Politica | Gastbeitrag

Per Manci i tedeschi erano ‘fratelli’

Ebbe un forte respiro europeo il testamento politico del capo del CLN regionale, divenuto recentemente cittadino onorario di Bolzano pur tra qualche critica.

Il riconoscimento e l’omaggio tributato dalla città di Bolzano all’alta figura del conte Giannantonio Manci, che seppe usare parole di fratellanza con il popolo tedesco anche nei terribili momenti in cui   fu sottoposto dalla Gestapo a torture che lo portarono alla morte, è un segno della volontà dei gruppi linguistici di proseguire l’impegno per la convivenza, in coerenza, nonostante qualche momentanea incomprensione, con l’invito contenuto nell’estremo messaggio di Alexander Langer a “continuare in ciò che è giusto”. 

Di Giannantonio Manci, esponente di primo piano della Resistenza trentina, caduto vittima della repressione nazista nel luglio dei 1944, manca a tutt'oggi una biografia completa. Un tassello importante di questa è sicuramente la partecipazione - che coincide con l'inizio della sua attività politica - all'impresa fiumana a fianco di D'Annunzio. Era con lui il coetaneo Gigino Battisti, con cui Manci condividerà tutte le scelte successive dall'antifascismo alla Resistenza; sullo sfondo le due madri, Emesta Bittanti Battisti e Giulia Sardagna Manci, nel cui scambio epistolare di quegli anni si coglie il comune sentimento patriottico a sostegno dell'italianità di Fiume . Manci, pur giovanissimo, sostenne un ruolo significativo durante l'anno fumano e divenne ad impresa conclusa, nel 1921, punto di riferimento a Trento della costituenda sezione locale della «Federazione dei Legionari Fiumani» attraverso la quale con l'aiuto di Gigino Battisti operò per orientare in senso antifascista gli ex-combattenti trentini nel biennio decisivo che va dalla marcia su Roma al delitto Matteotti.

La formazione mazziniana, l'opzione antimonarchica che già Giuseppe Chiostergi aveva sottolineato essere una delle caratteristiche del fiumanesimo,  portarono Manci ad abbracciare con entusiasmo il progetto che Alceste De Ambris, capo di gabinetto nel comando flumano dal gennaio dei 1920, andava elaborando, e che si concretizzò nella Carta dei Carnaro. In effetti Manci svolse un ruolo molto attivo a sostegno dei sessanta trentini arruolati a Fiume nella «Legione Cesare Battisti» travagliati, negli anni successivi, da non pochi problemi esistenziali come risulta dalla ricca corrispondenza in argomento conservata fra le sue carte . Sicuramente pesò nella scelta  di Manci di aderire al fiumanesimo la tradizione della famiglia, fortemente impegnata nella secolare battaglia per il conseguimento dell'unità nazionale. La conclusione tragica della battaglia politica di Manci, seguita al suo appello all'italianità del Trentino rivolto al Commissario Prefetto Adolfo de Bertolini nel momento in cui il Gauleiter Franz Hofer sanciva di fatto l'annessione al Terzo Reich della terra di Cesare Battisti, colloca l'impegno del patriota trentino  all'interno di un contesto che poco concede alla retorica. Ne fa testo il suo testamento politico, steso nella veste di capo del CLN trentino, e la cui versione manoscritta fu ritrovata   da chi scrive, dopo lunghe ricerche, nel 40° della morte. 

L'importanza del manoscritto sta soprattutto nel fatto che esso costituisce il documento base della discussione che portò al manifesto programma della Resistenza trentina del febbraio 1944. Esso differisce dallo stesso manifesto in alcuni importanti passaggi: il richiamo ad un movimento azionista-socialista e il riferimento all'unione e organizzazione federale dei popoli liberi. Da esso emerge anche con forza il grande spirito unitario che faceva di Manci il vero capo della Resistenza trentina: si notino i richiami, ora incontestabilmente suoi, alla critica marxista e al rispetto del sentimento religioso.Tanto grande era il suo sforzo teso ad unire le forze democratiche nella lotta al nazifascismo quanto severo il giudizio negativo sulla corrente separatista trentina. Questo documento nel suo complesso viene a confermare a un tempo le testimonianze di Ferruccio Parri e Leo Valiani e l'opera altamente meritoria di Beppino Disertori, sempre tesa a sottolineare quanto Manci condividesse l'impostazione del Partito d'Azione.

Ciò che prima si poteva soltanto dedurre dall'analisi delle poche sue carte sfuggite al sequestro della Gestapo e dalle lettere all'amico Gigino esule in Svizzera, oggi viene confermato da questo documento, a sottolineare ancora una volta la coerenza fra l'azione del capo della Resistenza trentina e la tradizione risorgimentale, mazziniana e democratica della terra di Cesare Battisti. Infatti la dottrina a cui egli si richiama lo porta a sostenere l'avvento per l'Italia di una repubblica democratica fondata sul decentramento e le autonomie nello spirito dell'insegnamento di Carlo Cattaneo; mentre la sua azione politica si ispira al socialismo liberale con cui Carlo Rosselli nel 1934 programmava un nuovo umanesimo, azione che trovò in Italia il suo punto massimo di elaborazione con il manifesto redatto nel confino di Ventotene.

Proprio in questa terra di confine, dove - per praticare vie che portino alla realizzazione autentica di concetti quali autonomia e federalismo, giustizia e libertà, patria, socialismo, umanità, è necessario il richiamo ad uomini di grande intelletto – il testamento politico di respiro europeo del capo del CLN  si rivela particolarmente prezioso e deve essere motivo di orgoglio per tutti i Bolzanini avere in Manci un concittadino.

Per le notizie essenziali vedi, a cura di chi scrive, l'opuscolo Dedicato a Giannantonio Manci. 6 luglio 1944, Trento, 1984, e l'articolo del Bollettino dei Museo 0/1986) Un documento della Resistenza europea