93.jpg
Foto: Foto dell'autore
Cultura | Avvenne domani

E Gronchi disse sì

Piccola storia del Duce di marmo.

L'approssimarsi della data, quella del 5 novembre, nella quale verrà scoperto il pannello apposto davanti al bassorilievo inneggiante al fascismo di piazza del tribunale a Bolzano, con la scritta "Nessuno ha il diritto di obbedire" della scrittrice Hannah Ahrendt, ha prodotto, come ampiamente prevedibile, l'affastellarsi di commenti e prese di posizione variamente critiche.

Vale quindi la pena, forse, di ripercorrere la storia curiosa di questo manufatto architettonico che si affaccia ormai da quasi ottant'anni su una delle piazze principali della città di Bolzano.

Alla fine degli anni 30 inizia la realizzazione di una delle parti più importanti della struttura urbanistica della nuova Bolzano fascista disegnata dagli architetti del regime. Al margine di una delle due strade più importanti della nuova città italiana, il corso Giulio Cesare (oggi corso Italia) viene disegnataun'ampia piazza sulla quale si affacciano, fronteggiandosi, due maestosi palazzi marmorei. Sulla destra, osservando dal Corso, il grande Palazzo di Giustizia con una scalinata che conduce attraverso marmoree e squadrate colonne, all'ingresso principale.

Di fronte una costruzione leggermente più bassa ma non meno autorevole, destinata a divenire la nuova Casa del Fascio, e ad accogliere tutte le sedi delle varie organizzazioni fasciste sparse in vari edifici cittadini.

Il valore simbolico dell'operazione architettonica è facilmente percepibile. Sul grande spazio vuoto si fronteggiano il potere giudiziario e quello politico.

Per accrescere il valore si decide che il frontone della nuova sede del PNF dovrà essere ornato con un grande bassorilievo che esalti la gloria della rivoluzione fascista e soprattutto il ruolo del duce Benito Mussolini. Alla gara partecipano diversi artisti, ma alla fine, risultare vincente, sarà il progetto presentato, con il titolo "il Trionfo del fascismo" da uno scultore altoatesino,  Hans Piffrader (Chiusa 1888 - Bolzano 1950), che, negli anni precedenti, aveva già lavorato su temi attinenti all'esaltazione del ventennio, come ad esempio un bassorilievo bronzeo esposto nel 1938 in una mostra allestita nei locali dell'ITC Cesare Battisti.

Il progetto disegnato da Piffrader raccoglie il consenso della commissione giudicatrice. Prevede, al centro, un enorme figura di Benito Mussolini a cavallo. Tutto intorno i simboli dell'Italia fascista, le sigle delle organizzazioni del regime. In un angolino resta lo spazio per la scritta "W il Duce".

Effettuata la scelta tra i vari progetti, si passa subito alla realizzazione. L'opera da realizzare è a dir poco mastodontica. Oltre 200 metri quadri di marmo che, per poter essere realizzati e posti in opera, debbono essere divisi in 57 formelle. Tra il 1942 e la prima metà del 1943 l'opera prende forma e quasi tutte le sue parti vengono collocate al loro posto. Ci si accorge però che tre formelle, nella parte centrale del bassorilievo, a destra della figura equestre di Mussolini, hanno caratteristiche difformi da tutte le altre. E  vengono quindi  rinviate all'officina che ha l'incarico di realizzare materialmente l'opera sulla base dei disegni di Piffrader. Le nuove formelle vengono scolpite e mandate a Bolzano, ma quando arrivano non c'è più il tempo per collocarle sul bassorilievo assieme alle altre. Siamo al 25 luglio 1943, alla fatidica notte del Gran Consiglio che segna la fine del regime. Il Governo Badoglio, decide subito di incamerare tra i beni dello Stato tutto il patrimonio del disciolto Partito Fascista. I due palazzi che si affacciano sulla grande piazza sono ancora in via di completamento e restano deserti e abbandonati anche per tutto il periodo successivo all'8 settembre 1943, quando Alto Adige e Trentino vengono conglobati nell'Alpenvorland nazista.

Sul loro destino ci si torna ad interrogare nel secondo dopoguerra. Dopo alcuni anni di totale silenzio, arriva,al la fine degli anni 40, la decisione di riprendere i lavori del Palazzo di giustizia. Quanto all'edificio prospiciente, l'ipotesi è quella di ospitarvi, come in effetti poi avverrà, i vari uffici dell'amministrazione finanziaria statale. C'è però il problema del grande bassorilievo mussoliniano, del quale qualcuno coglie il preminente valore politico. La Soprintendenza alle belle arti di Verona propone di staccare le formelle e trasportarlo in un museo, ricoprendo la facciata di un semplice marmo bianco. L'ipotesi non viene nemmeno presa in considerazione. Gli anni passano e, in attesa che l'interno degli edifici venga completato ed essi possano assumere la loro funzione definitiva, i locali vengono utilizzati per vari scopi, tra cui quello di accogliere gli stand delle prime edizioni della Fiera Campionaria Internazionale di Bolzano, che si svolgono quindi all'ombra del braccio levato nel saluto romano di Benito Mussolini. Alla metà degli anni 50 però la Fiera ha trovato quella che per decenni sarà la sua sede definitiva in via Roma e i palazzi possono a loro volta assumere un volto definitivo. Il bassorilievo di Hans Piffrader, che nel dopoguerra è tra l'altro divenuto presidente degli artisti sudtirolesi e che si è spento nel 1950, continua a rimanere privo delle tre formelle centrali, appoggiate sulla balconata sottostante, dove erano state lasciate nel luglio del 1943.

La svolta, in tutta la vicenda, arriva nel settembre del 1956. Per l'Alto Adige si tratta di un periodo che si tinge, ogni giorno di più,  di tinte sempre più fosche. Nell'agosto precedente, nel paesino di Fundres, si è verificato un gravissimo fatto di sangue, con l'uccisione di un giovane finanziere, per la quale sono accusati alcuni ragazzi sudtirolesi. I rapporti politici tra la minoranza di lingua tedesca e il Governo di Roma sono al minimo storico dopo che la SVP ha abbandonato la Regione, decretando la crisi irreversibile della prima autonomia.

In questo clima tempestoso giunge la notizia dell'arrivo a Bolzano, per l'inaugurazione della Campionaria, di una super-delegazione dalla Capitale. È guidata addirittura dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e ne fanno parte diversi ministri tra cui il titolare del dicastero dell'interno Fernando Tambroni, cui viene assegnato il compito di tenere il discorso inaugurale. La cerimonia si svolge nel salone d'onore del Palazzo Mercantile e le parole di Tambroni sono le più dure mai sentite a memoria d'uomo a Bolzano dai tempi di Mussolini. Gli esponenti politici sudtirolesi, tra cui moltissimi sindaci, al termine dell'allocuzione rimangono immobili senza nemmeno accennare ad un applauso. Il resto della cerimonia prosegue in un clima di gelo totale. Per protestare contro l'atteggiamento del Governo, la SVP convoca, per la domenica successiva, una grande manifestazione di protesta, ma la Prefettura la vieta, per la coincidenza con il corteo folcloristico indetto tradizionalmente in occasione della Fiera. La Volkspartei allora vieta ai gruppi in costume e alle bande musicali di partecipare al corteo e il Prefetto replica facendo arrivare gruppi folcloristici e suonatori da altre province italiane.

Questo il clima, questi i rapporti al limite della rottura definitiva tra Bolzano e Roma. La giornata del 15 settembre 1956 non si conclude tuttavia con lo scontro mattutino. Nel pomeriggio il programma prevede proprio l'inaugurazione del nuovo Palazzo di giustizia ormai completato  e  pronto ad accogliere giudici, avvocati e imputati. Questa volta a tagliare il nastro, per una di quelle coincidenze che non possono non essere rilevate, è il giovane Ministro della giustizia Aldo Moro che, qualche anno dopo, riuscirà a condurre fuori dalle secche di una sterile contrapposizione frontale tutta la vicenda altoatesina.

Durante la cerimonia, però, qualcuno fa notare al Presidente Gronchi il bassorilievo incompleto sulla facciata dell'altro edificio. Arriva così il "via libera" al completamento dell'opera che celebra il trionfo del fascismo. Passano alcuni mesi e, nella tarda primavera del 1957, viene allestito il cantiere che nel giro di pochi giorni anche le tre formelle mancanti vanno ad occupare il loro posto. L'opera iniziata nel 1939 è completata, nel segno di una totale continuità tra l'Italia che Mussolini saluta con il braccio alzato e quella del dopo guerra.

Il resto è storia più recente. Proprio il suo evidente messaggio politico di esaltazione del fascismo, risparmia al bassorilievo l'utilizzo come simbolo dell'italianità dell'Alto Adige che accomuna invece altri esempi dell'architettura del ventennio. Non lo esclude, tuttavia, in tempi molto più vicini a noi, dall'elenco delle opere che contro l'opinione comune nel mondo sudtirolese, andrebbero demolite e che invece si decide di "storicizzare". Un compromesso, segnalato dall'anello luminoso su una colonna del Monumento alla vittoria e con l'apposizione della frase della Ahrendt sul Duce di marmo,  che, come prevedibile, suscita la reazione avversa dei due fronti etnicamente opposti, uniti dallo sdegno per un progetto che cerca di raccontare anche visivamente una vicenda che attraversa il nostro passato recente e che inevitabilmente destinato a prolungarsi anche nel futuro.