Cultura | Salto Gespräch

"Non sappiamo neanche cosa sia il bene"

Antonio Lampis si è appena trasferito a Roma da Bolzano per il suo nuovo incarico: dirigere tutti i 478 musei italiani. Tra frigoriferi, mixer e Giordano Bruno.
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Foto: Asia De Lorenzi

Chiamo al telefono Antonio Lampis, nuovo direttore generale dei musei italiani. Mi dice che si è appena trasferito a Roma e ha appena trovato casa. Infatti mentre parliamo si trova in un centro commerciale: “Pronto? Sì, buongiorno, non si preoccupi possiamo parlare tutto il tempo che serve, sono solo alla ricerca di un frigorifero”. 

salto.bz: Allora, classe 1964 e direttore della ripartizione cultura italiana per vent'anni. Ha visto succedersi diversi governi ma lei è rimasto al suo posto incontrando due assessori molto diversi, Cigolla, un conservatore della Democrazia Cristiana e poi Christian Tommasini, prima Democratici di Sinistra e poi Partito Democratico.

Antonio Lampis: Hanno due personalità completamente diverse, dall'età al carattere dell'uomo, alle idee politiche. Ma il mio lavoro è rimasto invariato, adattandosi ovviamente ai tempi e soprattutto guidato da un principio, ovvero quello di permettere di fruire prodotti culturali anche a chi non se lo può permettere o chi non ha gli strumenti di decodifica per farlo.
Questo scavalca ogni schieramento politico, da cui mi pongo a una certa distanza. Certo, può capitare di perdere molte occasioni a non essere amico della politica ma come può constatare adesso che mi sta intervistando, di occasioni ce ne sono sempre.
L'unica cosa in comune di quei due, sono le larghissime competenze, che però ci hanno permesso di fare un lavoro trasversale, pensando a un welfare più ampio.

Rispetto a tanti posti di frontiera, l'Alto Adige ha fatto molti progressi.

La sua formazione è prevalentemente giuridica, improntata però anche al marketing. Tuttavia quando si parla di cultura e la si associa alla parola “commerciale”, sembra quasi una bestemmia da simoniaci.
Ma no, c'è una differenza tra produrre e poi fruire. In seguito il denaro pubblico e i finanziamenti sono essenziali allo sviluppo culturale, per non parlare dei biglietti staccati ai botteghini, ai soldi incassati dalle librerie, i cd comprati.
Poi per il resto, è vero, mi sono sempre sentito un uomo di marketing, ci vuole tempo e anche un po' di talento.

Come ha applicato la sua filosofia in Sudtirolo?
Bisogna sempre inventare strade nuove e Bolzano da questo punto di vista è stato un laboratorio sperimentale. Il pubblico non sa di voler andare in un museo, il nostro compito allora è proprio di farcelo andare. La cultura vive di desideri non espressi.

Non so se ha letto un recente reportage di Flavio Pintarelli su Internazionale, in cui dice che anche al concerto più punk e hardcore che possa esistere, a Bolzano avrà di sicuro il bollino della Provincia. Forse non si lascia libertà alla libera associazione?
L'impegno pubblico è sempre doveroso, non siamo mai stati pervasivi o invasivi, semplicemente abbiamo voluto anche attirare un pubblico molto più giovane, come investimento per il futuro e per sperimentare nuovi codici e linguaggi, cercare di comprenderli.
Per quanto riguarda la libera associazione, beh, per quella ci vuole un po' di coraggio, Magari ci fosse, sarei contentissimo, ma urlare la parola libertà senza declinarla in azione diventa poco utile.

Flavio dice anche i bolzanini non conoscono il male...
Non capisco cosa significhi. Anche perché non sappiamo neanche cosa sia il bene.

 Non sappiamo neanche cosa sia il bene.

A Roma, alla guida di 478 musei, proseguirà con la “linea Bolzano”, ci saranno cambiamenti o ha già in mente cosa stravolgere o innovare?
Certo, ho delle cose in mente ma prima dovrò parlare con il ministro Franceschini e decidere insieme come agire. Il mio lavoro a Bolzano è totalmente diverso da questo nuovo incarico, c'è una legione di direttori museali da coordinare ma che allo stesso hanno quasi totale autonomia. Sarà divertente.

Uno dei suoi ultimi lavori alla ripartizione cultura è stato occuparsi della nuova legge sulla cultura. Claudio Andolfo, ex direttore Ufficio Giovani e adesso suo successore alla guida della ripartizione, ci tiene molto al primo articolo di questa nuova legge, in realtà ne vanno fieri tutti, perché?
Il primo articolo dice che la legge si rivolge “a tutti quelli che vivono in Alto Adige”.

Di questi tempi, in cui c'è una politica postmoderna che usa il razzismo come argomento politico, sembra quasi una scelta molto politica, una scelta forte.
Quel passaggio è un gioiello e l'abbiamo messo all'inizio, in bella vista.  Ci siamo ispirati alle grandi carte internazionali per scriverlo, una frase forte e di grande respiro all'interno di una legge sulla cultura. Perché la cultura deve diventare un servizio come la sanità, all'interno di un piano di welfare. E a Bolzano sembra che ci siamo anche riusciti: quando chiude un circolo culturale, sembra che un ambulatorio abbia chiuso i battenti.

La cultura vive di desideri non espressi.

Da chi è stato proposto?
Il bello è che è un testo condiviso da tutti, dalla ripartizione italiana, ladina e tedesca, senza distinzioni, ed è stata la prima volta.
Dal punto di vista della convivenza abbiamo fatto molti passi in avanti, tutti dicono che ci sia un conflitto enorme ma si figuri che un ragazzo della Ruhr con cui ho discusso la sua tesi di laurea, mi ha chiesto quante risse per cause etniche avessimo ogni settimana in Alto Adige. Io ho risposto: “Nessuna”. Era stupito.
Rispetto a tanti posti di frontiera, l'Alto Adige ha fatto molti progressi.
A proposito, lei comunque ha un accento strano.

In effetti Nunziata non è esattamente un cognome di Vipiteno. Sono cresciuto in Campania, vicino Nola, la casa natale di Giordano Bruno. Un po' per campanilismo, è uno dei miei filosofi preferiti.
Io amo Napoli, è una città bellissima, a proposito di Campania. Se investissimo ancora di più, come ha detto anche Franceschini su una città dalle potenzialità come solo Napoli può avere, avremmo una nuova Barcellona, ne sono sicuro.

Tra le molte cose, lei fa anche il Dj, giusto?
Magari avessi il tempo di farlo! Quest'anno ci sono riuscito un paio di volte, a Roma e con questo incarico non lo so, non credo.

Quali sono state le sue prime volte con il pubblico?
Ho cominciato al Museion, c'erano 800 persone quella sera. A volte mi sono messo al mixer al Mirò ma anche in contesti più privati.

David Bowie, la prima volta che sentì la musica elettronica di Moroder disse “questa è la musica del futuro”, è ancora così?
E' di sicuro la musica del presente e di sicuro è la musica più colta in assoluto. Per comporre un minuto di sinfonia ci vogliono anche due o tre mesi. Per sette minuti di traccia, a volte ci si impiega anche un anno.

E' stato un incidente amministrativo che si risolverà presto.

Visto che le domande spinose sono sempre all'inizio: le due indagini a suo carico per danno erariale e lo stop ai finanziamenti per La Comune di Forcato hanno inciso sulla sua partenza e allontanamento dall'Alto Adige o è solo un caso?
No, non c'entra assolutamente nulla, è stato un incidente amministrativo che si risolverà presto, come ho già detto pubblicamente varie volte. Tra l'altro personalmente non ho firmato quasi nessuna di quelle carte su cui si basano le indagini, io sono tranquillo.
Per quanto riguarda Forcato e La Comune, mi è dispiaciuto molto ma non c'erano alternative.

Ritornerà mai a lavorare in Alto Adige?
Chissà, per ora sto bene così.