Società | SALTO GESPRÄCH

Mocheni 2.0

“Siamo aperti, servono energie nuove”. Stefano Moltrer, sindaco social a Palù, sulla valle del Fersina-Bersntol. Le Opzioni, il razzismo subito, la rinascita del turismo.
Moltrer
Foto: Stefano Moltrer

“I mocheni sono gente alpina, talvolta riservati, ma sono aperti a chi viene dall’esterno. Se c’è diffidenza, io la capisco. Ricordo le discriminazioni che ho subito anch’io, e quelle ben più gravi che mi raccontava mio padre, che con gli amici negli anni 70 veniva allontanato dai bar solo perché parlava in mocheno. Ma ora le cose sono cambiate. L’identità della valle è una risorsa nel mondo globalizzato. Ora abbiamo bisogno di energie nuove, di far crescere il turismo slow, nel nostro bellissimo territorio, di riportare gli ospiti dal mondo tedesco. Venite. Guat kemmen in Bersntol, siete i benvenuti in valle del Fersina”.

Stefano Moltrer “aus Bersntol”, sindaco di Palù del Fersina, molto attivo sui social nel valorizzare le risorse e la cultura locale, racconta l’identità mochena oggi, nell’isola germanofona del Trentino (assieme a Luserna). Con le sue baite in larice, le cime del Lagorai, i trekking e le passeggiate la zona ha conservato un’immagine peculiare e molto alpina. Moltrer non nega le criticità: i mocheni parlanti sono circa 900, il pendolarismo su Pergine e Trento riguarda l’80% degli abitanti, non tutti i bambini e giovani conservano la lingua madre trasmessa dai genitori e su tutto incombe la globalizzazione. La valle, afferma, è proprio “incantata, cioè ferma”. “Servono una scossa ed energie nuove, anche da fuori, per valorizzare il circuito del turismo. Tanto ospiti non trovano posto in valle perché mancano posti letto”.

salto.bz: Sindaco in carica da due anni, nato nel 1983, parente di Diego Moltrer, politico importante per la valle scomparso nel 2014. Sei, se si può dire, un “mocheno di ritorno”, giusto?

Stefano Moltrer: Sì, fino a 29 anni ho abitato a Villazzano, sobborgo di Trento. Mia madre è di Palù, mio padre di Fierozzo e lì si erano spostati per motivi di studio e di lavoro. Le mie passioni erano sempre in valle. Ho sempre avuto voglia di tornare e a 28 anni l’ho fatto.

Guat kemmen in Bersntol, siete i benvenuti in valle del Fersina

La vita in montagna – Palù è a oltre 1.300 metri di altitudine – è per forza diversa da quella di città. Sono le sei di sera e qui fuori dall’ufficio del Comune-Gamoa Haus dove siamo, non c’è in giro nessuno. Insomma, deve piacere?

Certamente. È una vita un po’ particolare. L’ambiente attorno è bellissimo, per chi ha la passione della montagna è una positività. La vita è più distaccata, non ci sono tutti i servizi che ci sono in città. Questa valle ha una caratteristica che per certi versi è anche un problema. È a venti minuti di auto da Pergine, il terzo centro del Trentino e a mezz’ora circa da Trento. Io lavoro in Cavit, dopo una formazione all’istituto agrario di San Michele, e ci metto 35 minuti.

Il pendolarismo quindi.

Sì. Il 75-80% dei residenti lavora a Pergine o a Trento, negli impieghi pubblici, nelle aziende, nell’edilizia. Il 20% che rimane vive di turismo, piccoli frutti che sono l’azienda che porta più indotto, purtroppo trasferita a Zivignago. Alcune scelte politiche del passato hanno fortemente represso l’agricoltura di montagna.

Nella valle 900 persone parlano mocheno, nei Comuni di Palù, Frassilongo e Fierozzo. La lingua germanofona è il risultato di due, non una, colonizzazioni da Tirolo e Baviera

Chi sono i mocheni oggi?

Per capirlo occorre fare diversi passi indietro e cominciare a sfatare alcune credenze. Le colonizzazioni in valle sono due, quella germanofona, a sua volta doppia, e quella italiana. La prima è nei tre Comuni più alti, Palù, Fierozzo e Frassilongo, la seconda più in basso a Canezza, Sant’Orsola, Mala. Duemila abitanti in tutto, di cui 900 circa costituiscono la minoranza linguistica, un patrimonio che viene valorizzato dall’Istituto di lingua e cultura mochena-Bersntoler Kulturinstitut, che organizza anche corsi a cui si iscrivono molte persone da fuori.

Solitamente per la parte germanofona si parla dei discendenti dei minatori arrivati da Tirolo e Baviera nel 1.400 circa.

Ma è sbagliato, o perlomeno non completo. Le colonizzazioni sono due. La prima risale al 1200. I Conti del Tirolo favorirono l’insediamento di antichi roncadori, agricoltori di montagna, allevatori, nell’ottica di dissodare nuove terre. Nel 1400 e fino al 1600 arrivarono in una seconda ondata i lavoratori delle compagnie minerarie per ricavare il rame dall’estrazione della calcopirite dalle rocce del Lagorai. Due modelli opposti di utilizzo del territorio. I secondi disboscarono e scavarono, ci furono tensioni. Poi anche tra i minatori molte famiglie si fermarono. Va ricordato però che il territorio subì diversi e forti spopolamenti e che è un miracolo se si parla ancora la nostra lingua.

Cosa avvenne?

Le Opzioni, che tanto segnarono la storia del Sudtirolo, avvennero anche qui e a Luserna. L’accordo tra Mussolini e Hitler per trasferire la popolazione germanofona della regione nei territori tedeschi o sotto il controllo della Germania portò quasi ad azzerare la popolazione. A Palù, che negli anni Trenta aveva 400 abitanti, rimasero 5 famiglie. Le altre andarono in Cecoslovacchia o Polonia e poi con la fine della guerra rimasero senza casa. Palù subì 2-3 emigrazioni. Quella verso la Svizzera negli anni 50 e 60. In pochi sono tornati.

Forte fu l'impatto delle Opzioni degli anni Trenta, le stesse dell'Alto Adige. A Palù rimasero 5 famiglie, la valle subì uno spopolamento. Non l'unico. È un miracolo che la lingua sia rimasta. I genitori devono trasmetterla ai figli

Sfatiamo anche qualche stereotipo sugli abitanti. I mocheni arretrati e chiusi, nella vulgata a Pergine e Trento. Non sono certo così giusto?

Gli stereotipi sono sempre stati forti. Primo, non siamo affatto chiusi. Il mocheno è un popolo alpino, che sa cosa vuol dire abitare in montagna, in un’agricoltura difficile e non le Opzioni che hanno comunque segnato tanto, privando la valle di tanto capitale umano. Se c’è una forma di diffidenza dei locali io la capisco. Le discriminazioni nel passato sono state forti, le ho subite in parte io stesso da ragazzo e nei racconti di mio padre sono ben più gravi. Quando studiavo a San Michele e incontravo un altro della valle e parlavamo in lingua, i coetanei ci guardavano storto. Poi, mio padre mi racconta che quando era più giovane non si poteva parlare mocheno nei bar e a scuola. Si era discriminati. Con gli amici era stato invitato a uscire dai locali, per non dire buttato fuori, solo perché parlavano in mocheno. E si veniva offesi. Adesso fortunatamente le cose sono cambiate e la cultura locale è diventata un fattore di identità, di distinzione di fronte all’omologazione globale.

Un inciso, da dove deriva la parola mocheno?

Ci sono varie teorie. Una è che derivi dal tedesco Machental, valle del fare, di gente che fa.

Mocheno forse deriva da machen, fare. Gente che fa. Molte furono le discriminazioni. Mio padre perché parlava mocheno veniva allontanato dai bar con gli amici

I giovani, oggi, mantengono l’identità, nonostante le nuove tecnologie e le connessioni globali?

Allora, gli smartphone e internet per me non sono una minaccia alla lingua, io scrivo e parlo in mocheno e lo fanno tanti altri. Direi che con un ruolo innovativo le nuove tecnologie possono aiutare, non ostacolare. Riguardo alla scuola, le elementari sono qui, ma per le medie si va a Pergine. Direi che se l’identità comunque si mantiene, è la lingua che non vedo bene. Tanti genitori, penso soprattutto ai matrimoni “misti”, non hanno trasmesso il mocheno ai figli. E la lingua madre è tale perché te la insegna tua mamma, tuo padre. È l’ambiente familiare quello che la trasmette. Io lo faccio con mia figlia Virginia, che ha 4 anni. Di contro c’è un interesse da fuori. Ai corsi del Kulturinstitut vengono in tanti dall’esterno. C’è interesse e in misura molto minore opportunità, visto che il patentino di mocheno vale per i posti pubblici.

Il legame con l’Alto Adige e il mondo tedesco esiste?

Questo è un punto debole su cui dobbiamo lavorare. I legami sono troppo pochi. Abbiamo buttato via tutto il turismo tedesco. L’albergo Lagorai vent’anni fa viveva sugli ospiti dalla Germania, adesso da 4 è chiuso. Stiamo facendo il possibile per recuperare il terreno perso. Con il Consorzio turistico delle pro loco della valle dei Mocheni e questo Comune con il sito Umpalai.it (Attorno a Palù in mocheno, ndr) che coinvolge tutto il territorio attorno e presenta risorse locali, come i due musei, quello mocheno e quello delle miniere, gli eventi, la natura, le passeggiate, la cultura, le tradizioni. Il Carnevale, la Stella di Natale e per chi non lo sa qui viene anche Sankt Nikolaus con il diavolo, non i krampus.

Nel turismo e negli altri settori serve un passo in più?

La valle è ancora incantata, ferma. I locali magari non vedono ciò che hanno davanti in termini di opportunità economica. La casa vecchia dei tuoi genitori rimane tale, magari non la vedi come un potenziale b&b. Ma è un falso mito il fatto che il territorio sia chiuso. Qui c’è spazio per chi vuole lavorare e investire. Possiamo seguire anche esempi di valorizzazione riusciti come in Carnia e a Tarvisio, in Friuli.

La valle è incantata, cioè ferma. Servono idee e coraggio, i giovani devono crederci. Nel turismo mancano posti letto.  E facciamo tornare gli ospiti tedeschi

Recentemente ha avuto notorietà la storia di Agitu Idea Gudeta, treentenne, etiope trapiantata in Trentino, che qui alleva la capra mochena. Una prova dell’accoglienza locale?

Un bell’esempio, che ha fatto parlare di sé. Lo spazio c’è. I locali forse non ci credono abbastanza. L’agriturismo Scalzerhof è stato abbandonato dai figli. Bisogna crederci, avere idee, scommetterci. Lo fa ad esempio l’associazione Il Pirlo che mette assieme 14 associati per una settantina di posti letto in case, baite, b&b, agritur. Sono 14 associati e hanno un’offerta che non soddisfa tutte le richieste.

Ci sono turisti che vogliono venire in valle e non trovano posto?

È così.

Insomma servono contributi da fuori e un passo in più dei locali. Ce la faranno i mocheni a diventare 2.0?

Rispondo così. Klaim oder nét klaim, do miasn hólt schintln auser kemmen. Che si spacchi o non si spacchi, da qui verranno fuori scandole. Ce lo disse un anziano signore che su una strada stava facendo le scandole, tradizionale copertura in larice dei tetti, ed era intento a voler spaccare questo grosso pezzo di legno. Dopo vari tentativi non si spaccava come voleva, anzi affatto. Un po' nervoso, ci disse questa frase in mocheno. Tornando a casa è diventata una mia massima. Il senso di essere un po’ cocciuti, decisi, visionari su cosa deve "saltar fuori" da un pezzo di legno come da un luogo, un lavoro o un sentimento. Ecco forse l’identità di noi, popoli delle terre erte. Che se da una cosa è sempre venuto fuori qualcosa, con impegno e costanza e pazienza verrà fuori in un modo o nell’altro.

Siamo aperti, cocciuti e visionari. Qualcosa verrà fuori. Qui c'è spazio per chi viene: quello di Agitu Idea Gudeta, pastora etiope, è un bell'esempio

Venendo a cose più prosastiche, ti candiderai in Provincia?

Non quest’anno. L’interesse c’è e mi sono messo nell’ambiente politico per un progetto. I ragionamenti li sto facendo, ma ora è troppo presto, preferisco lavorare qui.

Sei del Patt giusto?

L’orientamento è quello, ma non ho tessere.

Diego Moltrer, ex presidente del consiglio regionale, tuo parente, ha lasciato un vuoto nella valle?

Era cugino di mio padre. Sì, un vuoto, soprattutto a Fierozzo. Una figura importante, radicata, che ha dato un’alta attenzione politica a questo territorio.