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Liscià, donne che si raccontano

Il progetto Liscià della cooperativa OfficineVispa mette al centro la narrazione al femminile in tutte le sue sfaccettature. Per innescare il cambiamento.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
mascherina liscià
Foto: Liscià

Raccontarsi per avere voce e condividere i propri sogni e aspettative, ma anche per affrontare e decostruire stereotipi di genere, creando storie collettive, e per innescare il cambiamento. Da qui nasce il progetto Liscià - Donne che raccontano donne, ideato nel 2018 da un gruppo di operatrici della coop OfficineVispa di Bolzano. Le professioniste già lavoravano promuovendo progetti con taglio femminile e curando aspetti legati alla parità di genere. Da lì, dunque, l’idea di ampliare la progettualità, come ci spiega Lorenza Faccin, educatrice della cooperativa. “Siamo molto radicati nei quartieri dove promuoviamo progetti di comunità, e volevamo 'allargarci' a tutta la città. Il progetto ha come fulcro il tema della narrazione, che poi si traduce in scrittura, fotografia, workshop o focus group, videoracconto. La coop ha sempre riconosciuto alla narrazione grande forza, sia dal punto di vista sociale che educativo, non solo per diffondere messaggi e comunicare, ma anche per promuovere cambiamento, una riprogettazione della propria vita. Se pensiamo al periodo pre-Covid, ci trovavamo in un momento caratterizzato da ritmi abbastanza frenetici, relazioni molto mediate da strumenti tecnologici, dunque l’idea, nel 2018, era stata quella di creare uno spazio libero per l’incontro tra donne, nel quale condividere progetti, racconti, speranze per il futuro”. 

 

Il nome, “Liscià”, non è casuale: si tratta infatti di un’antica tecnica di lavaggio a mano dei panni grossi, che avveniva nei villaggi due volte l’anno e che diventava una sorta di rito o cerimonia che per le donne era anche uno spazio privilegiato, un momento d’incontro e quindi di forte autonomia, dove la donna si poteva raccontare. 

We-Women Empowerment
“Nello stesso momento in cui abbiamo messo in cantiere questa idea - prosegue Lorenza - il Comune ha pubblicato un bando sull’empowerment femminile e abbiamo aderito insieme ad altre realtà che a vario titolo lavorano sui medesimi temi, il progetto è stato approvato e si è creata la rete We-Women Empowerment. Da lì abbiamo ottenuto dal Comune di Bolzano uno spazio (una volta a settimana) in piazza Parrocchia e sono nate collaborazioni con altre associazioni, il progetto è finanziato sia dall’ufficio Famiglia donna gioventù e promozione sociale del Comune che dal Servizio donna della Provincia”. Nei primi 3 anni è stato individuato un tema sempre diverso: il lavoro, la casa e, infine, il desiderio. Ogni anno è stato inoltre usato uno strumento diverso di narrazione: per il primo anno il tema del lavoro è stato affrontato, ad esempio, attraverso interviste in profondità con alcune donne della città che hanno raccontato il loro modo di vivere, le difficoltà e le cose belle di questa sfera e alla fine ne è venuta fuori una pubblicazione corredata anche da una serie di fotografie. “Parallelamente alla raccolta di storie abbiamo poi sempre organizzato eventi culturali, presentazioni, aprendo il nostro bacino a tutti, anche agli uomini”.


“Il secondo anno” - prosegue l’educatrice - “sul tema della casa abbiamo organizzato dei focus group uno per ogni stanza, aperti a tutte le fasce d’età, per raccontare emozioni e i vissuti che ogni spazio ispira, (l’intimità della camera da letto, il calore della cucina, il soggiorno “piazza” della casa e luogo di incontro, il bagno e il nostro corpo, il giardino interiore). Ne sono scaturiti dei video e delle sculture che poi abbiamo presentato in una mostra artistica al Centro Trevi. Infine abbiamo fatto anche una gita alla scoperta delle erbe legate al femminile”. 
Il terzo anno il lavoro si è indirizzato sul tema del desiderio: “L’idea iniziale si articolava su dei focus group, conferenze e campagne di sensibilizzazione. Il lock-down non ci ha permesso di svolgere tutto come volevamo, ma l’idea di ascoltare la narrazione delle donne rimaneva comunque cruciale, e così a inizio marzo 2020 abbiamo promosso su Facebook e Instagram uno storytelling, "Desiderio di evasione”, nel quale le donne potevano raccontare con diversi mezzi i propri desideri di evasione, in un momento in cui si doveva stare obbligatoriamente chiusi in casa. Ognuna ha portato il proprio focus mettendo in evidenza temi diversi, dalla cura dei figli, alla malattia, alla conciliazione. Un buon inizio per continuare a raccogliere delle storie. Con un veloce sondaggio abbiamo poi realizzato delle domande specifiche che potessero guidare le donne: il questionario è uscito ad aprile e ha raggiunto 104 donne, e aveva proprio l’obiettivo di indagare i loro desideri, quali quelli realizzati, quali i momenti di rottura del quotidiano, in quali momenti si era raggiunta la sensazione di essere al massimo della propria presenza e della loro realizzazione. Abbiamo fatto fatica a sintetizzare tutti questi contributi, specie le domande aperte, ma ne abbiamo fatto una interessante lettura”.

Il sondaggio sui desideri durante il primo lockdown

Tra gli spunti più interessanti, quelli legati alle mancanze sofferte nella particolare fase del lockdown: “Il 55% ha risposto di aver bisogno di ritrovare la relazione con le persone, il 20% ha detto di soffrire l’impossibilità di una libertà assoluta. Rispetto agli auguri e agli auspici per le donne in generale, è emerso sempre il tema dell’auto-affermazione e quello di poter superare l’idea di aiuto da parte dell’uomo in favore di una condizione di maggior condivisione e collaborazione, sia per casa, figli e lavoro ma anche per il carico mentale”. 

Le mascherine

Proprio da questi questionari è nato un ulteriore progetto e una campagna che verrà riproposta anche a metà marzo: “Abbiamo estrapolato alcune parole forti e significative emerse e insieme a delle sarte volontarie vicine alla cooperativa abbiamo creato delle mascherine di stoffa con stampate queste parole.

La scelta della mascherina è stata duplice: è nata sia come oggetto che potesse ricordare il momento pandemico ma anche con l’idea che il desiderio potesse essere anche materialmente sulla bocca di tutte, ricordando anche i momenti in cui alle donne è stato intimato di stare con la bocca chiusa.

Da questa iniziativa abbiamo avviato un dialogo con Gea, alla quale verrà riversata parte delle donazioni che arriveranno dalla vendita delle mascherine

 

La campagna per l’8 marzo

Anche in occasione dell’8 marzo, la coop ha aderito inoltre alla campagna “Le mestruazioni non sono un lusso”: l’azione consiste nella raccolta di prodotti igienici per le mestruazioni, da assorbenti esterni a coppette ma anche intimo per il ciclo, indumenti intimi taglia xl. I prodotti saranno raccolti per tutto il mese di marzo all’interno di diverse strutture e verranno poi consegnati a donne che hanno problemi economici o sono in condizioni di vulnerabilità. “Il focus è l’aiuto a persone che si trovano in difficoltà, ma è anche un modo per sensibilizzare sul fatto che sono prodotti che hanno ancora una tassazione al 22%”, aggiunge Rachele Sordi, operatrice della coop. 

Violenza di genere: body shaming e femminicidi

Parallelamente ai progetti sul territorio legati alla narrazione, Liscià propone approfondimenti e riflessioni su diversi temi legati alla violenza di genere. Tra tutti, quello del body shaming: “Ricollegandoci alla giornata del cyber-bullismo, partendo dai dati, che ci dicono che a una donna su due è capitato che il proprio corpo venisse deriso da qualcun altro sui social, abbiamo voluto mettere il focus su questa pratica violenta. Su questo abbiamo fatto anche un’intervista con Cathy La Torre, che ha lanciato campagna Odiare ti costa, per far capire che questa violenza la paghi, anche in quanto è multabile”. 
Resta sempre vigile l'attenzione anche rispetto agli ultimi dati sui femminicidi, che a livello locale e non solo mostrano un andamento preoccupante: “Se guardiamo agli ultimi episodi avvenuti in regione, parliamo di donne che avevano già denunciato e in alcuni casi gli uomini erano già stati seguiti dai servizi anti-violenza, quindi - riflette Rachele - i difetti di sistema a nostro avviso sono due: la sottovalutazione del rischio che queste donne corrono di essere uccise e quindi la sottovalutazione della reiterazione di un’azione violenta. E inoltre la necessità urgente di un miglioramento dell’efficacia dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza da parte degli uomini”. 

Le donne e il mercato del lavoro

Chiediamo allora, anche sulla scia delle testimonianze raccolte negli anni e in particolare nel periodo pandemico, quali sono i rischi di una situazione in cui le donne sono sempre più penalizzate nel mercato del lavoro, come dimostrano anche gli ultimi dati sui posti persi in Italia. 
“Intanto, su questo, una strategia per invertire la rotta - prosegue Rachele - potrebbe essere l’adozione di incentivi per l’assunzione delle donne, così come fatto per i giovani, in modo che per le aziende sia una scelta conveniente. Rispetto al mondo del lavoro, in generale, bisogna ricordarsi che non c’è solo quello salariato ma in questo momento, laddove le donne hanno smesso di lavorare retribuite, hanno aumentato il lavoro di cura”.

In Italia è presente una forte un’asimmetria nella suddivisione del lavoro domestico, qui l'azione è di tipo culturale: defemminilizzare questa sfera in modo che ci sia una suddivisione equa dei carichi all’interno delle coppie.