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Politica | Avvenne domani

Ricordando Umberto Segre

Moriva cinquant'anni or sono uno dei più acuti osservatori della realtà altoatesina

Il 13 dicembre del 1969, mezzo secolo fa, mentre i quotidiani annunciavano, con titoli di scatola l'orrenda strage di Piazza Fontana, si spegneva Umberto Segre. Docente universitario, giornalista, scrittore, acuto osservatore della realtà italiana, rappresentava allora una delle voci più libere e coerenti nel panorama della cultura nazionale. Nel clamore mediatico seguito all'infame attentato la sua morte ebbe scarsa risonanza e ancor minor eco ebbe in Alto Adige, dove pure vi sarebbero stati ottimi motivi per celebrarne l'opera e la memoria.

Umberto Segre, in provincia di Bolzano, era arrivato negli anni 30, quasi da esule. Studente alla Normale di Pisa s'era segnalato per l'attività e per il pensiero antifascista, sulla scia di grandi pensatori come Aldo Capitini. Condannato al confino per aver espresso solidarietà a Benedetto Croce, colpito, alla fine degli anni 30, da un ulteriore pesante stigma per l'essere di famiglia ebrea, era venuto a Bressanone in cerca di riparo e di cure mediche. Si appassionò, da subito, alle particolarità della situazione altoatesina così come si andava sviluppando sotto il regime fascista, ma continuò a frequentare l'Alto Adige anche dopo esser sfuggito, con la guerra, all'orrendo destino che aveva colpito molti membri della sua famiglia, morti nei campi di concentramento nazisti. Fu allora che, alternando il suo lavoro di docente universitario a Milano, con l'attività di pubblicista iniziò a scrivere dei saggi e degli articoli di giornale proprio sul problema dell'Alto Adige. Una visione, la sua, laica e ben distante da quella grondante nazionalismo con la quale le due opposte fazioni, italiani e tedeschi, si misuravano in quegli anni anche sul piano della pubblicistica. Gli articoli di Segre furono pubblicati su numerose riviste e, in particolare, sul quotidiano Il Giorno, destinato, tra l'altro, ad aprire una propria redazione altoatesina tra il 1967 e il 1971.

Se oggi abbiamo una panoramica abbastanza completa degli interventi di Segre sulla questione altoatesina lo dobbiamo al prezioso lavoro compiuto, una decina d'anni fa, dalla figlia Vera e da Paolo Mugnano che hanno raccolto in un volume ( "La questione dell'Alto Adige - Roma Edizioni Associate, 2007), reperibile abbastanza facilmente presso tutte le principali biblioteche pubbliche altoatesine, una serie di articoli pubblicati su varie testate tra il 1951 e il 1969. Il volume si apre tra l'altro con un'ampia prefazione firmata da Carlo Romeo e Leopold Steurer, che collocano opportunamente il lavoro di Segre nel contesto storico politico degli anni in cui egli scrive.

L'importanza di questi articoli e del personaggio che li scrisse a fatta risalire soprattutto al modo pacato e analitico con il quale egli si accostò ad un problema che eccitava, all'epoca, forti emozioni e che quindi si prestava ad essere strumentalizzato in chiave nazionalista sia dall'una che dall'altra parte. Segre, sulla base delle proprie fortissime convinzioni etico politiche e delle travagliate vicende personali, non punta il dito accusatore verso questa o quella posizione in campo, ma cerca di capire i problemi da risolvere ed è sicuramente un fautore convinto della possibilità di giungere ad un'intesa che eviti  il deflagrare progressivo della guerra etnica tra le Dolomiti.

Muore, come dicevamo, all'indomani di un fatto sconvolgente che segna la storia italiana, ma anche a pochi giorni da eventi che si collocano sullo spartiacque della vicenda altoatesina: il fatidico congresso SVP del novembre 1969 e il successivo dibattito sul "Pacchetto" che si svolge a Roma nei primi giorni di dicembre. Da questi avvenimenti Segre trae spunto per scrivere quello che sarà il suo ultimo articolo, uscito sul quotidiano Il Giorno il 9 dicembre, due giorni prima della morte dunque.

È un testo significativo e non a caso ho ritenuto di proporne un brano piuttosto corposo nell'antologia "Pensare l'Alto Adige", dedicata agli interventi di lingua italiana sulla questione altoatesina, che ho curato negli anni scorsi per l'editore Alpha Beta assieme a Gabriele Di Luca. Vorrei chiudere queste brevi note con le righe che concludono quel testo e che sono dunque una sorta di testamento del lungo lavoro di approfondimento di Umberto Segre sulle cose altoatesine: " Certo - scrive Segre riferendosi all'intesa appena ratificata - sarà un lavoro di tempo; richiede buon volere soprattutto dalla più giovane generazione sudtirolese e fiducia in se stessa da parte di quella italiana. Ma è finalmente la più giusta chiusura della pendenza.

Infine, pur non credendo negli uomini del miracolo, puntiamo ancora sempre su Magnago, nel senso in cui ha scritto di lui un grande settimanale di Amburgo: «Gli anni che ha passato a Roma a trattare gli hanno aperto lo sguardo su una realistica valutazione che il quadro di Bolzano offriva, in una prospettiva, non lontana nel tempo, di operosa cooperazione dei tre gruppi: tedesco, italiano e ladino".