

Secondo, l’elezione di un’apposita assemblea andrebbe a costituire un doppione del Consiglio, composto con gli stessi criteri di rappresentanza politica, per occuparsi di un tema (appunto la riforma statutaria) di competenza del Consiglio stesso. Per cui verrebbe da chiedersi a cosa servirebbe, senza contare il rischio di un conflitto tra le due assemblee, come due galli nello stesso pollaio. E senza considerare che l’istituzione di un simile organismo sarebbe assai complessa dal punto di vista procedurale: difficilmente potrebbe bastare una legge ordinaria (provinciale o regionale), ed occorrerebbe perciò una revisione statutaria per poter procedere ad una revisione statutaria. Il che sarebbe quantomeno curioso sul piano costituzionale. Anche se va detto per onestà che è pecisamente il percorso che si sta seguendo per la revisione della costituzione italiana...

Terzo, e soprattutto, l’elezione presuppone un confronto politico e una campagna sui contenuti da parte dei candidati a tale assemblea. Il che potrebbe essere positivo, perché potrebbe stimolare un maggiore dibattito nel merito, anche se purtroppo si tratterebbe (come ahimè in ogni competizione elettorale), di un dibattito basato prevalentemente su slogan, che non farebbero altro che inasprire le posizioni. L’obiettivo fondamentale di un organismo misto e ausiliario rispetto al Consiglio è per contro proprio quello di uscire da queste logiche. La presenza anche di rappresentanti di istanze non partitiche - anche se magari anch’esse di parte - dovrebbe aiutare proprio ad abbandonare la logica politica dei numeri in favore di quella costituzionale del consenso, in cui gli argomenti contino più delle maggioranze, almeno potenzialmente.

Infine, l’elezione diretta di un’assemblea “costituente” prevederebbe bensì la partecipazione dei cittadini, ma solo al momento dell’elezione ed, eventualmente, nel caso di un referendum confermativo. Dunque all’inizio ed eventualmente alla fine dei lavori, non nella fase intermedia. Le moderne convenzioni prevedono invece, in varie possibili forme, la consultazione permanente dei cittadini, attraverso forum online, crowd sourcing, ed altre forme partecipative, consentendo la partecipazione a chi abbia qualcosa da dire.

Qualunque sia lo strumento che si andrà a scegliere, in questa fase è fondamentale confrontarsi e ragionare sul contenitore. Quando avremo quello, via libera ai contenuti.

*Francesco Palermo è Senatore della Repubblica

Questo intervento, in forma abbreviata, è comparso oggi (2 agosto) anche sulle pagine del Corriere dell'Alto Adige