Economia | Pensioni

Reddito e aspettativa di vita

L'innalzamento dell'età pensionabile nel dibattito politico sembra l’unica risposta all'aumento dell'aspettativa di vita.
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Solo in questo modo si potrebbe, infatti, stabilizzare in qualche misura la relazione tra il numero di persone in età pensionabile e quelle in età lavorativa. Su questo percorso noi abbiamo molte perplessità. Questo ragionamento non intende in primo luogo valutare il rapporto numerico tra anziani e giovani, ma quello tra chi riceve le pensioni e chi paga i contributi, e quindi soprattutto i fattori legati al mercato del lavoro. Questo approccio ignora altre possibilità, forse anche migliori, tra cui potrebbero esserci: un accesso al mercato del lavoro a un numero più elevato di persone oppure la creazione di posti di lavoro meno precari e con buone opportunità di guadagno.

Aumentare l'aspettativa di vita per affrontare la sfida dell’invecchiamento è inoltre iniquo vista la mortalità differente.

In un’ottica di maggiore equità la politica pensionistica deve considerare anche questo fattore. Con i lavori gravosi si è cercato di dare una prima risposta, anche se finora del tutto insoddisfacente, alla ridotta aspettativa di vita di chi ha svolto lavori difficili o pericolosi per la salute. Qualche risposta è stata dato alle donne, che impegnate nel lavoro di cura sono danneggiate a livello previdenziale, anche se l’opzione donna non è certamente una soluzione particolarmente favorevole.

Un terzo problema trova scarso riscontro nella discussione politica, anche se si intreccia spesso con quelli citati: anche chi gode di redditi bassi andrebbe tutelato meglio. Esiste un rapporto stretto tra l'aspettativa di vita e la condizione socioeconomica. Le persone diventano senza ombra di dubbio più vecchie. Questa è una buona notizia e un successo del progresso medico, soprattutto della lotta alla mortalità infantile, della crescente prosperità e di uno stato sociale che tutela un numero sempre maggiore di persone possibile.

Per i sistemi pensionistici però è rilevante l'aspettativa di vita dopo i 60 - 65 anni, perché influenza direttamente la durata media dei pagamenti pensionistici. Qui va evidenziato un aspetto importante che andrebbe valutato dalla politica: i poveri muoiono prima. Sino agli anni 70, infatti, questo valore è rimasto sostanzialmente invariato. Solo dal 1970 ad oggi abbiamo assistito ad un aumento di quasi 7 anni. Piccolo inciso: negli ultimi anni questa crescita è rallentata e nel 2020 a causa della pandemia la curva evidenzia un leggero calo.

Anche a livello europeo emerge che l’aspettativa di vita una volta in pensione, dopo un forte aumento iniziale a partire dagli anni 70, ha subito nell’ultimo decennio e mezzo un notevole rallentamento. Tralasciando il crollo del 2020 causato dalla pandemia il guadagno negli ultimi 10 anni è quasi fermo, ma anche nel decennio precedente l'aumento era inferiore a un anno per le donne e solo leggermente superiore per gli uomini. Di fronte a questi andamenti è aleatorio prevedere una futura crescita dell’aspettativa di vita considerevole, anche se, escludendo gli effetti straordinari della pandemia, essa sicuramente non sarà in declino.

Non si può dare per sicuro l’aumento progressivo dell’aspettativa di vita, nonostante per chi prevede un futuro previdenziale fosco, tutto è incerto tranne l’aumento dell'aspettativa di vita di un anno e mezzo per decennio nei prossimi 50 anni. Conclusione: l'età pensionabile deve quindi essere alzata significativamente. Anche se le previsioni dovessero rivelarsi vere – ma ne dubito - non sarebbe comunque equo un aumento uguale per tutti. Numerosi studi mostrano, infatti, che le probabilità di morte anticipata variano considerevolmente a seconda dello status socioeconomico e sono legate al livello di istruzione, allo stato occupazionale, al tipo di lavoro e al livello di reddito.

Uno studio dell'Istituto Tedesco per la Ricerca Economica ha esaminato la relazione tra il livello di reddito (nel corso della vita) e l'aspettativa di vita per gli uomini della Germania Occidentale una volta in pensione. Prendendo i nati dal 1926-28 l'aspettativa di vita a 65 anni del 10 percento con il reddito più alto era di 4 anni più alta di quella del 10 percento con il reddito più basso. Se consideriamo la differenza per i nati tra il 1947-49 essa è salita a 7 anni. Il guadagno in aspettativa di vita nei 20 anni osservati (per i nati tra il 1926-1947) è stato di quattro anni nel decile di reddito più alto e solo di un anno in quello più basso!

La stessa probabilità di arrivare ai 65 anni è significativamente più alta tra i le persone con redditi alti (al 90,2%), che nel decile con di redditi più bassi (75,8%). In parole povere, quasi un quarto degli uomini a basso reddito non raggiunge nemmeno l'età pensionabile. L'aumento dell'età pensionabile al crescere dell’età media colpisce perciò maggiormente le persone socialmente svantaggiate. L’aumento dell'età pensionabile in modo generalizzato provoca tagli relativamente molto più alti per i gruppi che stanno socialmente peggio.


In termini pratici c’è una disparità di anni nei quali si percepisce la pensione a scapito di chi ha di fatto avuto una vita probabilmente più faticosa o con meno reddito. Non si tratta comunque solo di meno soldi, visto che ciò incide anche pesantemente sui progetti di vita degli individui, ma questa è un’altra storia.

Alfred Ebner