Madre coraggio
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Politica | Avvenne domani

Madri coraggio

Nelle colonne di profughi ammassati alle frontiere dell’Ucraina ci sono le madri che cercano di mettere al sicuro i figli.

Credo che nessuno, a parte i soliti sputasentenze digitali, possa anche solo immaginare come andranno a finire le cose laggiù ad est, ma una cosa era già certa ed assodata ancor prima che un cannone tirasse il primo colpo: a dichiarare la guerra sono stati come sempre gli uomini e a pagare il prezzo più terribile saranno come sempre le donne.

Nelle colonne di profughi ammassati alle frontiere dell’Ucraina ci sono le madri che cercano di mettere al sicuro i figli. Sono le figlie e le sorelle di molte delle donne che avevano già dovuto andarsene per approdare nelle nostre terre e caricarsi sulle spalle il compito di assistere i nostri anziani. A Bolzano le potevi incontrare a volte sulle panchine dei parchi cittadini. Nella mezza giornata di libertà si ritrovavano per scambiare ricordi e nostalgie o magari notizie di quei figli lasciati a casa e preda di malesseri psicologici tanto pronunciati da aver dato il nome ad una sindrome.

Oggi sono le stesse donne che, sulle piazze e davanti ai negozi, raccolgono le offerte da mandare a casa, stipando cibi e medicine su quegli stessi furgoncini che utilizzavano per gli estenuanti viaggi di ritorno. Partenza per viaggi interminabili fissata come sempre all’imbocco di viale Trento.

Adesso, sulle stesse strade, passano le auto e i pullman che portano ad occidente le donne che fuggono. Cercano di oltrepassare i confini che a volte si aprono e a volte restano chiusi.

Passano gli anni ma le storie sono sempre le stesse.

Vengono alla mente altri confini ed altre donne. I valichi in alta quota nelle nostre montagne dove, in quell’estate del 1945, trovavi le donne che da sole cercavano un passaggio per tornare a casa. I mariti e i figli erano lontani, prigionieri o nascosti per evitare l’arresto. Qualcuna si perdeva nella neve ancora alta, qualcuna finiva vittima dei predatori feroci che le aspettavano al varco. Non lupi, ma uomini che la guerra aveva educato al peggio. Le avresti ritrovate, nei mesi successivi ad affollare i marciapiedi delle stazioni ad ogni arrivo dei treni che riportavano a casa qualche prigioniero liberato. Nella speranza di riconoscere un volto, nell’ansia di chiedere notizie, mostrando una foto ingiallita.

Non vi è peggior menzogna di quella, coltivata ad arte dai teorici di un’estetica raffinata della guerra, secondo cui, sino ai tempi moderni, i conflitti erano una cosa riservata ai militari, scontri cavallereschi tra divise di un colore diverso da cui i civili, donne e bambini restavano accuratamente intonsi.

Nulla di più falso. La storia documenta senza possibilità di smentita che, prima e dopo le battaglie campali, il prologo e l’epilogo delle violenze si abbattevano senza risparmio sui più deboli e indifesi. Sulle donne soprattutto.

Il simbolo di tutto questo resta l’immagine della Madre Coraggio di Brecht che trascina il suo carro sui campi di battaglia nella Guerra dei sette anni, cercando senza successo di proteggere i suoi figli, sempre sconfitta dalla violenza bellica ma mai domata nello spirito.