Società | Lettera da Berlino

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Dalla mezzanotte più qualche secondo del 6 febbraio, saranno più numerosi gli anni senza il Muro di Berlino che, invece, gli anni con quella barriera maledetta.
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Foto: Pixabay
Tutto sommato, la Germania e Berlino avevano di nuovo bisogno di virare dalla cronaca alla Storia. Soprattutto la capitale tedesca, traslucida e policroma testimone degli avvenimenti ma un tempo motore di quanto accadeva non solo nel proprio territorio geo-culturale.
Ebbene, dal secondo minuto di questo 6 febbraio 2018 Berlino e la Germania (e soprattutto i tedeschi, Wessi ed Ossi che sian stati e rimasti ancora) hanno un avvenimento da festeggiare e sul quale perfino riflettere. Dalla mezzanotte più qualche secondo del 6 febbraio, saranno più numerosi gli anni senza la Mauer, senza il Muro di Berlino che, invece, gli anni con quella barriera maledetta e non solo simbolica fatta di cemento armato, filo spinato e un ossario che incombe.
Ossario ancora da studiare e legato a tutti coloro che, per 28 anni, due mesi e 26 giorni fino al 9 novembre 1989 hanno tentato di passare da Ost a West Berlin e sono stati stroncati dalle mitragliatrici della kalter Krieg.
La ricorrenza, con tanto di riferimento a “Zirkeltag” (cioè quando un compasso inizia a tracciare la seconda metà del cerchio) ha invaso i media tedeschi e le menti dei berlinesi. Ossi e Wessi, cittadini della ex Ddr e della ex Bundesrepublik fino a novembre 1989, esistono ancora e nessuno qui a Berlino se lo nasconde. A Est stanno peggio lavoratori, pensionati e studenti. Ad ovest – secondo la testimonianza raccolta da Paolo Valentino, benvenutissimo corrispondente per un secondo mandato del Corriere della Sera – “i Wessi sono più sfacciati, gli Ossi più timidi”.
Il tassista pakistano che fa la spola tra l’aeroporto e l’ancora vivace ma un po’ in affanno quartiere di Kreuzberg sorride, disincantato e ci dice: “E noi, immigrati da generazioni (i più longevi e radicati sono i turchi, ma considerati extraeuropei ndr), allora noi chi siamo? Comparse? Fantasmi? Entità trasparenti?”.
Ingo Schulze e Peter Schneider, scrittori coraggiosi e non allineati, anche “cantori” di una Mauer che deve ancora essere abbattuta nella mente delle persone e non solo fisicamente dalle ruspe, stanno per ora alla finestra. Il loro è un approccio coraggioso e legittimo: ma fan capire che, certo, stare senza più Muro può rappresentare un inizio.
 
Tutti si dicono ormai convinti che il Muro sia “ancora in corso di abbattimento” e dunque in teoria non del tutto scomparso.
I miei allievi di storia del Giornalismo si dividono. I tedeschi e gli europei in generale propongono alcuni approfondimenti. Le allieve giapponesi e vietnamite scrivono poesie sulla ricorrenza del 6 febbraio 2018, la fidanzata (certo: “la” fidanzata) di una di loro scappa a casa per comporre una pagina al violoncello.
Il riferimento e l’omaggio, ovvio, vanno a a Mstislav Rotropovich, che suonò davanti al Muro cha iniziava a cadere due giorni dopo la data fatidica dell’ 8 novembre 1989.
Il titolo della nuova composizione c’è già: Il 13 agosto 1961 venne eretto, il 9 novembre 1989 venne abbattuto. Il cerchio si chiude il 5 febbraio 2018, #Zirkeltag. Titolo lungo ma anche molto, molto nipponico.
E così, mentre la giornata del 6 febbraio sarà di festa e memoir (anche polemici: festeggiare i morti falciati mentre provavano a scappare ad Ovest?), tutti si dicono ormai convinti che il Muro sia “ancora in corso di abbattimento” e dunque in teoria non del tutto scomparso.
E si parla ancora della notizia di qualche giorno fa (in Italia l’abbiamo letta su “La Stampa”) di .quegli 80 metri di mattoni nel sobborgo di Schönholz, quasi al confine con la ferrovia, che appartengono davvero al Muro di Berlino.  
A saperlo da vent’anni, ma ad aver mantenuto il segreto sino ad oggi, è lo storico Christian Bormann, che ha deciso di rendere pubblica la sua scoperta per tutelarla dalle intemperie e dal vandalismo.
E dalla Storia, anche? I più, nel quartiere Mitte di Berlino, inarcano le spalle e corrono verso un negozio di libri usati.