Politica | Il ricordo

Questo era Aldo Moro

Il ruolo chiave dello statista democristiano nella storia dell’Alto Adige. Detestato prima, rivalutato poi.
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Foto: w

Senza di lui la democrazia è diventata più debole”, ha detto con sintesi efficace ed esaustiva il direttore dell’Espresso Marco Damilano parlando di Aldo Moro. Dopo 55 giorni di prigionia il corpo dello statista democristiano (cinque volte presidente del Consiglio), rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, venne ritrovato il 9 maggio 1978. A 40 anni dalla sua morte la figura di Moro viene evocata anche in Alto Adige, data la sua inequivocabile quanto strategica influenza sulla storia di questo territorio, come hanno illustrato il giornalista ed editorialista di salto.bz Maurizio Ferrandi, lo storico Leopold Steurer, e gli ex parlamentari Giorgio Postal e Karl Zeller. Il palco della memoria: l’evento introdotto dal direttore della Caritas Paolo Valente - che ha ricordato il ruolo di Moro nella fondazione della diocesi di Bolzano-Bressanone, nata nell’agosto del 1964 - e andato in scena ieri nella Sala di Rappresentanza del Comune di Bolzano.

 

L’odio e il riscatto

 

Come già opportunamente sottolineato in un articolo apparso su salto.bz qualche tempo fa Ferrandi si chiede il motivo per cui non sia mai stata intitolata una via ad Aldo Moro in Alto Adige. “Non si tratta di una dimenticanza dato il suo contributo fondamentale nella questione altoatesina dal secondo dopoguerra in poi. Per chi ha meno di 40 anni la figura di Moro è come permeata di un alone di santità, eppure l’uomo fu molto odiato quando era in vita, le Brigate Rosse nel primo comunicato che inviano nei giorni del sequestro lo definiscono ‘il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste’, e contro di lui si accaniscono anche le destre che lo accusano di aver aperto le porte al centrosinistra, al comunismo”. Particolarmente detestato fu Moro in Alto Adige, tanto che si palesò una “soddisfazione acre” quando si venne a sapere della sua morte. Per gli altoatesini il presidente della DC aveva svenduto gli italiani alla Volkspartei per un piatto di lenticchie. “Moro va ricordato perché a metà degli anni ’60, quando la controversia altoatesina era completamente incartata, ebbe un’intuizione che poi fu quella degasperiana del ’46, ovvero che dovevano cessare le prove muscolari e gli scontri e occorreva aprire la via del dialogo, facendo in modo che Bolzano e Roma si parlassero direttamente e Vienna fungesse da garante e tutore. Può sembrare una piccola cosa, questa, ma piccola cosa non fu. La sua intuizione è il suo lascito”, osserva Ferrandi.

Per Steurer Moro, insieme ad Alcide De Gasperi e Giulio Andreotti, è uno di quei politici italiani che fu cruciale per la questione altoatesina. Mostrando alcuni ritagli di giornali dell’epoca lo storico meranese sottolinea come negli anni del terrorismo, mentre i due opposti nazionalismi si combattono e puntano a far saltare le trattative per l’istituzione di un secondo statuto di autonomia, Moro persegue la linea del dialogo, anche in segreto, “a Predazzo dove Moro andava spesso in vacanza”, costruendo un forte rapporto di fiducia con Silvius Magnago che sarà fondamentale per arrivare a siglare il Pacchetto - l’insieme di norme che costituiscono la seconda autonomia altoatesina - nel 1969, (entrato in vigore nel 1972). “In Parlamento - ricorda Steurer - l’estrema destra vuole la fine dei colloqui, ma come Magnago, Moro fu uno di quei politici che disse che bisognava resistere ai terroristi, non farsi ricattare”. 

 

Determinante, per l’ex senatore DC Postal, fu la lungimiranza di Moro. Il salto è nel 1965 quando il democristiano trentino Alcide Berloffa fece incontrare Aldo Moro con il cancelliere austriaco Josef Klaus a Cavalese, nella casa del notaio Pantozzi, e poi i confronti decisivi che seguirono sul cammino della pacificazione e sulla via del nuovo Statuto. “Moro era un uomo mite ma anche un uomo di Stato il cui senso di fermezza in certi passaggi storici fu decisamente evidente. Mi chiedo quale sarebbe stato oggi l’atteggiamento di Moro nell’affrontare la questione altoatesina. Perché oggi è cambiato tutto, ma sono sicuro che il suo approccio sarebbe quello del superamento dei confini, di tutti i tipi”.  

Un generoso riconoscimento arriva infine dal veterano ex senatore Svp Zeller, secondo cui è stata una fortuna avere politici come Aldo Moro sul versante del governo italiano, “il destino dell’Alto Adige sarebbe potuto essere molto diverso se al posto suo ci fossero stati altri”. L’arte del dialogo e la costruzione della fiducia sono i valori propri di quell’epoca che hanno condotto a una risoluzione della questione altoatesina, valori “che noi abbiamo cercato di portare avanti, perché questo è l’unico modo per conseguire una Autonomiepolitik che abbia successo”. Un modus operandi che, sottolinea Zeller, sembra ormai passato di moda. “In politica, oggi, molto è show e slogan, e certo questo non aiuta a risolvere i grandi problemi”. Zeller torna infine sulla possibilità, da lui condivisa, di intitolare strade e piazze a personaggi del calibro di Moro “che hanno portato pace e prosperità nella nostra provincia”.

 

Parola di Moro

 

Il sipario cala infine su un discorso che il 27 luglio 1967, in seguito a un attentato verificatosi in Alto Adige, Aldo Moro tenne alla Camera dei deputati scolpendo queste parole:

Per quanto riguarda l’intollerabile peso del terrorismo -, se non si può garantire che una soluzione positiva del problema dell’Alto Adige lo faccia venire meno (ma si può immaginare che esso vada esaurendosi), si può temere invece che una mancata soluzione offra pretesti al terrorismo per la sua azione disumana e distruttiva. Crediamo perciò che si debba avere coraggio ed andare avanti con giusto spirito di libertà e di collaborazione. Tutto questo che ho detto non esclude, ma postula la fermezza; solo dà ad essa una prospettiva. Ed io credo che il Governo abbia dimostrato fermezza sul piano interno, come su quello internazionale, - ed abbia avuto di mira, in ogni suo atteggiamento, la rigorosa tutela degli interessi fondamentali del nostro popolo e dei diritti dell’Italia. Ma questa fermezza è stata e continuerà ad essere integrata verso tutti i cittadini, a qualsiasi gruppo linguistico appartengano, da spirito liberale, da schietta aderenza alle esigenze proprie della democrazia. Per questo possiamo rivolgerci con fiducia a coloro che attendono una organizzazione dell’autonomia, più aderente alle loro esigenze ed assicurarli che lo Stato italiano intende far fronte a questo impegno”. Questo era Aldo Moro.