Politica | Jimmy Milanese

L'Italia non è una famiglia diligente

Perché l'Italia non riesce ad uscire da questa crisi, ma punta il dito sempre altrove. Una analisi storica.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

L'Italia non è mai stata una famiglia diligente. E' mancata la diligenza, quando, era appena terminata la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti investivano per la ricostruzione post bellica nel nostro paese. Le città, danneggiate dai bombardamenti, venivano velocemente ricostruite senza considerare alcun tipo di criterio urbanistico, mentre l'economia ripartiva senza assorbire quei criteri di libera concorrenza, efficienza e competitività che i 14 mld di Dollari americani avevano portato a Parigi e Berlino, ma non a Roma. E' mancata la lungimiranza quando, tra gli anni cinquanta e sessanta, il c.d. Miracolo Economico ha impresso tanto una crescita dei consumi interni quanto è stato capace di acuire il divario tra Nord e Sud, oltre alla totale assenza di un piano agricolo nazionale capace di aumentare la redditività di un comparto, l'agricolo, che era fonte di reddito per circa ¼ della popolazione italiana, quasi esclusivamente concentrata nel Sud e in parte nella regione padana. 

Nella Italia del Miracolo, dove ogni famiglia iniziava a possedere almeno un elettrodomestico, e la televisione faceva il suo ingresso nei salotti di casa, si consumava uno degli eventi che ancora oggi pesano come macigni sulla azione di qualsiasi governo. L'apparato amministrativo si trasformava in classe sociale, grazie ai generosi aumenti salariali, una serie di privilegi e una corruzione dilagante mai contrastata dalle classi dirigenti della Democrazia Cristiana che di quel bacino elettorale si serviva per contrastare l'egemonia del Partito Comunista nelle fabbriche. 

Invece, per l'Italia, gli anni Settanta rappresentano forse il periodo storico che coincide con la prima resa dei conti, dopo due decenni di spesa pubblica incontrollata che aveva fatto schizzare il rapporto Debito Pubblico/ PIL dal 37 % del 1970 al 56% del 1980. Insomma, si consumava sulla pelle degli italiani il tentativo della Democrazia Cristiana di contrastare l'avanzata del consenso sociale verso il partito Comunista, proprio con una serie di investimenti a debito, in particolare gestiti dall'IRI, responsabili della crescita senza ritorno del debito pubblico italiano che oggi si attesta al 130% con proiezione di crescita incessante.

Gli anni Settanta segnano anche il passo rispetto alla crescita della economia, con il PIL che si dimezza dai valori del +5, l'inflazione in costante aumento, fino al 21% del 1980, e la crisi petrolifera che segna un altro evento al quale l'Italia non saprà reagire con la diligenza del buon padre di famiglia. 

Negli anni Settanta, l'Italia scopre di essere dipendente da fonti estere per quanto riguarda l'approvvigionamento energetico. Nel 1973, in seguito alla guerra Arabo-Palestinese dello Yom Kippur e il relativo embargo dei paesi OPEC verso l'Occidente, schizza il costo del petrolio e l'Italia si ritrova a viaggiare a targhe alterne. Mentre altre nazioni imparano la lezione, investendo nel risparmio energetico o nelle fonti alternative, l'Italia rimane legata indissolubilmente al petrolio del Golfo Persico, diminuendo la sua dipendenza dal petrolio solo dal 75% del 1973 al 60 % del 1985. Percentuale che inizia a risalire in seguito al referendum del 1987 che sancirà la fine dell'era nucleare in Italia.

Insomma, in altre parole, l'Italia capisce che, dopo gli aiuti americani del Piano Marshall, il suo posizionamento nello scacchiere occidentale non potrà essere indolore, dipendente come è dal petrolio e incapace di riformare la sua forma di Stato alle esigenze di un contesto geopolitico che cambia. Il potere degli apparati centrali resisteranno ai tentativi di cambiamento che la classe dirigente cercherà di imporre al paese.

Gli anni Ottanta, infatti, sono stati caratterizzati dalla stagione delle riforme costituzionali e amministrative non approvate. L'Italia, appena uscita dal periodo della strategia del terrore, con governi che lamentavano la difficoltà nel rispondere alle sfide dell'epoca, proprio per via di un apparato burocratico amministrativo ingessato e riottoso, inizia a pensare alle prime riforme costituzionali. Lo fa nella figura di Bettino Craxi e nelle idee e dottrina di Norberto Bobbio, ma sono solo parole al vento che non si concretizzeranno mai in significativi processi di riforma. 

Nel frattempo, alle porte si affaccia un'altra entità esterna che tanto influirà sulle sorti della famiglia italiana, nel frattempo indebitata fino al collo e incapace di rimanere al passo coi tempi. Mentre le famiglia italiane arricchiscono i loro portafogli, grazie a un regime fiscale che permette evasione ed elusione, il sogno di Ventotene, ovvero una Europa unita e federalista, prende forma. La Comunità Europea, e siamo negli anni novanta, il primo novembre 1993 diventa Unione Europea, grazie al trattato di Maastricht che segna una svolta epocale nei rapporti interstatali tra i membri del club Europa. Infatti, caduto il muro di Berlino, crollata la corazzata sovietica con il riposizionamento dei paesi dell'Est (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacca, principalmente) verso l'Occidente, alla neonata Unione Europea si pone la questione del suo allargamento ad Est. Arrivano a grappoli, nel quartier generale di Bruxelles, le candidature di paesi che chiedono l'adesione all'Unione. Presa la decisione di accettare gran parte delle candidature, è necessario stabilire dei parametri economici e finanziari di accesso che però, debbano valere anche per i vecchi membri. 

In particolare, uno di questi colpisce maggiormente l'Italia, ovvero l'obbligo di diminuzione del debito pubblico e, in sintesi, il mantenimento del pareggio di bilancio nei conti dello Stato. 

Ora, capace di chiudere in pareggio di bilancio 22 esercizi finanziari tra il 1995 e l'anno scorso, la famiglia Italia non è mai riuscita a diminuire il debito pubblico, proprio a causa della enorme massa di titoli di Stato che a partire dagli anni sessanta erano stati emessi per finanziare la spesa corrente e gli investimenti e che ora, per il 60 % nella pancia delle famiglia italiane, producono quegli interessi per importi di circa 70/80 mld di Euro/anno, che nel tempo hanno sempre inchiodato le possibilità di manovra dei governi italiani.

Ma con Maastricht, l'Europa immagina anche una moneta comune, come effettivamente avviene dal 1 gennaio del 2001. Un evento che avrà un effetto immediato sui conti pubblici italiani, grazie all'abbassamento della inflazione e dei tassi di interesse, ovvero una drastica diminuzione degli interessi che annualmente il governo italiano deve pagare agli investitori che finanziano il debito pubblico. 

Sono indubbi vantaggi che però l'Italia spreca miseramente, continuando a non intervenire sulla forma di Stato e mancando una serie di riforme che avrebbero potuto aumentare l'efficienza generale del suo apparato amministrativo. Crollato il debito dal 121,8 % del 1994 al 106,3 del 2008, proprio grazie alla stabilità indotta dalla partecipazione italiana al controllo dei parametri finanziari da parte di Bruxelles e, in seguito, al progetto monetario, l'Italia rimane fanalino di coda per investimenti pubblici e utilizzo delle nuove tecnologie, con una amministrazione pubblica che ancora usa timbri e carte bollate per comunicare con il cittadino.

La crisi finanziaria del 2008, innescata dalla crisi dell'immobiliare americano, con ricadute pesanti in tutto il mondo, trova la famiglia italiana del tutto impreparata, ancora con il suo carico di obsolescenza che facilmente diventa preda di speculatori internazionali. E' un gigante, l'Italia, ma coi piedi d'argilla, piegato dall'onda inflazionista che nel 2011 produce la crisi dell'ultimo Governo Berlusconi, piegato da un differenziale tra il titolo di Stato tedesco e quello italiano che supera i 500 punti. In parole povere, per ricomprare il debito pubblico italiano che ogni anno deve rinnovarsi, visto che l'Italia non è stata capace di ridurlo fino alla soglia del 60% rispetto al Prodotto Interno Lordo, come richiesto dai parametri di Maastricht, gli investitori stranieri, molto spesso imprenditori italiani che grazie a sofisticati strumenti finanziari dall'estero speculano sulle debolezze del nostro sistema Italia, impongono al Tesoro aste con promesse di pagamento per interessi superiori al 5% del valore nominale del titolo. 

La bolla finanziaria speculativa, il pericolo che i conti del sistema Europa saltino, impone alla Banca Centrale Europea, istituzione terza rispetto agli stati membri della UE e la Unione stessa, di investire le proprie risorse per tamponare l'onda inflazionistica. L'azione parte nel 2015 in differenti ondate che si concluderanno alla fine di questo anno, ma la richiesta di Francoforte agli Stati è la messa in sicurezza dei conti pubblici. Ancora una volta, una richiesta che il padre della famiglia Italia non riesce ad esaudire, pur avvantaggiandosi dal fatto che in tre anni la BCE ha acquistato titoli pubblici italiani per un valore di 345 miliardi di Euro, mantenendo così basso il differenziale col Bund tedesco. Un investimento che ha letteralmente bloccato le ondate speculative sul nostro paese.

In conclusione, tutto questo serve a dimostrare un importante elemento, nella vita degli Stati. Ovvero, il concetto di interdipendenza tra di essi. Interdipendenza per quanto riguarda l'approvvigionamento energetico, alimentare, nei rapporti economico-finanziari e quant'altro. Una interdipendenza che fatalmente crea obblighi, esattamente come accade in una qualsiasi famiglia che magari, si reca coi propri figli al ristorante o al cinema, dove il padre deve preoccuparsi del comportamento dei figli che una volta grandi a loro volta dovranno essere buoni genitori. Quando ci lamentiamo delle logiche sovranazionali e intergovernative che nella storia hanno sempre intersecato la vita della nostra Nazione, ricordiamoci del fastidio provato quando al ristorante, nel tavolo accanto al nostro, si scatena una rivoluzione o quando al cinema, quello di fronte parla per tutto il tempo del film. All'uscita del cinema, siamo i primi a criticare negli altri quello che noi non sappiamo fare!