Economia | Welfare

Il valore del Fondo non autosufficienza

Il fondo per la non autosufficienza è una pietra miliare del nostro welfare. Ora da più parti si levano voci preoccupate sulla futura sostenibilità degli interventi.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Anziana
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Con l’approvazione della legge provinciale 9/2007 sulla non autosufficienza si era finalmente chiuso un decennio di discussioni, a volte anche contrapposte. Lo scoglio principale, come succede normalmente in questi casi, era il finanziamento della proposta. Nessuno metteva in dubbio l’alto valore sociale di questo fondo, che tra l’altro era ed è unico nel panorama nazionale. C’era chi sponsorizzava un contributo da parte di tutti i cittadini adulti differenziato a seconda della capacità contributiva del singolo, chi un contributo uguale per tutti e infine chi proponeva una tassa di scopo. La discussione si era arenata su questo scoglio. Visto anche il contributo della Regione, la Giunta provinciale istituiva il fondo a totale carico della mano pubblica. Il sindacato non poteva che concordare e agevolare l’attuazione concreta del progetto. Per noi rimane l’intervento sociale più importante degli ultimi due decenni e va difeso e rafforzato.

Attraverso questo fondo tante persone e famiglie in difficoltà hanno ottenuto almeno un contributo economico per gestire il dramma della non autosufficienza. Era anche un intervento che guardava all’invecchiamento della popolazione e perciò a uno dei problemi più pressanti della nostra società. Va riconosciuto, infine, che la dirigenza politica e amministrativa di allora aveva calcolata attentamente l’andamento del numero degli aventi diritto e i relativi costi. La stessa amministrazione afferma che neppure nel prossimo decennio ci saranno scostamenti importanti. Ora da più parti si levano voci preoccupate sulla futura sostenibilità economica degli interventi. Premetto che il sindacato era sempre disponibile a discutere su una contribuzione da parte dei cittadini legata al reddito e al patrimonio.

Siamo certamente disponibili al confronto, visto che è la politica che ha aperto un tavolo per un progetto di medio e lungo periodo sulla sostenibilità del fondo, nonché per attuare i necessari aggiustamenti. Ovviamente non intendiamo discutere di una riduzione delle prestazioni o dell’introduzione di forme assicurative di tipo privato con una adesione individuale.

Possibilità di questo genere ci sono già e riteniamo che non è compito della mano pubblica avviare progetti di questo genere. La cosa più semplice sarebbe tornare ai vecchi progetti e adeguarli alla situazione attuale con la partecipazione di tutti i cittadini che dovrebbero versare un contributo o una tassa di scopo, che confluiscono nel fondo esistente.

Se questa opzione non dovesse essere praticabile o non fa parte delle opzioni gradite alla politica va messo in campo comunque un processo che coinvolga tutta la cittadinanza in maniera solidaristica. Questo esclude per noi a priori forme assicurative ad accesso individuale e prestazioni scaglionate in base ai versamenti fatti. Il peso economico a parità di prestazione sarebbe molto elevato per chi ha superato una certa età, creando anche qualche iniquità tra chi ha le risorse necessarie e chi no.

La Provincia autonoma ha affidato all’Università lo studio della materia e richiesto una rosa di progetti tra i quali poi scegliere in comune accordo tra le parti interessate quello più aderente alle future necessità. Noi seguiremo con attenzione l’evolvere della situazione. Il Fondo per la non autosufficienza ha per noi un valore irrinunciabile.

Andrebbe anche discusso se esiste veramente la necessita d’intervenire. Nessuno può negare che nel medio periodo ci saranno probabilmente alcuni problemi da affrontare. Questi non sono solo legati all’invecchiamento della popolazione. Sarebbe una lettura troppo semplicistica. Statisticamente le persone vivono certamente più a lungo, ma sono anche più sane. Dalle statistiche emerge anche che il bisogno di cura normalmente aumenta negli ultimi due anni della propria vita.

Il calo delle nascite e il rischio di una diminuzione delle entrate per mano pubblica sono un primo scenario possibile.
Del resto si tratta di un processo non automatico, ma strettamente legato all’andamento dell’economia e alla sua produttività, nonché alle future scelte politiche a partire dall’immigrazione che può compensare senza problemi il calo delle nascite.
Quello che è certo è che la fascia di popolazione chiamata “Baby boomer”, cioè quelli nati negli anni 60, a partire dal 2030 avranno l’età in cui la non autosufficienza diventa più probabile. La consistenza numerica di quella fascia di popolazione farà aumentare oltremisura il numero di persone anziane e di riflesso di quelli bisognosi di cure. Poi i numeri dovrebbero costantemente diminuire. In teoria si potrebbero allocare maggiori risorse pubbliche per un determinato periodo al fine di superare il decennio di massima pressione. Se ci saranno interventi strutturali, cosa molto più probabile, sarebbe bene valutare anche l’andamento demografico nel lungo periodo, per arrivare quasi ai giorni nostri.

Alfred Ebner