Philipp Achammer
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Società | Maltrattamenti

Patente e Patentino

La debolezza sulla strada dimostrata da Philipp Achammer rivela forse l'imperfezione del nostro (e quindi anche del suo) plurilinguismo?

Ho preso la Patente di guida  relativamente tardi. Anzi, molto tardi, a 26 anni suonati. L'ho presa quando abitavo in Germania e la cosa curiosa è questa: quando tentai la prima volta, più o meno a diciannove anni, in Italia, non capivo bene il linguaggio tecnico del manualetto che spiegava per sommi capi il funzionamento del motore e tutte le altre cose che bisognava sapere per superare l'esame di teoria. Forse era la scarsa motivazione, il fatto che trovassi deprimente, allora, leggere quella roba, ma in sostanza ne capivo poco. E all'esame di teoria bocciai. In Germania, invece, ecco il miracolo. Il tedesco non lo sapevo neppure benissimo, eppure mi pareva che in quella lingua le spiegazioni fossero molto più chiare che in italiano, più pregnanti, soprattutto più precise. L'esame, in Germania, lo passai. E per molto tempo – almeno fino a quando non mi fu imposto di cambiarla – ero anche molto orgoglioso della mia “Patente tedesca”, con la grossa “D” stampata sopra. Una specie di doppio passaporto, il segno di una distinzione, se non di una vera e propria eccellenza. Ho ripensato a questa vicenda al margine di quanto accaduto all'Obmann e Landesrat Philipp Achammer, anche lui affaticato (per non dire altro) dal problema della Patente. Non voglio qui ripercorrere il sentiero dei commenti più ovvi che sono stati spesi al riguardo: la compiacenza delle istituzioni che gli hanno agevolato l'esame, il trattamento di favore e tutto il resto. Spero venga fatta chiarezza (come si suol dire) e la questione, piuttosto triste e imbarazzante, sia ridimensionata. Una cosa però mi piacerebbe approfondire: Achammer, a quanto pare, ha sbagliato alcune domande del test perché la traduzione tedesca era “confusa”. L'ammissione è clamorosa. Nella provincia in cui tutto (o quasi) viene tradotto, in cui – almeno a parole – ci si fa un vanto della facilità con la quale possiamo passare da una lingua all'altra, pur potendo usufruire dell'inalienabile diritto di parlare solo la propria e quindi, in buona sostanza, continuamente vinti dalla tentazione di parlare solo quella, ecco che il massimo rappresentante della cultura tedesca, addirittura il suo difensore ufficiale, s'impappina su una traduzione “confusa” del testo italiano, forse oscuramente ritenuto responsabile, quel testo italiano, di aver generato la confusione stessa. L'episodio ha una sua tenerezza. Sorgono spontanee alcune domande. Ma davvero la traduzione era così fuorviante? Achammer avrebbe magari trovato più facile rispondere direttamente alle domande in italiano? Ha avuto l'occasione di confrontare i testi, ha cioè praticato un minimo esercizio di traduzione? E – il dubbio più sconcertante – se Achammer sapesse male il tedesco? Un'altra ipotesi plausibile è questa: Achammer aveva fretta, era impaziente, e come direbbe il Senatore Karl Zeller, si considerava troppo superiore per essere imbrigliato da una faccenda così umile: in fondo, con le beghe quotidiane del plurilinguismo hanno a che fare gli incolti, i “senza potere”, mica quelli che hanno congegnato i regolamenti che lo disciplinano, e quindi si sentono in diritto di non portarne la croce. Un'ultima domanda: ma Achammer il Patentino di bilinguismo ce l'ha? E – se ce l'ha – avrà avuto meno difficoltà a prenderlo di quanta ne ha provata dovendo rifare la Patente o anche lì ha avuto bisogno di un aiutino?