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Benedetta

Sesso, religione, satira e guerre di potere: l’ultimo film del regista olandese Paul Verhoeven su una monaca lesbica del 1600 fa scandalo. Ma oltre alle tette c’è di più.
Benedetta
Foto: Screenshot

In questo momento, in un mondo parallelo, don Adelfio, il parroco di Giancaldo che in Nuovo cinema paradiso assisteva in anteprima alla proiezione delle pellicole e censurava tutte le scene giudicate sconvenienti per i suoi concittadini, sta avendo un ictus guardando l’ultimo film di Paul Verhoeven, Benedetta. Nella vita vera i Pillon a stelle e strisce - ovvero un pugnetto di rappresentanti della “Società Americana per la difesa della tradizione, della famiglia e della proprietà” - lo hanno già accusato di blasfemia.


Sull’argomento l’estate scorsa al Festival di Cannes, dove il film era in gara, il regista olandese, maestro di provocazione, aveva affermato un po’ irritato: “Non capisco davvero come tu possa essere blasfemo su qualcosa che è successo. Non puoi sostanzialmente cambiare la storia dopo il fatto. Puoi dire che è stato sbagliato o meno, ma non puoi cambiare la storia. Penso che la parola blasfemia per me in questo caso sia stupida”.
Traduzione libera: anche oggi dei cattolici oltranzisti ci preoccupiamo domani.
Per chi non lo sapesse Verhoeven è un grande studioso di Cristo, ha co-scritto un libro sulla vita di Gesù e in passato ha progettato di fare un film su di lui. Insomma, sull’argomento cristianità non è proprio l’ultimo degli sciocchini.
 

Cos’è

L’ispirazione arriva dal libro di Judith C. Brown, “Atti impuri, vita di una monaca lesbica del Rinascimento”, adattato dallo stesso Verhoeven insieme allo sceneggiatore David Birke, e racconta la storia vera di Benedetta Carlini (Virginie Efira nel film, perfetta nel ruolo), “badessa delle monache teatine di Pescia, che spacciatasi per mistica, fu scoperta donna di facili costumi”, come recita il fascicolo col suo nome rinvenuto nell’archivio di Stato a Firenze.
Nel film Benedetta, che fin dall’infanzia sembra poter compiere miracoli, all’età di 8 anni viene portata dai genitori a Pescia, in Toscana, per unirsi al convento del paese e diventare “sposa di Cristo”, mentre l’ombra minacciosa della peste aleggia sull’Europa (siamo nel XVII secolo).

Diciotto anni dopo la devota suora attira l’attenzione del Vaticano perché sostiene di avere visioni mistiche, per le stimmate che compaiono sulle sue mani e suoi suoi piedi, e per la relazione sessuale che intraprende con una novizia, Bartolomea (Daphne Patakia).

Il film, il secondo in lingua francese del regista olandese, è stato girato tra Montepulciano e San Quirico d’Orcia tre anni fa, durante le riprese Verhoeven si è rotto l’anca e una serie di complicazioni successive gli ha causato una perforazione del colon. L’uscita del film è quindi slittata al 2020 ma la pandemia di Covid-19 ha aggiunto al conto un altro anno.

Com’è

In tre parole: sesso, religione e potere; in due: tette e provocazione. Il capezzolo che spunta dalla veste da suora nella locandina fa da memo, semmai ce ne fosse bisogno: è un film di Paul Verhoeven, vecchio volpone. Autore di culto negli anni ’80 e ’90 - RoboCop, Total Recall (Atto di Forza), Basic Instinct -, bandito o meglio auto-banditosi da Hollywood dopo il flop al botteghino di Showgirls e Starship Troopers, è rientrato in Europa dove è praticamente ri-sbocciato firmando film come il bellissimo Elle o Zwartboek (Black Book).

 

Dopo circa trent’anni Verhoeven torna a sondare l’immaginario religioso (iconografia compresa) che aveva toccato in De vierde man (Il quarto uomo) e Flesh+Blood (L’amore e il sangue). Lo fa aggiungendo una marcata componente satirica, grottesca alla visione critica del mondo ecclesiastico, delle sue ipocrisie, delle sue ambiguità morali, della repressione del desiderio carnale (“il tuo corpo è il tuo peggior nemico” dirà una suora alla giovane Benedetta arrivata per la prima volta in convento, “meglio non sentirsi comodi lì dentro”), al punto tale che serietà e ironia si confondono. È un film che spinge consapevolmente sull’eccesso, è irriverente, esplicito e grafico nelle sue scene di sesso (ma di nuovo: è quello che ci si aspetterebbe da un film di Verhoeven), sfacciato - i sacrileghi sex toys fatti apposta per offendere le sensibilità più parrocchiali ne sono un esempio pachidermico, passando per le fantasie mistico-erotiche di Benedetta su Gesù che è salvatore e a volte seduttore. La confezione però è quella di una pellicola medioevale classica.

Epifanie sessuali e spirituali co-esistono. La diffusa idea della deprimente e austera vita monastica non trova spazio nel convento di Pescia. I personaggi femminili sono complessi; i pochi, maschili, rappresentanti del patriarcato religioso, per nulla sfaccettati, fanno solo da contrasto.

Ciò che però rende davvero interessante il film è il dubbio che il regista 83enne instilla nel pubblico: Benedetta è una mistificatrice che intraprende una guerra di potere nel microcosmo di clausura del convento e in un universo dominato dagli uomini per sostituirsi alla badessa di lunga data suor Felicita (che cercherà di far passare la consorella per ciarlatana ed eretica) - interpretata da Charlotte Rampling - o è una profeta, una santa, la prescelta del Signore per ricevere le sue (anche violente) visioni? Vince chi risponde a questa lunghissima domanda.

Voto: ***½
 

Benedetta | Official Trailer