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Il sogno di Fellinette

Francesca Fabbri Fellini, nipote di Federico, ci parla di montagne, di famiglia, della creatività sbocciata grazie a un blog e del progetto di trasferirsi in Alto Adige.
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Foto: Fellinimagazine.com

Lo sanno tutti: Federico Fellini è stato (ma si potrebbe anche usare un tempo presente acronico: è - e lo sarà per sempre) uno dei più grandi geni del secolo XX. Quello che però non tutti sanno è che al nome “Fellini” ci si può riferire anche abbracciando altri, notevolissimi, membri della famiglia. È il caso di Riccardo, il fratello minore del maestro di Rimini, anch'egli attore (gli appassionati ne ricorderanno almeno la partecipazione ai due grandi capolavori di Federico: “I vitelloni” e “Le notti di Cabiria”), regista e documentarista; ed è il caso pure di Maddalena, la più piccola dei tre, protagonista di una fulminante carriera di attrice svoltasi in tarda età, tra il 1991 e il 1995. Per un caso fortunato, abbiamo incontrato proprio la figlia di Maddalena, Francesca Fabbri Fellini, di passaggio in Alto Adige, che ci ha concesso la presente intervista.

salto.bz: Il nome Fellini profuma di mare, evoca spiagge ritratte in bianco e nero, come nella scena che chiude “La dolce vita”, o gli scorci che fanno pensare all'Adriatico, teatro di tutti gli amarcord riminesi narrati dal grande regista. Lei invece preferisce trascorrere qualche giorno di riposo in montagna.

Francesca Fabbri Fellini: Nel mio caso non c'è nulla di strano. Ho sempre adorato la montagna, fin da quando ero molto piccola. Potrei dire di essere una specie di Heidi. Pensi che sono stata concepita nell'agosto del 1964, a Cortina. Evidentemente un po' di polvere magica, polvere di stelle di montagna, ha circonfuso quell'evento.

Però in montagna non ci ha mai vissuto.

No, sono nata in realtà a Bologna, ho vissuto molto a Rimini e poi a Roma. Le montagne le ho sempre guardate da lontano, ma con il desiderio costante di passarci lunghi periodi o di tornare periodicamente a visitarle.

Un amore per le montagne in generale, per tutte le montagne insomma, dall'Himalaya alle Ande, o ne predilige alcune più di altre?

Beh, diciamo che non le conosco tutte. Amo comunque molto proprio queste montagne, le “nostre” Dolomiti, che credo rappresentino un spettacolo unico al mondo. Fra l'altro questo è un luogo nel quale io mi sento subito bene, mangio meglio, dormo meglio, il mio bioritmo riceve un immediato beneficio quando mi trovo qui. Le posso fare un esempio per farle capire esattamente di cosa parlo.

Prego.

L'altro giorno eravamo in Val Sarentino e sono stata investita da un bouquet di profumi che mi ha ricordato immediatamente l'odore di tisana, io sono una grande amante di tisane, che associo fra l'altro alla meditazione. Un profumo incredibile, dicevo, diffuso così, semplicemente, nell'aria. È stata un'esperienza benefica, sensoriale e spirituale a un tempo.

Che cosa apprezza particolarmente dell'Alto Adige?

Le sue diversità, la molteplicità di cose, anche contrastanti, che vi si possono trovare. È un posto che conosco bene, perché durante il mio lavoro – quando per esempio ho collaborato a programmi televisivi quali “La vita in diretta” – si è riproposto spesso come meta di viaggi e servizi. Ogni volta scoprivo e scopro qualcosa di nuovo. È fantastico.

A questo punto è inevitabile che le ponga qualche domanda sullo zio più famoso, del quale porta anche il cognome. Ci sarà abituata.

(Ride) Sì, diciamo che me lo aspettavo.

Potrei chiederle quali sono i suoi ricordi più significativi, ma inverto il senso della domanda: in che modo Federico Fellini si è rapportato a lei, cioè a sua nipote, la figlia di sua sorella?

Io sono nata dopo 12 anni di matrimonio da Maddalena Fellini e da mio padre, Giorgio Fabbri, che era un pediatra. Sono quindi venuta al mondo in ritardo, tanto è vero che lo zio Federico, quando mi vide, disse: “Che bellina la bamboccia, ha i capelli rossi perché ha fatto un po' di ruggine”. Valentina Cortese, la grande Valentina Cortese mi chiamava Rusty, perché con gli occhini verdi, i capelli rossi e le lentiggini sembravo un personaggio delle fiabe.

E dopo? In che modo Federico Fellini e Giulietta Masina sono stati importanti per lei?

Zio Federico era molto affettuoso, certo, e ovviamente lo ammiravo molto, era inevitabile diventasse un punto di riferimento, ma un rapporto ancora più intenso l'ho vissuto con sua moglie, zia Giulietta, che fra l'altro è stata per molto tempo ambasciatrice dell'Unicef, segno inequivocabile della sua predilezione per i bambini. Anche se non hanno avuto figli propri [in realtà la coppia un figlio lo ebbe, Pier Federico, nato il 22 marzo del 1945 e morto appena quindici giorni dopo, ndr], Giulietta aveva un senso profondissimo della famiglia, è stata senza dubbio lei, con la sua forza, il suo costituire un faro costante, a rendere possibile non solo la propria straordinaria carriera, ma anche quella di Federico.

Parliamo di sua madre, anche lei passata per i set cinematografici...

Sì, ma in modo del tutto inatteso e comunque molto tardi. Mia madre, al pari dei fratelli, era attratta da quel tipo di carriera, avrebbe voluto trasferirsi a Roma con loro. Mia nonna però si oppose, due figli nel mondo del cinema erano abbastanza, disse, e poi lei, come donna, avrebbe dovuto sottomettere le proprie ambizioni alle esigenze familiari. Così la sua potenziale carriera ha subito, diciamo così, una situazione di stallo, finché è accaduta una cosa straordinaria.

Quale?

Un giorno, all'inizio degli anni Novanta, il regista Marco Tullio Giordana andò a trovarla a Rimini, per proporle di partecipare a un episodio di un film collettivo, firmato cioè da quattro registi diversi, intitolato “La domenica specialmente”. Fu l'inizio di un'avventura emozionante (durata soli quattro anni, prima che purtroppo si manifestasse la grave malattia della quale ha sofferto fino alla morte), che ha prodotto una decina di pellicole e l'ha gratificata moltissimo.

Chiamarsi Fellini, avere alle spalle storie così grandi e importanti, è più un onore o un onere?

Entrambe le cose. Diciamo che sicuramente è una grande responsabilità, perché il confronto con un passato del genere non può non accompagnarti sempre, alimentando fra l'altro una vorace aspettativa. Io comunque ci tengo a precisare che ho intrapreso la mia carriera di autrice televisiva senza contare sull'appoggio di nessuno. Fino a quando mio zio Federico era vivo, cioè fino al 1993, ho portato il cognome di mio padre (Fabbri), e solo dopo ho intrapreso la procedura burocratica, peraltro lunga, che mi ha consentito di chiamarmi anche Fellini. È vero, quando Federico era in vita era molto potente, una sua telefonata avrebbe potuto aprire o chiudere molte porte. Ma in famiglia avevamo troppo rispetto per chiedergli favori. Ognuno doveva affrontare le difficoltà della vita con le proprie forze. Del resto, dopo la morte di mia madre (avvenuta nel 2004) poco dopo io ho deciso anche di cambiare vita, dedicandomi ad assistere mio padre. Una scelta che mi ha immensamente arricchita dal punto di vista umano e che non rimpiango di aver compiuto.

Poi però, dopo la morte di suo padre, è nata l'idea di riprendere il filo della tradizione creativa familiare, ed è nato un blog che si chiama proprio Fellini Magazine. Di cosa si tratta?

È un'idea nata durante il Lockdown, che ho sviluppato insieme al mio compagno, il fotografo Graziano Villa. Si tratta di un'iniziativa pensata essenzialmente per i giovani. Ci siamo detti: cosa possiamo fare per stimolare le ragazze e i ragazzi ad avvicinarsi all'arte – arte intesa in tutti i sensi possibili della parola, cioè in tutte le sue direzioni –, per far conoscere loro le grandi figure del passato, ma anche per costruire una piattaforma grazie alla quale loro stessi potessero pubblicare articoli, opere, nuovi progetti? Questo blog è un grande contenitore di spunti, di idee, un punto d'incontro nato in un'epoca nella quale condividere esperienze belle e significative (nella vita reale, ma anche online) sembra diventato così difficile.

Quindi il nome Fellini, in questo caso, non costituisce un limite, il ripiegarsi su qualcosa di già scritto e vissuto, ma indica uno spazio aperto, da riempire di vita futura.

Esatto. Questa sarebbe proprio la nostra intenzione. Basta sfogliare il blog per rendersene conto. Possiamo parlare di Luigi Ghirri, di Gilberto Gil, di Marc Levy, oppure esploriamo le produzioni più recenti, in un'apposita sezione del blog intitolata YIG – Young Image Gallery, chiamando per così dire a raccolta chiunque abbia il talento e la voglia di proporre le proprie ricerche espressive.

Uno sguardo al futuro che non dimentica il passato, ma che se ne nutre...

È sempre così e non potrebbe che essere così. Ma non solo non ci dimentichiamo del passato, io ho anche l'intenzione di esplorarlo da punti di vista finora trascurati.

Esiste già un progetto concreto?

Sì, esiste. Due anni fa ho già realizzato un cortometraggio su mio zio Federico. Adesso sto raccogliendo il materiale per una pubblicazione che ha l'ambizione di ritrarre l'intreccio di affetti dal quale è emerso un genio del suo calibro, una storia di famiglia scritta dall'interno, insomma, capace di evidenziare la linfa creativa che circolava in tutti i suoi membri.

Tornando al nostro discorso di partenza, quando parlavamo di montagne, della quiete che generano, allora perché non ritirarsi proprio qui, almeno per un paio di mesi, in modo da realizzare un progetto del genere?

Guardi, le confesso che in realtà ci sto e ci stiamo sul serio pensando, non solo per realizzare questo libro o per un breve periodo. Io sono arrivata all'età di 57 anni, adesso sento la necessità di un contatto più stretto con la natura. Dopo aver vissuto 25 anni a Roma – città fantastica, per carità, ma anche malata di stress –, avverto fortissimo il bisogno di aprire un nuovo capitolo. Forse è giunto davvero il momento di fare una scelta radicale e di realizzare un sogno, il sogno di avvicinarmi alle montagne nel modo più concreto possibile: andandoci finalmente a vivere.