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Turismo in tempi di crisi

Un giro virtuale nel Touriseum per vedere l’evoluzione in due secoli del turismo in Alto Adige e una conversazione con Patrick Gasser, responsabile delle mostre

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Foto: Touriseum

Uno dei maggiori settori nell’economia alto-atesina è il turismo con 38mila persone occupate nel settore. Oggi, in tempi di post-emergenza Covid-19 si rischia di avere 38mila disoccupati in più. Come sarà viaggiare nella famosa Fase 3 che prevede la riapertura delle frontiere temporaneamente chiuse nel periodo di alto contagio dal virus Sars-Cov-2? Ci sarà la voglia di viaggiare? Da più parti si è sentito dire che la ripresa del turismo sarà lenta dopo questo totale blackout - ovunque. Per capire quale scenario si potrebbe crearsi siamo andati a fare un giro virtuale nei locali del Touriseum di Merano sul loro sito, il museo che racconta l’evolversi del turismo nella nostra provincia a partire dai suoi albori nell’Ottocento.


Ospitato nel Castel Trauttmansdorff, accanto ai famosi Giardini che da un paio d’anni sono stati inclusi nei dieci più belli del mondo, quel castello fu l’antica dimora scelta dalla Imperatrice Elisabetta per i suoi soggiorni a Merano, il Touriseum è un curioso “museo vivo” nel senso che l’allestimento del Museo Provinciale del Turismo, grazie a scenografie mobili e modelli e modellini simili alla realtà assieme a filmati e registrazioni audio, fa compiere un avventuroso viaggio nei due secoli del turismo nell’ottica sia di chi arriva sia di chi ci vive.  

Fino all’inizio del XIX secolo la regione del Tirolo non aveva suscitato nessun interesse come meta di viaggio essendo zona montagnosa che invece di promettere serenità o gioia incuteva piuttosto paura e terrore. Furono le lotte antinapoleoniche guidate da Andreas Hofer a condurre l’attenzione di poeti inglesi e tedeschi verso questa zona e – come ci narrano i testi del museo – avevano inoltre iniziato a girare venditori ambulanti tirolesi, portando con sé le proprie canzoni.

Furono loro i promotori turistici ante litteram, in quanto percorrendo il mondo con le loro mercanzie fecero conoscere anche la loro terra, con indosso i costumi tradizionali e diffondendo l’immagine del “buon selvaggio tirolese”. A quanto pare si erano esibiti con i loro Jodel persino davanti allo zar a San Pietroburgo e alla regina d’Inghilterra e persino in località oltreoceano!

 

Oggi lo si fa in video, e alcuni albergatori hanno già iniziato a pubblicizzare la loro arte gastronomica rifacendosi proprio alle lotte succitate del buon vecchio rivoluzionario tradito ai francesi. Funzionerà questo richiamo? Sappiamo che l’IDM è già stato incaricato per una vasta campagna a favore dei pregi dell’Alto Adige, contenuto nel progetto già finanziato dalla provincia “Restart Alto Adige” che prevede indagini, rilevamenti di dati e webinar sulle strategie di comunicazione nel campo dei social media.

Per chiarirci meglio le idee abbiamo chiesto aiuto a Patrick Gasser, responsabile dell’organizzazione delle mostre, il quale ci rivela che la mostra temporanea in programma per l’anno 2020 era sul personale nel settore turistico, ovviamente rimandata a data da destinarsi non ultimo per il motivo di cui sopra. “Non c’era mai stata una serrata totale come l’abbiamo vista nei passati 60 giorni (la nostra intervista è in data 7 maggio, la chiusura risale all’8 marzo, nda)”, esordisce Gasser al telefono. “Non si era mai vista nemmeno in tempi di guerra, anzi, allora, nella prima guerra mondiale ad esempio i grandi alberghi fungevano da dimore a persone abbienti fuggite dalla Galizia o da altre parti della Monarchia austro-ungarica”. Non si era mai vista dunque una chiusura totale di alberghi com’è avvenuta ai tempi del coronavirus. Va ricordato che per Merano ad esempio il 1914 fu l’anno del grande esploit per quanto riguarda i numeri: un totale di 1,2 milioni di pernottamenti, come ai tempi odierni, prima del coronavirus. Va considerato che allora si trattava soprattutto di ospiti giunti nella cittadina sulle rive del Passirio per seguire una delle cure offerte, tra quella termale, dell’uva o del siero del latte, oppure semplicemente quella della buona aria da respirare per i malati di tubercolosi, come lo testimoniano le tante presenze di artisti, musicisti o letterati, da Franz Kafka a Christian Morgenstern, a Max Reger. Per soggiorni più lunghi.

 

La stagione andava da settembre a giugno, dove i mesi estivi furono usati per elaborare nuovi progetti per la stagione autunnale successiva. Poi, il 28 luglio 1914 lo scoppio del primo conflitto mondiale dopo l’attentato a Sarajevo il 28 giugno, ed era iniziato il primo grande declino: i contratti di lavoro col personale alberghiero non vennero prorogati, benché i campi di battaglia fossero ben lontani dall’Alto Adige, il personale dovette tornare nei propri luoghi di origine che mediamente erano nella Boemia o in altre zone della monarchia, e il motto era – come oggi: aspettare, attendere, il da farsi. Ci fu ancora quell’anno, a Merano, la grande festa di capodanno per l’inaugurazione del nuovo Kurhaus, costruito nel frattempo, poi il grande vuoto. Negli ultimi due anni poi, nel 1917/18 si erano già registrati, però, attorno alle 4mila presenze nei grandi alberghi, i fuggitivi, perché - lo ribadiamo - non c’era mai stato il divieto del pernottamento. Mai!

Altri periodi di crisi si erano verificati – precisa ancora Gasser – durante la seconda guerra mondiale e negli anni settanta ai tempi della crisi del petrolio”. Anche qui si trattava di un venir meno ma non di un azzeramento totale, perché la possibilità di viaggiare c’è sempre stata.
Ovvio che nella prima guerra mondiale non c’era nessun ospite francese ma tutti provenivano dalla monarchia austro-ungarica, e al termine del conflitto il turismo si era ripreso velocemente generando un altro tipo di soggiorni. “Anche ora si riprenderà”, sottolinea fiducioso Gasser, e aggiunge “piano piano, certamente, e una volta che ci sarà un vaccino o la cura adeguata andrà ancora meglio. Per lo meno qui in Alto Adige, altre zone, come Venezia ad esempio dovranno attendere più a lungo per riprendersi”.

 

La prognosi di Gasser, forte di confronti con albergatori e di ricerche in rete, è da due a quattro anni, grazie a turisti in arrivo dall’area germanica e dal territorio nazionale italiano, i due ambiti in cui la provincia ha maggiormente investito. Forte anche della prossimità geografica perché si inizierà dalla vacanza in auto, più sicura in tempi di eventuale contagio col rischio di ammalarsi per cui un ritorno a casa è più facile rispetto a un’isola in mezzo al Pacifico raggiunta con l’aereo.
Secondo le fonti di Gasser, una volta aperta la frontiera con la Germania si potrebbero riempire le strutture a Tirolo vicino a Merano, nella zona ovest e attorno ai laghi di Caldaro e Monticolo, mentre dalle province italiane si riverseranno nelle valli Gardena e Pusteria. Si tratta di un campo economico troppo enorme e non tutti i tedeschi potranno recarsi al mare del Nord, come viene loro indicato. Rimane la grande incognita: quanti saranno a venire davvero? E, dopo la stagione estiva se dovesse verificarsi la famosa seconda ondata che succede con la stagione invernale?

 

La pressione è alta da parte degli albergatori, e forse avranno più chance i piccoli alberghi a conduzione famigliare con meno ospiti, mentre i grandi alberghi in ogni caso devono mettere in conto le spese fisse che ammontano fino a 10/15mila euro a unità.
Dal punto di vista storico i lussuosi Grand Hotel erano diventati i nuovi castelli della ricca borghesia, i luoghi dove esibirsi orgogliosamente. Mentre alla maggior parte dei lavoratori fu ancora negato andare in ferie, gli strati sociali superiori si erano già dedicati all’ozio: con cibi raffinati e feste inebrianti. “Per essere ‘à la page’ in un luogo di cura come Merano, ci si deve cambiare d’abito fino a cinque volte al giorno”, si legge nella descrizione sul sito. E ancora: “Per la Chiesa il turismo è foriero di malanni: porta con sé pericolose idee liberali, mentalità cittadina, vita scostumata. La sua opposizione è tuttavia vana: sono sempre più numerosi i tirolesi che si pongono al servizio dei forestieri.”


Alla fine dell’Ottocento però non erano ancora i sudtirolesi a investire negli alloggi per i turisti, c’erano le Wiener Baugesellschaften e altri investitori stranieri che dopo aver individuato le lacune del mercato costruirono alberghi moderni e confortevoli a Merano e Arco, Gries e Dobbiaco. L’oggi Grand Hotel di Dobbiaco, ad esempio, fu eretto nel 1887 perché essendo stata creata la linea ferroviara, essa fece (e fa) tappa proprio lì. E poi ci andò in vacanza Federico III, ancora da principe ereditario, e dopo la sua improvvisa morte da Imperatore quel Südbahnhotel divenne meta di pellegrinaggio per molti ospiti germanici. Come tante altre grandi strutture alberghiere fu sequestrato e nazionalizzato sotto il fascismo, che una volta tornate nelle mani della provincia furono destinati ad altri usi, come scuole a Merano, o appunto il centro culturale del Grand Hotel con sala di concerto, scuola di musica, ostello e struttura ricettiva per ospiti, dove ogni anno si tengono le famose Mahler Musikwochen, dato che anche lì vicino un compositore si era ritirato per godere dell’ispirazione in mezzo al silenzio della natura per la propria musica.
Proprio quelle montagne che nel passato lontano erano temute, incutendo paura e terrore invece di gioia e rilassamento psico-fisico, in quanto fu utile il vagabondare dei venditori ambulanti tirolesi il cui atteggiamento fu ripreso in molte guide francesi. Ad esempio, in una del 1823 si poteva leggere: “Il tirolese di rado si accinge al lavoro senza fischiettare, ma poi, se ode una musica, comincia ben presto a segnare il tempo, battendo le mani fra loro e sulle cosce, sulle ginocchia.”

Quando era nato l’ “homo touristicus”? La parola tourist si trova per la prima volta intorno al 1800 nei dizionari inglesi e non a caso il termine era nato in Inghilterra, dove il processo della industrializzazione era avanzato in modo molto più rapido che altrove. La natura, venerata e ingentilita dai romantici, si contrappose già allora al crescente degrado delle città industriali. Chi se lo poteva permettere, andava quindi alla ricerca di un angolo incontaminato di pace. Come oggi. Così era iniziata la corsa, e infatti possiamo leggere ancora sul sito del Touriseum: “L’Alto Adige viene pervaso da una febbre dell'oro che ne muta rapidamente il volto: masi contadini che paiono talvolta dei residence, paesi tranquilli che divengono rumorosi centri turistici.” A questo boom negli anni settanta venne posto un primo freno nel 1980 con leggi ambientali più severe. Che tuttavia non sempre vengono rispettate, e per quanto riguarda le tradizioni e usi e costumi il loro coltivarsi spesso rasenta una sorta di prostituzione. Basti pensare al famoso törggelen, un tempo noto soltanto ai residenti essendo quel mangiare i crauti con carne appena macellata, occasione per degustare il vino nuovo accompagnato da castagne arrostite alla fine. Appena è diventato parte delle offerte turistiche, però, grazie alla promozione turistica provinciale, erano arrivati in migliaia per gustare castagne e vino novello, trasformando quella usanza contadina in un marchio, assumendo persino il valore di un simbolo. Non più valore culturale, dunque, ma prodotto di un turismo di massa.


Torna utile allora per un rilancio del territorio riagganciarsi al turismo della cura, anche qui si sa che quasi ogni struttura alberghiera ormai si è dotata di una sezione wellness. Patrick Gasser individua due possibili trend: da un lato, è vero, ci sono i templi del benessere, in cui fu molto investito, e che dovranno ripagare i loro debiti, ma dall’altra c’è una nuova direzione, già in atto, di un turismo responsabile, dove l’Alto Adige proprio grazie alla sua magnifica natura ha molte carte da giocare. Tutto dipende dalle reazioni dei turisti che verranno, come si muoveranno? Lo si potrà dedurre dai nostri stessi movimenti, d’ora in poi. Il wellness sarà meno richiesto, di più il camminare. E qui si affaccia un’altra caratteristica che con meno finanze ha creato un valore enorme negli anni passati e potrà farlo negli anni a venire: la gentilezza, il carattere famigliare delle piccole strutture, l’ospitalità, per (ri)creare quell’atmosfera spesso cercata di “un andare altrove ma andare a casa”. Molto apprezzato da tanti. Come tornare a questi livelli umani, però? Come sarà farsi ricevere da persone con mascherine, farsi servire il caffè o il pranzo da camerieri con mascherine e guanti? Si potranno esprimere lo stesso il sorriso, con tanto di mimica e gestualità? Si intensificherà il contatto con gli occhi?

Si vedrà… pertanto anche il museo si prepara alla riapertura, possibile dall’11 maggio ma realizzabile più avanti, visti i lavori preparatori che di solito vengono svolti nel mese di marzo per aprire il Primo aprile la stagione primaverile dei Giardini di Trauttmannsdorff. La mostra temporanea sarà la più piccola dedicata al soggiorno di Kafka a Merano nel 1920, e non è detto che saranno in tanti a visitarla, visto che, forse, dopo due mesi di chiusura forzata nelle proprie case, le persone avranno più voglia di aggirarsi nel giardino. Negli anni passati sulle 400mila entrate annue, circa la metà era andata anche a visitare il castello, un tempo dimora - come si è già - di Sissi che amava passare tanto tempo nelle sue affascinanti stanze ampie, ma amava soprattutto passeggiare in mezzo alla natura, e sono note le sue lunghe cavalcate fino ai bagni di Verdines sopra Scena.