Società | Civil Protect 2018

Nuovi rischi, percezioni alterate

La contemporaneità, con i suoi elementi di maggiore complessità rispetto al passato, costituisce un ostacolo in più per la capacità della società di organizzarsi e reagire alle condizioni di vulnerabilità.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Alessandro Narduzzo
Foto: Domenico Nunziata

Alessandro Narduzzo, vicepreside della facoltà di economia e management della Libera università di Bolzano, anticipa il ragionamento che illustrerà nella tavola rotonda “Sicurezza e rischio nella società moderna” (in programma venerdì 23 marzo alle 15), nell’ambito di Civil Protect 2018. Si tratta della piattaforma professionale per tutti gli operatori dei settori della prevenzione, del contrasto e della risoluzione di casi di crisi, che troverà spazio dal 23 al 25 marzo alla Fiera di Bolzano. Narduzzo e gli altri relatori si confronteranno “sui nuovi rischi, ma anche con possibili alterate percezioni degli stessi, anche in relazione al fenomeno montante delle fake news”. Assieme al professore di strategia d’impresa e gestione dell’innovazione sono attesi Rudolf Pollinger, direttore della Protezione civile altoatesina, Bruna De Marchi, sociologa, esperta di coordinamento delle emergenze di massa, Roberto Giarola, responsabile volontariato per la Protezione civile nazionale, e Bernd Noggler, che ha nel curriculum diverse missioni internazionali nel soccorso.

 

salto.bz: La tavola rotonda mette assieme esperti con una differente formazione e prospettiva. Qual è la sua, come docente di strategia d’impresa, riguardo alla relazione tra sicurezza e rischio?
Alessandro Narduzzo:
Certamente l’argomento proposto dalla tavola rotonda di Civil Protect si può leggere secondo diversi punti di vista. Il mio è quello di chi si occupa di management e organizzazione. Storicamente i temi della sicurezza e del rischio per la società sono messi in relazione a crisi e disastri naturali, come terremoti o inondazioni. Rispetto al passato, sempre più spesso le emergenze e l’impatto di queste dipendono dal comportamento dell’uomo.

 

Cosa intende di preciso?
Penso ai disastri dovuti al dissesto idrogeologico, in cui le conseguenze prodotte da eventi naturali dipendono in larga misura da quello che ha fatto l’uomo, oppure alle situazioni di crisi prodotte dal comportamento di uomini contro altri uomini: il terrorismo, le bombe, gli attacchi kamikaze che caratterizzano il mondo post 11 settembre. La società moderna è esposta a condizioni di vulnerabilità maggiori. In questo mutato scenario, c’è un elemento che gioca un ruolo determinante rispetto alla vulnerabilità della società e alla gestione delle emergenze: un’accresciuta e pervasiva connessione tra le persone.

 

Vuole dire internet e le nuove tecnologie?
Sì, con tutto quello che significa. I singoli individui sono più rapidamente e intensamente connessi tra loro, a partire dai social media. Percezioni e credenze si creano e si diffondono rapidamente poiché le persone comunicano direttamente fra loro e si influenzano reciprocamente. L’impatto delle fake news, comunicazioni non accreditate da giornalisti, dipende in larga parte da questa elevata densità di connessione; situazioni di allerta possono diffondersi rapidamente come un contagio, creare il panico determinando effettive situazioni di rischio. All’opposto, la comunicazione tra pari, peer to peer, può avere un effetto positivo nella capacità di organizzazione della società, pensiamo ad esempio alle Primavere arabe.

 

Un fenomeno quindi dal duplice risvolto?
Sì. In caso di allarme, un messaggio della protezione civile che arrivi al cellulare di ciascuno può contribuire in modo decisivo ad affrontare una situazione di crisi; viceversa, sappiamo che messaggi inviati da una fonte non accreditata possono avere un forte effetto negativo perché si diffondono rapidamente. In generale la comunicazione contemporanea, diretta, con la presenza pervasiva dei social media, ha un effetto rilevante rispetto alla gestione della sicurezza, e pone questioni nuove.

 

Da cosa è costituita nel dettaglio questa condizione di maggiore vulnerabilità sociale rispetto al passato?
Mi riallaccio al filone degli studi di organizzazione, management e strategia e in particolare al pensiero di Charles Perrow. La condizione di vulnerabilità a cui è esposta la società moderna è riconducibile a tre forme di concentrazione. Primo, un’accresciuta concentrazione delle persone. Rispetto al passato un numero più elevato di persone vive in aree ad altissima densità, le megalopoli. Le condizioni per affrontare un’emergenza cambiano drasticamente se questa avviene in un’area densamente popolata. Con un’elevata concentrazione di persone sono sufficienti piccoli imprevisti per innescare un effetto domino e turbare un intero sistema.

 

E le altre?
La seconda fonte di vulnerabilità è data dalla concentrazione di energia. Pensiamo ai grandi impianti di produzione e di stoccaggio di energia. Questi costituiscono un ulteriore elemento di potenziale pericolo per il solo fatto di essere presenti in grandi quantità e di essere concentrati. Spegnere un incendio può essere un problema se questo avviene all’interno di grande deposito di stoccaggio di sostanze infiammabili o in prossimità di una centrale nucleare. Infine, la terza fonte di vulnerabilità è costituita dalla concentrazione di potere economico e politico, che a livello mondiale è maggiore se confrontata con epoche passate. Pochi attori, sempre più grandi, con un potere concentrato e un processo decisionale tendenzialmente meno trasparente. La loro azione di condizionamento ha un impatto determinante sulla vulnerabilità della società. Ad esempio, la decisione di un editore di non pubblicare un libro ha un impatto differente se quell’editore è uno fra molti, oppure se si tratta di un colosso delle dimensioni di Amazon.

 

Di fronte a tali condizioni la risposta della società si complica?
Si può dire riassumendo che la presenza dei fattori di concentrazione ha una conseguenza sulla capacità della società di organizzarsi e reagire alla vulnerabilità, alle emergenze. Rende più complessa la risposta: è questa la conclusione del ragionamento.