Palermo, Piazzetta delle Dogane
Foto: Lucio Giudiceandrea
Cultura | Impressioni sicule

Bellezza e degrado

Si dice che la bellezza salverà il mondo: fosse vero, la Sicilia sarebbe l'isola più felice della terra. Convengono meno meraviglie, in cambio di condizioni più dignitose

Esistono pochi luoghi dove bellezza e degrado sono così vicini come in Sicilia. La Valle dei Templi ad Agrigento con i casermoni che vi si affacciano, o la costa di Taormina col suo selvaggio sviluppo edilizio sono i casi più spesso ricordati. L'esempio più impressionante è però il centro storico di Palermo, dove, fatte le dovute eccezioni per i monumenti più rappresentativi, centinaia di palazzi un tempo magnifici e splendenti cedono inermi alla discesa dei secoli; il resto sono case costruite alla rinfusa, quasi sempre di qualità modesta, cadenti anch'esse e piene di scomodità per chi ci vive. Quell'area pare il simbolo estremo di una condizione assai diffusa in Italia. Siamo, come è noto, il più grande museo all'aria aperta del mondo, ma il contesto cresciuto intorno ai tesori architettonici lasciatici in eredità dal passato è troppo al di sotto del loro valore.

 

Poco o nulla della bellezza che siamo stati capaci di realizzare ieri è trapassato nell'oggi

 

Poco o nulla della bellezza che siamo stati capaci di realizzare ieri e che ancora ci circonda è trapassato nell'oggi. E se al bello s'accompagna il buono, come pensavano i sofisti greci, possiamo davvero dire che qualcosa di quella idealizzata virtù si è conservato e nobilita noi figli di quel passato? In realtà, diventa assai difficile dar credito a Miškin, il principe “idiota” di Dostoevski, quando afferma “La bellezza salverà il mondo”. Se così fosse, la “grande bellezza” accumulata nell'arco di due millenni avrebbe salvato non solo la Sicilia, ma l'intera Italia.

 

Il primo effetto della bellezza è quello di intimorire

 

Peraltro, la bellezza ha effetti che finiscono per essere concause del degrado. Il primo è quello di intimorire chi cede al fascino dell'estetica. Non a caso parliamo di “bellezza impressionante”, confessando che ci sentiamo sopraffatti e in soggezione. È a questo sentimento che puntavano i nobili con i loro palazzi e il clero cattolico con le sue chiese, che caratterizzano il centro storico di Palermo. Se vogliamo è un uso cinico del bello, molto classista, che non a caso s'è espresso al meglio nel barocco: la ridondanza, il pieno, ornato fino all'ultimo dettaglio, per stupirci, soffocarci e ottenere la nostra resa di fronte al Signore e ai tanti signori. Una bellezza che si fa guardare dal basso in alto e ti confina nel ruolo di spettatore o fedele.

 

“... noi siamo dèi.”

 

Questa bellezza non è innocente, perché oltre al timore reverenziale essa nutre la vanità, sia pure una vanità vecchia e stanca. Nel “Gattopardo” il principe Fabrizio Salina evoca i “monumenti magnifici, ma incomprensibili”, “fantasmi muti” di un passato morto, che insieme alla violenza del paesaggio e alla crudeltà del clima hanno tolto ai siciliani ogni energia, lasciando loro solo il dormiveglia e l'illusione di essere perfetti. Infatti, il peccato che non perdonano è quello del fare. Assistendo all'entrata dei garibaldini a Palermo, un ufficiale della marina inglese chiede al Principe cosa veramente venissero a fare quei volontari italiani in camicia rossa. La risposta è in inglese: They are coming to teach us good manners, but wan't succeed, because we are goods. “Vengono per insegnarci le buone creanze, ma non lo potranno fare, perché noi siamo dèi.” Siamo a Palermo, nel maggio del 1860 e a parlare è un nobile disincantato, convinto che nulla cambierà mai. Parole che a loro volta riassumono e consolidano una mentalità assai diffusa tra gli italiani, fatta di sufficienza e autocompiacimento: se viviamo nel “Paese più bello del mondo” non ci sarà bisogno di fare gran ché, tranne lasciarci apprezzare dal resto del mondo.

 

 

Meno bellezza, in cambio di un ambiente più dignitoso

 

Onde prevenire l'accusa di essere insensibile alla bellezza, va citata la scritta che campeggia sul Teatro Massimo di Palermo, edificio rappresentativo per eccellenza. Perché qui, ancora una volta, l'intelligenza siciliana si manifesta in tutta la sua paradossalità: “L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano è delle scene il diletto ove non miri a preparar l'avvenire.” È l'arte stessa in questo caso a voler servire alla vita, salvo vedersi smentita da ciò che l'avvenire ha prodotto.

Perciò, se fosse possibile giocare con le cose come con le immagini, si potrebbe rinunciare a una quota di meraviglie per riversare più equamente sul territorio la maestria che le ha prodotte. Meno opere stupefacenti, meno spreco, ammirato dai visitatori, ma riservato a pochi, in cambio di un ambiente più dignitoso e condizioni migliori per chi vive ai margini della bellezza. Meno estetica, più etica.