Economia | Neoliberalismo

2007-2017, dieci anni di crisi

Mario Morroni, professore di Economia politica sull'applicazione acritica di politiche neoliberiste e il mancato dialogo tra economisti di scuole diverse
Morroni, Mario
Foto: upi
“Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il governatore della Fed Ben Bernanke vedono la necessità di una maggiore trasparenza dei mercati finanziari: lo ha detto un portavoce della cancelliera al termine di un incontro tra quest'ultima e il numero uno della Federal Reserve americanatenuto a Berlino -riporta Il Sole 24 Ore-. Nel corso dell'incontro, che è durato circa 45 minuti, la Merkel e Bernanke hanno 'discusso gli ultimi sviluppi della crisi del settore dei mutui ipotecari americano'". È l'11 settembre del 2007, e quasi tutti hanno capito che cos'è un mutuo subprime, quello concesso a un soggetto che non offre garanzie adeguate per la sua restituzione. Un anno dopo, sempre in settembre, le prime pagine dei quotidiano di tutto il mondo ospitano le immagini dei dipendenti di Lehman Brothers che lasciano con i propri scatoloni la sede newyorkese della banca d'affari. Che è fallita.
 
"L’applicazione delle politiche neoliberiste ha portato alla liberalizzazione dei mercati dei capitali e alla deregolamentazione del settore finanziario mediante l’abrogazione delle leggi che erano state approvate per mettere in sicurezza il settore finanziario e le banche dopo la grande crisi del '29. Questo processo di liberalizzazione e deregolamentazione ha favorito la formazione e lo scoppio di gigantesche bolle speculative" spiega Mario Morroni, professore di Economia politica ed Economia dell’impresa all'Università di Pisa.
L'ideologia neoliberista che si è diffusa a partire dall’inzio degli anni ’80, “aveva promesso benessere e sviluppo, per tutti, una promessa che era stata fatta propria anche dai riformisti come Blair e Clinton, laburisti e democratici” aggiunge. Ma questa promessa non è stata mantenuta: la diffusione delle politiche neoliberiste ha portato a una forte instabilità economica, a un aumento della disoccupazione e della precarietà, all’indebolimento dei sistemi di protezione sociale e all’enorme crescita delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito. “La finanza deregolamentata è un'arma di distruzione di massa” sostiene Morroni.
 
Solo adesso, quand'è trascorso un decennio, è possibile vedere alcuni ripensamenti. "Leggo in un articolo di due ricercatori del Fondo Monetario Internazionale che il neoliberismo sarebbe stato 'oversold', un termine che significa sia venduto oltre ogni disponibilità che lodato eccessivamente. Fino a qualche anno fa, sentivamo ancora molti economisti sostenere che l'austerità (la contrazione della spesa pubblica, ndr) è espansiva; adesso nessuno ha più il coraggio di affermarlo. Quasi tutti hanno capito che ridurre la domanda pubblica in un momento di crisi porta a una riduzione del reddito nazionale che peggiora il rapporto debito pubblico/PIL” sottolinea Morroni. Lo scorso agosto anche Mario Draghi ha sostenuto alla conferenza dei governatori delle banche centrali che sono necessari una regolamentazione multilaterale del settore finanziario e un rafforzamento dei sistemi di protezione sociale per ridurre i costi delle liberalizzazioni dei mercati e contrastare la tendenza verso crescenti diseguaglianze.
 

Salto.bz ha raggiunto il professor Morroni a Cambridge, dove sta terminando l’edizione inglese del suo primo libro di carattere divulgativo, "Nulla è come appare. Dialoghi sulle verità sommerse della crisi economica" (Imprimatur Editore, 2016), nel quale immagina tre economisti di "scuole di pensiero" diverse rispondere alle domande e curiosità di una studentessa di antropologia. Il modello è quello del confronto. “Le discussioni scientifiche sulla riviste accademiche erano frequenti fino all’inizio degli anni ‘80, quando molti articoli suscitavano critiche e la replica dell’autore -racconta Morroni-. Frequento Cambridge dalla fine degli anni ‘70, e ricordo che fino agli anni ’80 nella common room della Facoltà di Economia dove si prende tè e caffè, economisti di keynesiani” (favorevoli all'interno dello Stato nell'economica, ndr) “e neoliberisti si incontravano, magari battibeccando, ma alimentando vivacissime discussioni. Adesso strisciano lungo i corridoi, fanno in modo di non incontrarsi. La discussione è finita. Vale per tutti: keynesiani e neoclassici. Secondo Robert Lucas, Nobel per l'economia nel 1995, nei dipartimenti che contano nessuno prenderebbe più sul serio le tesi keynesiane, eppure due economisti afferenti a questa scuola, Paul Krugman e Joseph Stiglitz, hanno ricevuto qualche anno fa il Nobel".
 
C'è stata una sorta di accettazione acritica del pensiero neoliberista, non abbiamo più cercato nemmeno di capire quali fossero le sue implicazioni.
 
La crisi del pensiero keynesiano rimanda, afferma Morroni, alla fine degli anni Settanta, caratterizzati dalla stagflazione, un periodo di mancata crescita accompagnata da un aumento dell'inflazione. “I 'monetaristi' di ispirazione neoliberalista hanno preso il sopravvento. La loro ricetta, ridurre l’offerta di moneta per imbrigliare l'inflazione, ha funzionato anche se a costo di un rilevante aumento dei tassi d’interesse, con un conseguente forte aumento degli oneri sul debito pubblico, e di una notevole crescita della disoccupazione. Von Hayek riceve il Nobel nel 1974. Margaret Thatcher e Ronald Reagan riprendono le idee liberiste di von Hayek che avevano avuto scarso seguito negli anni ’50 e ’60, caratterizzati da un’elevata crescita, dall’estensione e rafforzamento dei sistemi di protezione sociale e dalla riduzione delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito".
La caduta del Muro di Berlino ha poi contribuito a rafforzare l’idea, anche all’interno dei partiti di sinistra, che non c’è alternativa al mercato. La capacità dei mercati di autoregolarsi e di portare a esiti socialmente desiderabili è stata sopravalutata. "La concorrenza è stata vista come l’unico possibile modo di organizzare l’attività umana. Si è ritenuto che gli obiettivi e le regole della vita sociale debbano dipendere esclusivamente da considerazioni strettamente economiche, non dal confronto democratico. La politica ha abdicato al suo ruolo. C'è stata una sorta di accettazione acritica del pensiero neoliberista -conclude Morroni-: non abbiamo più cercato nemmeno di capire quali fossero le sue implicazioni”. Fino alla sveglia, suonata improvvisa dieci anni fa.