Società | Educazione

Una casa in movimento

Un progetto ludico-motorio per un gruppo di bambini trentini durante il lockdown è il lavoro di tesi di Anna Tabarelli, laureata in Scienze della formazione all'unibz.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Bambina gioca in casa
Foto: Mamma Prét-à-porter

Ne parliamo con la relatrice, prof.ssa Patrizia Tortella, docente di Pedagogia e didattica del movimento alla facoltà di Scienze della Formazione di Bressanone. 

unibzone: Prof.ssa Tortella, in che contesto è nato il progetto?

Patrizia Tortella: Mi occupo di attività fisica con e per i bambini, molto diminuita soprattutto nel primo lockdown. Un calo pericoloso, perché comporta un aumentato rischio di malattie non trasmissibili, e nei bambini c'è stato anche un aumento di problemi di natura psicologica. Sto portando avanti un progetto che riguarda l'importanza dello storytelling, delle “storie di sfondo”, per l'attività fisica: per i bambini della scuola dell'infanzia è molto motivante ai fini del divertimento, del coinvolgimento, e anche in termini di attività fisica. Il bambino, divertendosi giocando, si impegna di più e meglio.

Mantenere l'attività motoria dei bambini, in modo divertente pur nella situazione molto critica del lockdown in casa, non è certo un'impresa facile...

Per questo abbiamo pensato di trasferire online questo storytelling, che normalmente era in presenza in palestra. E fare quindi in modo che un vincolo – il Covid – diventasse una risorsa, un momento positivo. Con la tesi di Anna Tabarelli, dal titolo Don't stop moving: famiglie in movimento nei giorni del Covid-19, abbiamo cercato di capire quale contributo potevamo dare al territorio in questa difficile fase. La studentessa si è laureata in scienze della formazione primaria, perciò già insegnava. I nostri sono studenti-lavoratori e quindi associano l'esperienza lavorativa allo studio. E sono molto motivati a capire il territorio.

Qual è stato il lavoro di Tabarelli?

La prima cosa è stata contattare e coinvolgere le famiglie: l'attività era svolta con genitori e bambini principalmente della Piana Rotaliana (ma anche di Trento, Pergine, Cles e Ala) in un'attività motoria da fare a casa. L'OMS raccomanda di rimanere il minor tempo possibile davanti a uno schermo, quindi sembrava paradossale organizzare un'attività in cui il mezzo di comunicazione fosse quello. L'obiettivo nostro era costruire una relazione con le famiglie e creare delle opportunità per i bambini, di movimento e di relazione, e che tutto ciò fosse bello, piacevole, divertente, in grado di coinvolgerli e di appassionarli. Mantenere, insomma, quegli obiettivi che portiamo avanti all'aperto, nelle scuole.

 

E qual è stata la reazione delle famiglie coinvolte nel progetto?

Mi aspettavo maggiori resistenze, ma la studentessa è partita con molto entusiasmo e ha trovato una quarantina di famiglie con bambini in età da scuola dell'infanzia o primaria, diciamo dai due anni e mezzo agli otto anni, disposte a partecipare a questo progetto, impostato in modo tale da poter raccogliere anche dati e informazioni in maniera molto naturale. La proposta andava al contempo a rispondere a delle esigenze delle famiglie, che hanno risposto in maniera entusiasta.

Com'era strutturata la proposta?

L'obiettivo era lavorare con le famiglie per dare delle opportunità di movimento ai bambini, attraverso delle videostorie, basate su un testo che ho scritto (“Spazio in movimento – attività motorie e scienze”) con una storia di sfondo e delle attività motorie. Il testo è stato utilizzato negli incontri con le famiglie divise in due gruppi: uno seguiva la storia in diretta – preceduta da un corso di formazione per avviare i genitori allo strumento – mentre l'altro usufruiva di un video registrato con la voce di Anna, “in differita”, ma sempre con degli incontri preliminari per formare i genitori. Nel primo gruppo non c'è solo chi presenta questa attività di gioco, il genitore e il bambino, ma ci sono anche gli altri bambini che contribuiscono assieme, quel giorno, alla realizzazione della storia.

Per una bambina o un bambino è possibile fare movimento fisico in casa?

Nell'ambiente casa ci sono vari materiali e spazi da poter utilizzare. Il materiale “povero” è sempre disponibile: nastro adesivo, asciugamani, fogli di giornale, il divano, le sedie... Se preparo una sedia, cosa mi invita a fare? Una sedia diventa così un oggetto dove non solo ci si può sedere, ma sotto al quale può passare. Con gli asciugamani messi uno sopra l'altro, si crea una superficie su cui è necessario impratichire l'equilibrio, e così via. Si può utilizzare tutto lo spazio dell'appartamento.

Era dunque possibile un'attivita fisica “completa”?

È stato un lavoro sullo sviluppo motorio, pensando alle competenze motorie di base. Volevamo essere certe che nel progetto quotidiano e complessivo ci fosse un equilibrio tra tali competenze, prestando attenzione alla completezza della proposta pur in condizioni ambientali più complesse. Anche in un appartamento ci si può esercitare, si può usare l'inventiva. Inoltre, era un'unica storia sviluppata in tutti gli incontri, mettendo in relazione l'aspetto motorio con le scienze: l'esperienza motoria ha veicolato delle conoscenze scientifiche. Per questo era importante che i genitori comprendessero il valore dell'attività di gioco.

Non è stata la trasmissione di un video con un elenco di attività da fare, ma un progetto partecipato in cui non c'era nulla di imposto. Avevamo obiettivi motori, cognitivi, relazionali, ma alla fine il bambino aspettava la telefonata per giocare.

Come si sviluppava la componente dello storytelling?

La storia andava raccontata al genitore: la dinamica è che l'insegnante lì era da un lato Anna, ma dall'altro il genitore che diventava il mediatore della relazione, delle attività, dell'entusiasmo, del divertimento. Il genitore passava tutti quei messaggi, a livello corporeo, spontaneo, che arrivano al bambino. È emerso il ruolo importante delle famiglie, che si entusiasmavano. Ci sono voluti vari incontri preparatori per spiegare loro cosa utilizzare nella casa, ottenendo una personalizzazione nel preparare l'ambiente, ad esempio costruendo oggetti (come aerei di carta) o percorsi. I genitori erano impegnati nella costruzione di qualcosa di cui diventavano poi il vettore principale.

Nell'esperimento trentino avete appreso qualcosa di nuovo, che non immaginavate prima?
Ci interessava (e preoccupava) che l'esperienza fosse bella, gradita, interessante, e non qualcosa di noioso. Non volevamo che l'attività fisica fosse associata alla noia. Ai genitori è stato sottoposto un questionario sullo studio/monitoraggio e ci ha stupito come nei due gruppi (uno in diretta e l'altro in differita, con i video registrati) a livello di partecipazione e di gradimento (elevato) delle famiglie e dei bambini non c'è stata differenza tra le due modalità di comunicazione. È stata una ricerca che certamente dava qualcosa in cambio ai genitori e ai bambini, accompagnandoli per quasi due mesi in quest'esperienza, ma l'importante ruolo dei genitori è una cosa inaspettata: è diventato un percorso formativo per i genitori in cui Anna ha svolto un ruolo di accompagnamento.

Quindi un vincolo è diventata una risorsa?

Quello che doveva essere solo un momento critico, per i genitori è diventata un'occasione per stare vicino al bambino in modo altamente privilegiato. I bambini hanno potuto giocare con i propri genitori, instaurare una relazione profonda attraverso il gioco – cosa che sta scomparendo nelle nostre famiglie. I genitori non sanno cosa fare, ed è difficile trovare giochi che appassionino anche gli adulti. In un progetto sulla “povertà educativa” cui sto lavorando, indaghiamo come attraverso storie di sfondo anche il genitore si senta coinvolto, torni bambino e viva l'esperienza, dando qualcosa di personale al racconto della storia: non si può fare niente con i bambini se non ci si diverte assieme a loro. Nel progetto con Anna, anche nei disegni dei bambini emergeva il coinvolgimento. È stata un'esperienza intensa di relazione, un'oasi di luce in un momento difficile.