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Quel dito in aria

Tredici anni dopo il gran rifiuto della SVP al centrodestra sta effettivamente cambiando qualcosa?

Silvio Berlusconi arriva a Bolzano domenica 22 maggio 2005. Il blitz altoatesino dell'ex cavaliere passerà alla storia per quel dito medio alzato, durante un comizio in direzione di un gruppetto di contestatori. L'immagine del cavaliere in quella posa, affiancato da un'ilare Biancofiore, farà il giro del mondo e darà la stura ad un'interminabile polemica. Il tutto finisce per oscurare il vero significato politico della giornata. Quando Berlusconi sale sul podio di piazza Vittoria ha già incassato l'educato ma fermissimo diniego della Suedtiroler Volkspartei ad appoggiare, sia pur dall'esterno, la giunta di centro-destra che il neosindaco Giovanni Benussi sta vanamente cercando di formare.

Giova ricordare, per gli immemori, che un paio di settimane prima lo stesso Benussi aveva battuto per un'incollatura, al ballottaggio, il sindaco uscente Giovanni Salghetti Drioli. Per effetto dei perversi meccanismi di una legge elettorale che unisce senza armonizzarli il criterio proporzionale e quello maggioritario, Benussi si era trovato eletto come Sindaco ma senza una maggioranza che gli desse la fiducia. Da qui la necessità di aprire una trattativa con l'unico partner possibile: la SVP. Per vincere l'atavica diffidenza della Stella Alpina era dunque stato arruolato il testimonial più autorevole. Tutto inutile. L'incontro di Berlusconi con la delegazione guidata da Luis Durnwalder non aveva spostato di un millimetro la posizione della SVP, indisponibile anche ad una qualsiasi forma di sostegno. Terminava così, in una manciata di giorni, la vicenda politica del primo sindaco di centrodestra eletto a Bolzano. Qualche mese dopo sarebbe iniziato il decennio di Luigi Spagnolli.

Quell'estate di tormenti politici ritorna oggi di attualità. È lecito domandarsi, infatti, se in questi tredici anni qualcosa sia cambiato e se oggi la risposta della SVP ad un'ipotesi di accordo con il centrodestra italiano sarebbe ancora respinta con eguale fermezza. È stato il tema politico più discusso a Bolzano nella fase successiva al voto del 4 marzo scorso. Ad alimentare il dibattito l'offensiva mediatica del sindaco di Laives, che, vistosi proiettato improvvisamente sul proscenio della politica nazionale come l'unico primo cittadino dello stivale a capo di una giunta nella quale convivono, sia pur su posizioni asimmetriche, la Lega e i 5stelle ne ha approfittato per proclamare "urbi et orbi" l'estensibilità del suo modello anche alla prossima giunta provinciale. Da annotare a margine anche le pur cautissime aperture di credito verso le forze politiche uscite vincitrici dalle urne effettuate da diversi esponenti della Volkspartei.

Prima di rispondere al quesito occorre tuttavia aver ben chiaro che la questione delle possibili future alleanze con i partiti italiani occupa in questo momento, nell'agenda politica della Suedtiroler Volkspartei, un ruolo assolutamente marginale.

Da qui alla fine di ottobre, quando si voterà per eleggere il nuovo consiglio provinciale, in casa SVP il tema politico dominante sarà solamente uno ed è quello riguardante il risultato che il partito riuscirà a produrre in termini di voti ottenuti e di seggi conquistati. È bene ricordare che da diverse legislature ormai la Sammelpartei vede ridursi progressivamente i suoi consensi. Nel 2003 aveva ancora il 56,6% dei voti e 21 seggi su 35. Nel 2008 la maggioranza assoluta svanì in termini percentuali (48,1%),  ma per effetto del gioco dei resti la SVP la conservò in termini di seggi. Cinque anni fa anche questo vantaggio si è dissolto e, per tutta questa legislatura, la maggioranza è stata garantita dai due voti del Partito Democratico. In parallelo è cresciuta in modo netto la presenza dei partiti secessionisti della destra sudtirolese.

Ora si tratta di stabilire se il trend avviato una decina di anni fa è destinato a proseguire, ad interrompersi o addirittura ad invertirsi. Quest'ultimo obiettivo è stato proclamato dall'Obmann Achammer, per il quale non è impossibile la riconquista della maggioranza assoluta. Non andasse così si tratterà di capire a quale distanza si collocherà il risultato della stella alpina dalla soglia fatidica dei 18 seggi che consentono di eleggere una giunta, amministrare un ricco bilancio, pilotare per cinque anni il piccolo staterello autonomo compreso tra Salorno e il Brennero.

Solo una volta svelati gli scenari del dopo voto, nel pensatoio di via Brennero inizieranno ad essere distillate le strategie riguardanti le future alleanze e la scelta conseguente di un partner italiano, la cui presenza in giunta provinciale, è bene sempre ricordarlo, non è il frutto di una libera scelta politica ma nasce da un preciso obbligo contenuto nello Statuto di autonomia.

Da questo punto di vista il dibattito di queste settimane risulterebbe quindi abbastanza accademico, anche perché si basa, in buona parte, sui presunti effetti in chiave locale delle scelte politiche che vanno maturando in campo nazionale. Anche qui bisogna aver presente, con molta chiarezza, che una prassi politica consolidata nel tempo vede la SVP tenere sempre nettamente distinte le sue scelte in campo nazionale da quelle che vengono fatte in sede locale. Dal 1948 in poi l'atteggiamento nei confronti di tutti i governi che si sono susseguiti nella prima e nella seconda Repubblica è stato determinato sempre e solamente dal loro atteggiamento nei confronti delle richieste e degli interessi della minoranza sudtirolese e questo anche a prescindere dalle alleanze elettorali che, in specie in questi ultimi decenni, sono state rese necessarie o giudicate opportune per rispondere al dettato delle varie normative di volta in volta in vigore.

A livello locale, provinciale e comunale, la SVP si è sempre mossa invece per massimizzare il proprio potere d'intervento e di controllo delle varie amministrazioni, scegliendo i partners di governo preferibilmente nell'area centrista e comunque tra i partiti di salda fede autonomista. Quest'ultimo requisito, a fronte, tra l'elettorato italiano, di una fortissima componente che si riconosceva nella destra anche autonomista, ha di fatto ristretto la scelta ai partiti del cosiddetto centro sinistra autonomista.

È una situazione che dura ormai da qualche decennio, ma che mostra chiari segni di logoramento. Questo ci riporta automaticamente alla domanda con la quale avevamo avviato queste riflessioni: a tredici anni dal gran rifiuto inflitto a Berlusconi, è cambiato veramente qualcosa?

La risposta non può essere che affermativa. Intanto qualcosa, e non poco, è cambiato nel centrodestra altoatesino. Quell'invincibile armada che mandò a casa un Giovanni Salghetti, tiepidamente sostenuto dall'elettorato tedesco, aveva la sua spina dorsale nel partito di Alleanza Nazionale, diretto erede dei voti e delle politiche del Movimento Sociale Italiano. Quel patrimonio politico si è frantumato e disperso in mille rivoli ed oggi, a dirlo sono i risultati delle ultime tornate elettorali, la forza trainante del centrodestra è sicuramente la Lega di Matteo Salvini. A mascherare questa realtà contribuisce il fatto che sia la Lega stessa che Forza Italia non sono attualmente presenti in consiglio provinciale a causa di quella sorta di incredibile suicidio politico che ha portato le due formazioni a regalare, nel 2013, i loro voti alla lista guidata dalla consigliera Elena Artioli, scomparendo così dal maggior teatro politico altoatesino. Un errore che, perlomeno si presume, non verrà replicato nel prossimo autunno. È altrettanto vero però che, di fronte ad un appuntamento elettorale per il quale si vota con il sistema proporzionale, gli appelli all'unità lasciano il tempo che trovano. È indubbio che l'atteggiamento della Suedtiroler Volkspartei nei confronti della Lega potrebbe essere assai diverso da quello riservato da sempre ai partiti che hanno fatto dell'antiautonomismo la loro ragion d'essere negli ultimi cinquant'anni di storia altoatesina. Il maggior motivo di diffidenza nei confronti del partito di Salvini deriva proprio dal fatto che esso è organicamente inserito in un centro destra con il quale le posizioni su molti temi restano distanti, ma anche qui non si tratta di un diniego assoluto. Lo stesso discorso, sia pure in termini un po' diversi, vale per i 5stelle. La diffidenza qui nasce da alcune posizioni adottate in passato dal movimento attualmente guidato da Luigi Di Maio, ma, anche in questo caso, diffidenza non significa totale chiusura.

Negli ultimi anni, infine, la Suedtiroler Volkspartei ha dato ampia dimostrazione di muoversi con estrema duttilità, mettendo in soffitta schemi che parevano consolidati. A livello locale, nel comuni medio piccoli come Laives, dove le questioni di contrasto etnico non fanno parte del vissuto politico quotidiano, ecco realizzarsi anche alleanze con il centrodestra italiano. In un centro più grosso come Merano, la SVP fa buon viso a cattivo gioco e accetta di entrare nella giunta formata da un sindaco eletto dai Verdi pur di non abbandonare del tutto le posizioni di potere.

Sono i segni più o meno percettibili che fanno intendere come schemi cristallizzati nel tempo siano ormai consunti. Questo non vuol dire necessariamente che, nel prossimo autunno, assisteremo necessariamente a clamorosi ribaltamenti di alleanza e di scelte politiche, ma a tutti gli attori politici che si muovono sulla scena altoatesina dovrebbe esser chiaro che la partita si giocherà comunque con protagonisti in parte diversi da quelli del passato e con regole nuove.