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Bella di papà

La divisione tra bravi e cattivi quando si parla di padri? Angel spiega perché la figura paterna è sempre da criticare se ci si vuole liberare dal patriarcato.
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Foto: Blackie Edizioni

Luoghi comuni, retorica e tabù abitano da sempre l’immaginario collettivo della famiglia e, in particolare, della figura del padre. “La preferita di papà”, “le figlie hanno un rapporto speciale con il proprio padre”, “il mio primo e unico uomo è e sarà sempre mio padre”, “le bambine vogliono sposare il proprio papà” sono solo alcune delle frasi cliché che circondano il rapporto padre-figlia, un rapporto, quest’ultimo, spesso segnato da forme di controllo e manipolazione ammesse raramente e con molta fatica. Eppure gli esempi di uomini che esercitano il loro potere e il loro privilegio nei panni di padri sono talmente numerosi da poter stilare una lista, elenco che ha fatto anche Katherine Angel nel suo Bella di papà. In questo saggio, uscito nel 2021 per i tipi di Blackie Edizioni, è approfondito il ruolo del padre nella cultura contemporanea a partire dall’analisi di film, serie tv e libri, senza escludere episodi realmente accaduti come le dichiarazioni rilasciate da Donald Trump in merito a Ivanka Trump: “‘Ho detto che se Ivanka non fosse mia figlia, forse la corteggerei’. E ancora: ‘Sapete chi è una delle donne più belle del mondo, a detta di tutti? E io ho aiutato a crearla. Ivanka. Mia figlia Ivanka. È alta un metro e ottanta, ha un corpo bellissimo’”.

 

Trump nel suo essere un “padre-padrone”, un “padre gonfiato” che ha fatto del paternalismo e dell’autoritarismo – caratteristiche che in diversi modi definiscono ogni uomo al potere a prescindere dall’essere padre – elementi distintivi anche della sua politica, sembra rientrare in quella categoria che Valerie Solanas nel suo Manifesto SCUM definisce “il bruto esaltato e delirante” in opposizione al “padre modello”, “civilizzato”. Negli ultimi anni, questo secondo modello di padre gode di un grande prestigio culturale: l’immagine dell’uomo che aiuta a casa e che si prende cura della prole è investita da un alone di santità che permette di rendere delle azioni quotidiane gesti eroici solo perché fatte da mano maschile. I “padri sentimentali”, così come definiti da Angel, si nascondono dietro le mentite spoglie di uomini progressisti, quando invece molto spesso la loro è una forma più politicamente corretta e dunque più difficilmente disprezzabile di “mascolinità predatoria”: “Da un giorno all’altro si sono trasformati in eroici difensori dei diritti delle donne, peccato che questa difesa finisca per essere quella che difende la purezza delle proprie figlie e che dunque poggi, in parole povere, sull’identificazione con una mascolinità predatoria che un padre ben conosce ma che ora sconfessa: dato che si ritrova ad amare una creatura vulnerabile alla sua violenza, riesce a vedere l’anima nera della sua mascolinità”.

Pubblicità che riproducono famiglie stile Mulino Bianco, retaggi socioculturali che conservano la sacralità della famiglia, insegnamenti morali che ricordano di onorare il padre (e la madre), hanno fatto sì che l’idea dell’“uccisione dei padri” si cristallizzasse nella forma di slogan sessantottino e che i “bravi papà” diventassero delle figure tanto rassicuranti quanto affascinanti. Se la veste del padre perfetto rende più complessa una radicale critica della paternità, il “padre vecchio stile, il bruto esaltato e delirante” – per usare le parole di Solanas – è riuscito a rendere il suo essere inopportuno motivo di sofferenza più che di distaccata rabbia per le figlie. Scrive Angel: “La delusione nei confronti dei padri è stata sempre più privatizzata nel discorso femminista; i cosiddetti daddy sono stati relegati al regno dei problemi personali. Eppure, volenti o nolenti, i padri detengono un potere inquietante, sia che rivendichino sia che rinneghino il ruolo patriarcale che si ritrovano assegnato dalla storia”. Fare del rapporto con il padre una questione strettamente personale fa cadere le colpe dei padri sulle figlie: la vergogna e il profondo imbarazzo che capita di provare verso il comportamento e le azioni paterne non rimangono circoscritte all’altra persona ma vengono annesse al modo in cui ci si sente con sé stesse. Il senso di responsabilità che si prova nei confronti del genitore fa del padre, ma forse dell’uomo in generale, una figura ingombrante anche nel rapporto con sé.
La centralità del padre nella vita delle figlie sembra dunque generare la fatica che le donne devono compiere per liberarsi dal genitore al fine di affermare la propria personalità: se si dà per vero “il ruolo di padre come intermediario con la realtà”, la messa in discussione del punto di vista del padre – qualunque padre, anche il “bravo papà” – diventa un passaggio fondamentale per la definizione di sé. A prescindere dal tipo di padre che il caso ha fatto avere, essere la figlia che sbalza il padre “fuori dalla tanto desiderata pastorale americana”, essere la Cordelia che rifiuta il ricatto paternalista è qualcosa da fare per sé. Il fatto che Bella di papà apra la strada alle lettrici e ai lettori a una schietta critica del padre, in primis del proprio padre, è il miglior giudizio che Katherine Angel possa ricevere.