Film | salto weekend

She Said

Un’immersione nel giornalismo investigativo con l’inchiesta del New York Times sul caso degli abusi sessuali compiuti da Weinstein. Un film potente ma non memorabile.
She Said
Foto: Screenshot

In gran parte per colpa di una pessima campagna di marketing della Universal Pictures, negli Stati Uniti il film di Maria Schrader sullo scandalo Harvey Weinstein, She Said (Anche Io nella trasposizione italiana), ha ottenuto incassi scarsi al botteghino. Compiaciuti e pienotti, i rappresentanti dell’ex capo della Miramax - uno dei produttori cinematografici di maggior successo di tutti i tempi nonché un predatore sessuale che ha usato la sua ricchezza, il suo privilegio e il suo potere per distruggere la vita di molte donne - hanno insinuato che il disinteresse e la stanchezza del pubblico per i fatti occorsi e il movimento #MeToo fossero le ragioni principali del fallimento del film.
Il 19 gennaio la pellicola esce al cinema anche in Italia, in Alto Adige verrà proiettata al Filmclub.
Sapete cosa fare.

Cos’è

She Said segue le reporter del New York Times Jodi Kantor (Zoe Kazan) e Megan Twohey (Carey Mulligan) mentre lavorano per convincere le sopravvissute alle violenze sessuali del magnate del cinema Harvey Weinstein (Mike Houston) a rompere il silenzio sugli abusi subiti. Il 5 ottobre 2017 un articolo firmato dalle due giornaliste ha reso pubblico ciò che si sussurrava da anni e ha raccontato come, grazie a una rete di complicità, alla paura pervasiva di un’industria e a una serie di cospicui pagamenti, Weinstein fosse riuscito a evitare di rendere conto dei crimini commessi e quanto profondi e ampi siano stati i suoi insabbiamenti. La denuncia del NY Times ha scatenato tutto ciò che è venuto dopo: cause giudiziarie, accuse penali, la nascita del movimento #MeToo su scala globale.

She Said | Official Trailer

 

Com’è

È un film che comprende chiaramente i meccanismi del reportage e che vuole rendere omaggio a due giornaliste, la cui perseveranza ostinata e il cui duro e minuzioso lavoro hanno contribuito in massima parte alla caduta di Weinstein, di recente dichiarato colpevole di tre capi d’imputazione per stupro e violenza sessuale dalla Corte superiore di Los Angeles dopo una condanna analoga avvenuta a New York nel marzo 2020 per cui l’ex titano di Hollywood sta già scontando 23 anni di reclusione.
She Said è una rappresentazione rispettosa e accurata di un tema difficile, che riesce a catturare il terrore e il costo umano del regno di Weinstein mettendo in luce il coraggio delle donne che si sono espresse con grande rischio per se stesse. Eseguito con intelligenza, moderazione e competenza il film ha il merito di restare in ogni momento lontano dal sensazionalismo da network televisivo in cui avrebbe potuto facilmente inciampare, trattando il suo delicato argomento con sensibilità e sobrietà.

Allo stesso tempo non riesce però a fornire al dramma quel tipo di passione o convinzione che lo avrebbe portato agli standard di film d’inchiesta come Il caso Spotlight, Zodiac o Tutti gli uomini del presidente (l’asticella è alta, d’accordo, ma non dovrebbe essere sempre così?); né affronta adeguatamente il tema di come molte persone a Hollywood abbiano permesso che l’intero sistema di segretezza e negazione andasse avanti indisturbato per decenni (un film molto più “piccolo” come The Assistant, ad esempio, ha avuto un impatto maggiore senza bisogno di alcun personaggio da esporre). In sostanza: She Said non è l’appello risoluto che si sperava fosse. Ci sono tuttavia molte scene forti e avvincenti nel corso del film - una notevole con Samantha Morton nel ruolo di Zelda Perkins, un’ex dipendente della Miramax; un’altra con Ashley Judd che interpreta se stessa; la potenza emotiva del prologo - all’altezza del peso della narrazione.

Non vediamo mai il volto di Weinstein, ma lo sentiamo - al telefono e in un’agghiacciante registrazione, ed è apprezzabile la scelta di far operare l’ex produttore cinematografico più come una figura che incombe sull’indagine piuttosto che come parte effettiva della trama.
Schrader è determinata nel restituire alle sopravvissute la loro voce e la prospettiva femminile di questa storia si estende a ogni aspetto del racconto compresa la lotta costante, a volte estenuante, delle due reporter nel cercare un equilibrio tra vita e lavoro. Su questo il film ha uno sguardo eloquente, funziona invece un po’ meno quando lascia che il dramma intrinseco faccia la maggior parte del lavoro pesante. La storia avrebbe meritato qualcosa di più.

Voto: ***