Andreotti e Cossiga
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Politica | Avvenne domani

I diari di Giulio

C’è tanto Alto Adige nelle annotazioni relative al decennio 1979 - 1989

È sugli scaffali delle librerie da qualche settimana ormai il volume di quasi 700 pagine (I diari segreti, Giulio Andreotti, Solferino Editore), che raccoglie le annotazioni che, giorno per giorno, Giulio Andreotti segnò sul suo diario nel decennio che corre tra il 1979 e il 1989.

Quella di tenere, quotidianamente o quasi, un diario del tutto personale era un’abitudine che Andreotti aveva praticato sin quasi dagli inizi della sua attività politica. Sono già usciti in stampa I diari relativi a parecchi anni successivi al 1947 e all’anno 2000. Questo volume però raccoglie organicamente le annotazioni che riguardano un periodo cruciale dell’attività politica di Andreotti e della storia italiana. Anche in quella altoatesina. C’è molto Alto Adige, infatti, in questo libro ed è difficile scorrerne le pagine senza trovare frequenti riferimenti alle vicende di quegli anni tra Salorno e il Brennero. Annotazioni politiche innanzitutto, ma anche personali, quando si riferiscono ai frequenti periodi di riposo che Andreotti, in quegli anni soprattutto, amò trascorrere con la sua famiglia a Merano.

Prima di scorrere qualcuno di questi riferimenti vale la pena di ripetere, cosa già fatta su queste colonne, il ruolo a dir poco fondamentale che il politico Giulio Andreotti ha avuto nel dipanarsi delle vicende altoatesine dal 1945 in poi. Collaboratore strettissimo di Alcide Degasperi nei giorni in cui lo statista Trentino trattava a Parigi la stesura dell’Accordo con Karl Gruber, Andreotti continuò ad occuparsi delle vicende altoatesine sovraintendendo politicamente alla gestione di quell’Ufficio Zone di Confine che nell’immediato dopoguerra fu incaricato di tenere sotto controllo la situazione esplosiva di Trieste e quella, meno ribollente ma non certo meno delicata, di Bolzano.

Giulio Andreotti, tuttavia, assume un ruolo chiave soprattutto nell’ultima fase dell’attuazione del secondo Statuto di autonomia, riassumendo a sé le redini di una trattativa che, proprio a metà degli anni 80, era andata ad impantanarsi in una serie di questioni irrisolte e di veti contrapposti, con il rischio più che reale di un riaprirsi drammatico dello scontro etnico, sul quale contavano sicuramente anche i soliti manovali del tritolo che avevano ripreso a suonare la colonna sonora delle loro esplosioni nella speranza che la soluzione concordata da Aldo Moro e Silvius Magnago qualche anno prima finisse nel cestino della carta straccia e l’Alto Adige piombasse nella tanto agognata guerra civile.

Andreotti, in quegli anni, raccoglie sicuramente il testimone abbandonato tragicamente da Moro e condurrà in porto la trattativa come ultimo atto politico del suo ultimo governo. Sono avvenimenti in gran parte coperti dai diari appena pubblicati e, della situazione anzidetta, non mancano nelle pagine riferimenti più o meno estesi.

Il libro: se una sommessa critica può essere rivolta al certosino lavoro dei due curatori, i figli di Andreotti Serena e Stefano, essa relativa al titolo nel quale l’aggettivo “segreti” può diventare fuorviante proprio perché si riferisce agli scritti di un uomo sul quale è nata, mentre era ancora abbondantemente in vita, una truce leggenda secondo la quale il suo potere, così perenne e indisturbato, si basava anche sul possesso di una miriade di dossier imbarazzanti o addirittura incriminanti per una parte consistente del mondo politico ed economico d’Italia. Sarebbe deluso il lettore che pensasse di trovare in quelle pagine di diario la soluzione dei misteri veri o immaginati che costellano la storia italiana di quegli anni. Nulla di tutto questo, ma la narrazione quotidiana di un lavoro politico e di rapporti umani che costruiscono l’esistenza intera di un personaggio che da quell’impegno a quei rapporti è stato costantemente assorbito. Nulla di segreto quindi ma semmai di riservato, di personale, segno di un’epoca nella quale c’era ancora chi riteneva utile o addirittura necessario fermarsi ogni sera per qualche minuto per annotare i fatti piccoli e grandi di una giornata senza il bisogno, come avviene troppo spesso oggi, di farli conoscere urbi et orbi su Facebook. Nelle annotazioni c’è semmai la maggior attenzione dedicata, rispetto agli avvenimenti di portata nazionale e internazionale di cui Andreotti si occupava e che vengono citati a volte solo per cenni, a vicende minori come quella relativa ai suoi sforzi perché non venissero date in pasto al pubblico le fotografie di Papa Giovanni Paolo II che nuotava nella piscina di Castel Gandolfo, scattate da alcuni paparazzi e offerte alla stampa di mezzo mondo.

Andreotti e l’Alto Adige, si diceva. Le annotazioni sono molte ed alcune occupano solo lo spazio di qualche riga. Scorriamone alcune tra quelle, forse, più significative.

La prima si riferisce all’estate del 1979. Nella seconda metà di agosto Andreotti, assieme alla moglie Livia, trascorre alcuni giorni di vacanza in un noto albergo di Merano. Nella città del Passirio si trovava particolarmente bene, vuoi perché la sua privacy il suo desiderio di riposare erano accuratamente tutelati, vuoi perché ad un tiro di schioppo dalla sua stanza d’albergo c’era uno stupendo ippodromo nel quale, proprio in quelle settimane, poteva soddisfare la sua antica passione per l’ippica. A Merano Andreotti veniva infine anche fuori stagione per brevissime puntate in un altrettanto noto studio dentistico. Turismo e trapano: un binomio che, sempre a Merano, sarebbe stato ripreso, qualche decennio dopo, da Silvio Berlusconi.

Ma ecco quel che Giulio Andreotti scrive sul suo diario in data 23 agosto 1979:

 “visita del vescovo di Bressanone mons. Gargitter. Parliamo della sorridente funzione di Giovanni Paolo I e della grande speranza suscitata da Giovanni Paolo II. Teme solo che il superlavoro lo stanchi e lo distragga dalla guida della Chiesa. Prevede un indurimento in Alto Adige. Vi sono elementi turbolenti che vogliono riprendere il discorso pro Austria ad ogni costo (specie in Val Venosta). È vero: l’attrazione oggi è anche più per la Baviera. Magnago, presidente della Provincia di Bolzano sarà costretto a dire parole dure. Anche se gli dicono che è filo italiano non importa. Prega per me. Apprezza lo sforzo anche psicologico fatto. […] Piccoli episodi di razzismo antitaliano in provincia: a Silandro strappano una bandiera, a Brunico insultano l’assessore (tedesco!) Perché ha dato il campo sportivo squadre di calcio italiane. Speriamo che siano code e non avanguardie.

Il 24 cena con Magnago. Parliamo del concetto di partito di raccolta e della necessità di dare posto effettivo e lavoratori. Magnago è sensibile ad una telefonata di Cossiga che lo ha ringraziato per i voti SVP. Il 25 funerali del deputato SVP Gamper a Bolzano, con pittoresco corteo in costume le bande di Gries e Val d’Ultimo. Sfilo con i parlamentari SVP. Discorso di Magnago e ringraziamenti in italiano del celebrante. Saluto Gargitter e ritrovo il vecchio parroco di Colle Isarco”.

Quella che abbiamo riprodotto è forse la notazione più lunga che sul diario è riservata alle cose altoatesine. È interessante soprattutto il riferimento che, parlando con Andreotti, monsignor Gargitter fa alle accuse che gli vengono rivolte da parte di certi ambienti sudtirolesi di essere troppo filo italiano. Lo chiamavano, non a caso “walsche Seppl”. È un capitolo della storia della Chiesa altoatesina che è finito troppo frettolosamente nel dimenticatoio.

Ad una vacanza a Merano, invernale questa volta, fa riferimento anche un’altra annotazione di parecchi anni dopo. È il Capodanno del 1987 e Andreotti, sempre con la famiglia, era arrivato in Alto Adige per trascorrervi un breve periodo di riposo. Cercarono di rovinarglielo gli sconosciuti che misero un ordigno esplosivo subito all’esterno del suo albergo.

 “Nella notte tra i 30 e 31 - scrive Andreotti -esplosione vicino al mio albergo; sono gli oltranzisti tirolesi? Certo non concludere il pacchetto approvato anni fa dal Parlamento aiuta gli eversori. Mi sono occupato per più di quattro decenni in diverse vesti dell’Alto Adige, sin dai tempi dell’accordo De Gasperi - Gruber nel 1946. L’identità del gruppo etnico tedesco è salvaguardata meglio che in tutte le situazioni europee consimili, restano da perfezionare alcuni punti, dando sicurezza gli altoatesini di lingua italiana, verso i quali deve avere valore la stessa tutela. Chiuso questo capitolo 18 il motivo, o meglio il pretesto, di agitazioni, alcune eccitate anche da fastidiosi gruppuscoli stranieri, si potrà lavorare meglio in una feconda convivenza interfonica, di cui ognuno potrà beneficiare”.

Naturalmente Andreotti non si occupa di Alto Adige solo quando viene in vacanza a Merano. Molti appunti riguardano gli echi di dibattiti parlamentari o varie iniziative politiche. Di particolare significato, visto che in questi anni Andreotti si occupa più che altro di politica estera, sono i contatti con il governo austriaco. Il 29 giugno 1988, ad esempio, annota di aver avuto uno scambio di vedute con il ministro austriaco Alois Mock, venuto a Roma per l’investitura del cardinale di Vienna e per i lavori della Internazionale democratico cristiana. Per l’Alto Adige, riferisce Andreotti, ci si rallegra del completamento degli ultimi adempimenti del calendario operativo del 1969. Sono i giorni nei quali, con l’emanazione di un robusto pacchetto di norme di attuazione ferme ormai da anni, si pensa di essere ad un passo dalla conclusione del cammino e dalla chiusura della vertenza internazionale. In realtà le questioni da dirimere sono ancora parecchie e ci vorranno quasi quattro anni perché si possa arrivare alla meta. A creare un clima che sicuramente aiuterà a raggiungere un accordo è anche l’appoggio pieno dell’Italia alla richiesta austriaca di ingresso nella Comunità Europea. Il 7 gennaio 1989 Andreotti e a Parigi per partecipare alla Conferenza dei firmatari del patto per il bando delle armi chimiche. In margine ai lavori a diversi incontri di rilievo tra cui uno tra i tanti di quegli anni con Alois Mock che lo ringrazia per la posizione favorevole all’ingresso austriaco nella CEE e sull’Alto Adige ricorda l’importanza di avvalersi di Magnago per la chiusura della vertenza. Un giudizio ancor più significativo per essere stato espresso qualche mese prima che iniziasse il rapido processo di abbandono, da parte di Magnago, di tutte le sue cariche politiche che sarebbe culminato, nel 1991, e quindi prima della definitiva chiusura del “Pacchetto” con l’abbandono del ruolo di Obmann della SVP.

Questi dunque i diari che, come detto, contengono numerosi altri riferimenti alle cose altoatesine. Sono una sorta di testimonianza che rimanda ad un altro colossale patrimonio lasciato da Giulio Andreotti: il suo sterminato archivio conservato oggi presso la Fondazione Sturzo. Qualcosa, com’è noto, da quelle carte è già uscito. Ricordiamo, per averlo recensito su queste colonne, il libro di Luciano Monzali, dal quale, tuttavia, il ruolo di Andreotti nella vicenda altoatesina esce in un certo senso abbastanza ridimensionato. Lo stesso autore, venuto a Bolzano per la presentazione, ricordò tuttavia che l’archivio contiene moltissimo materiale riguardante le vicende altoatesine. I fascicoli dedicati a Magnago e ad Alcide Berloffa, se esaminati con storica accuratezza, potrebbero rivelare interessanti particolari sui vari passaggi che portarono all’emanazione delle ultime norme di attuazione. È uno dei tanti terreni che attendono di essere esplorati.

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△rtim post Sab, 11/07/2020 - 16:14

Sehr interessant.
Frage: Haben Sie nichts zum bekannten Revanchismus- und Pangermanismus-Sager Giulio Andreottis gefunden, der besonders in der BRD für großer Empörung sorgte, bis er sich als gewiefter Taktiker auf Südtirol herauszureden versuchte?

Sab, 11/07/2020 - 16:14 Collegamento permanente