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Politica | Avvenne domani

Regione addio

Sessant'anni fa la SVP abbandonava la Giunta del Trentino Alto Adige.

Esattamente sessant'anni or sono, tra la fine di gennaio e la metà di marzo del 1959, maturava, anche a livello istituzionale, la definitiva crisi della Regione Trentino Alto Adige. Il mese di gennaio di quell'anno terminava con l'annuncio ufficiale delle dimissioni dei tre assessori della Suedtiroler Volkspartei, i due effettivi Alfons Benedikter e Anton Kapfinger e il supplente Günther von Unterrichter. Si trattava del punto terminale di un processo politico che aveva avuto inizio diversi anni prima, con le critiche crescenti, da parte della SVP, nei confronti di un'istituzione  che secondo i sudtirolesi non garantiva in alcun modo alla minoranza di lingua tedesca l'autonomia promessa con l'Accordo Degasperi Gruber. Un contenzioso divenuto, nel corso degli anni, sempre più pesante e al centro del quale c'erano le competenze che Bolzano si attendeva di ricevere da Trento e che invece non erano state delegate o lo erano state in misura insufficiente. Nella partita un ruolo di rilievo era giocato da Roma, dove le tendenze centraliniste si erano affermate con forza negli anni del dopoguerra. Nell'autunno 1957 era stato l'ennesimo annuncio di un finanziamento per la costruzione, a Bolzano, di nuovi alloggi popolari destinati ad accogliere l'immigrazione italiana a scatenare la durissima reazione della Suedtiroler Volkspartei, che vedeva in questi progetti null'altro che la prosecuzione della politica di italianizzazione avviata ai tempi del fascismo. Fu allora che, in un'oceanica adunata convocata sulla spianata di Castelfirmiano, dato che il Prefetto aveva vietato lo svolgimento all'interno della città di Bolzano, il nuovo Obmann del partito, Silvius Magnago, aveva lanciato uno slogan destinato a rimanere scolpito, come nella pietra, nella realtà politica regionale: "Los von Trient", ovverossia abbandono totale e definitivo dell'autonomia regionale, abbattimento del rapporto politico e istituzionale con Trento.

Da quel giorno era passato poco più di un anno ed ora, di quella scelta, si tiravano le conseguenze ultime e definitive. In quei mesi nulla era cambiato in meglio nei rapporti politici fra Bolzano e Roma e tra Bolzano e Trento. Il disaccordo si era come solidificato in un blocco che sembrava al momento assolutamente inscalfibile. Con il pieno appoggio nella quasi totalità del partito la delegazione SVP in Regione, guidata tra l'altro da due "duri" come Alfons Benedikter e Peter Brugger che aveva l'incarico di capogruppo, formalizzò la crisi. Anche in questo caso la scintilla che aveva fatto appiccare l'incendio era costituita da un provvedimento adottato a livello governativo nel settore dell'edilizia sociale e che riguardava le competenze sulla cosiddetta INA- Casa destinate a rimanere in capo al Governo. Per i sudtirolesi era una conferma della volontà romana di mantenere il controllo sull'edilizia pubblica in Alto Adige. La costruzione di alloggi popolari era interpretata come un sostegno indiretto ma fondamentale all'immigrazione italiana e quindi a quella che, in un celebre articolo, il direttore del Dolomiten, il Canonico Gamper, aveva definito come la "marcia della morte" per i sudtirolesi.

Le dimissioni degli assessori SVP, oltre ai problemi politici di carattere più generale, posero da subito un problema di non facile soluzione per i vertici della regione, guidata all'epoca dal democristiano Tullio Odorizzi, che si trovò, dall'oggi al domani, senza una maggioranza che potesse sostenerlo..

Il Consiglio Regionale era composto, all'epoca, da 48 membri. I democristiani erano 21, consiglieri della SVP erano 15, 6 erano i socialisti, due i comunisti, due i missini. Completavano l'emiciclo un liberale e un esponente del Partito Popolare Trentino Tirolese. Contro la giunta furono immediatamente presentate due mozioni di sfiducia, una da parte della Suedtiroler Volkspartei che però non fu votata dalle sinistre e un'altra, da parte di socialisti e comunisti, che la SVP si rifiutò di votare. Superati questi scogli la giunta Odorizzi restava piuttosto traballante, visto che, nel clima politico dell'epoca, era impensabile ricorrere ad un accordo con la sinistra socialcomunista. Pur di proseguire il cammino della legislatura la Dc trentina decise così, non senza un aspro confronto interno, di accettare l'appoggio esterno, non contrattato si disse, dei due missini, del liberale e del PPTT.

Era una mossa azzardata e ancor più lo sarebbe stata se, come ricorda democristiano altoatesino Alcide Berloffa nelle sue memorie, Odorizzi non fosse stato convinto da lui stesso e da Flaminio Piccoli a rinunciare all'idea di affidare un incarico di giunta al leader missino di Bolzano Andrea Mitolo.

La questione altoatesina entrava così, anche dal punto di vista formale, nella sua stagione più travagliata. Nel 1960 il problema sarebbe stato portato dall'Austria davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Qualche mese dopo sarebbe iniziata anche la lunga stagione del terrorismo.

La Suedtiroler Volkspartei rimase fuori una maggioranza regionale per quasi un decennio. Rientrò, alla fine del 1968, solo per poter gestire, dall'interno, la fase delicata del passaggio alla nuova autonomia che, di quella regione, avrebbe sancito l'affossamento, con il passaggio quasi tutte le competenze alle due province.

Ricordare quegli avvenimenti potrebbe sembrare un mero esercizio mnemonico, se non fosse che proprio in questi giorni si rinnova, per l'ennesima volta, la trattativa, fra Bolzano e Trento, sulla formazione di una nuova giunta regionale. La novità, solo apparente, è costituita dal fatto che stavolta uno degli interlocutori è cambiato rispetto al passato. A Trento il centro destra leghista ha mandato in soffitta, dopo decenni, la vecchia maggioranza composta da centro sinistra autonomista e la Lega ha fatto lo stesso Bolzano entrando in maggioranza con la SVP. Se gli esecutori sono in buona parte cambiati, la musica, per quel che riguarda il tema della Regione è rimasta in buona parte la stessa. Da Trento sono partiti come sempre accorati appelli per la rivalutazione del ruolo dell'Istituto regionale, cui andrebbero attribuite addirittura nuove competenze, e al quale comunque andrebbe riconosciuto un ruolo di coordinamento politico rispetto alle due province.

Da parte bolzanina a queste avances  è stata opposta un altrettanto tradizionale freddezza, al punto che l'ipotesi avanzata dal presidente bolzanino Kompatscher di aumentare l'organico della giunta regionale per risolvere alcuni problemi di collocazione dei consiglieri eletti ha suscitato, nel partito della Stella Alpina una vera e propria sollevazione. Non sia mai, hanno detto in molti, che si faccia qualcosa che possa anche solo far pensare ad una rivalutazione della Regione.

Su questo tema, come del resto su molti altri, occorre riconoscere alla Suedtiroler Volkspartei una coerenza adamantina. Ha sempre chiesto che la Regione fosse abolita e che ne fossero create due, una a Trento e una Bolzano. Se al progetto non è mai stato dato seguito, né con lo Statuto del 1972 né in seguito, è solo perché Trento vi si è sempre fieramente opposta, temendo, non a torto, di perdere un prezioso anello di aggancio con l'autonomia internazionalmente ancorata dell'Alto Adige. La SVP, con il suo altrettanto tradizionale pragmatismo, ha accettato che la Regione rimanesse in piedi, a patto però che non avesse più alcun ruolo politico e che le sue residue competenze venissero via via smantellate e delegate alle due province.

A tutt'oggi la Regione è un enorme contenitore vuoto, dotato di personale e finanziamenti ma privo di qualsiasi funzione politica di rilievo. Lo stesso Consiglio Regionale si riunisce talmente di rado che, in una sola legislatura, i consiglieri bolzanini e quelle trentini fanno fatica a fare reciproca conoscenza.

Dato che, come dice il proverbio, la speranza è l'ultima a morire, il mondo politico di Trento non cessa però di chiedere un'inversione di rotta che a Bolzano nessuno è disposto a concedere. Ne nascono degli equivoci come quello derivante dalla decisione presa nel 2004 di istituire l'alternanza alla presidenza regionale tra i due presidenti delle province. A Trento c'è chi la considera ancora come un passo decisivo per la rivalutazione della Regione. A Bolzano, con maggior pragmatismo, è stata vista come la definitiva eliminazione di ogni forma di autonomia politica della Regione stessa.

Ignari probabilmente dei drammatici avvenimenti di sessant'anni or sono, bolzanini e trentini si apprestano all'ennesimo match sulla futura gestione di un'istituzione che le scelte politiche compiute mezzo secolo fa hanno consegnato agli archivi, ma che, come certi protagonisti di dozzina di film dell'orrore, si ostina a vivere anche dopo la morte.