Politica | Arte in trasferta

Von Händen, die schaffen und nichts können

La performance di Sven Sachsalber alla White Columns Gallery di New York.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Questo è un viaggio per interposta persona. Perché a New York, a seguire l’opening della perfomance di Sven Sachsalber, io non ci sono stata. Ma mi sono infilata virtualmente nel bagaglio di Karl Prossliner, Daniel Mazza e Cornelia Schöpf, confidando di passare i rigidi controlli alla dogana insieme alle loro preziose attrezzature di ripresa.
Karl Prossliner, uno dei documentaristi più riconosciuti della nostra provincia, ha un dono che traspare inequivocabilmente da ogni suo lavoro di regia, e che gli ha fruttato anche alcuni riconoscimenti ufficiali, come una Genziana d’Oro al Filmfestival di Trento e il premio Gatterer. E che gli è valso i doverosi elogi per il suo ultimo lavoro sull’uscita dell’ex Landeshauptmann Durnwalder.
Karl cattura l’umano. Ha il giusto sguardo, la giusta empatia e, appena l’umano fa capolino, anche la giusta prontezza nel saperlo cogliere e rappresentare. Con lui i fidatissimi Daniel alla fotografia e Cornelia al suono, ma solo per questa volta.

Mi incontro con Karl per un caffè al volo in un tranquillo bar di Merano, a poche ore dalla partenza. Mi racconta che Sven Sachsalber lo ha incontrato l’anno scorso, durante la sua performance a Museion. Hanno parlato a lungo, di Sven, della sua storia e della sua scelta, inusuale, di coinvolgere il padre Markus nella sua arte. Karl mi racconta di un rapporto difficile e per molti anni inesistente, e di una volontà di ricongiungimento e di scambio attraverso ciò che li accomuna. Per lo Sven bambino erano gli sci, per lo Sven di oggi l’arte.
La necessità, concreta e inopponibile, di usare l’arte come strumento di congiunzione e di esplorare il rapporto umano, di padre e figlio, attraverso il canale dell’arte, è stato ciò che ha attirato il fiuto di Karl per l’umano e l’ha portato a interessarsi a Sven e alla sua arte, tanto da raggiungerlo a New York e girare un film sulla sua performance del 6 novembre alla White Columns Gallery di Manhattan.
Questo piano profondamente reale, onesto ed emozionale è ciò che ha colpito anche i curatori della White Columns, che stando a quanto riportano i filmmakers altoatesini, apprezzano il lavoro di Sachsalber proprio per la sua capacità di cogliere aspetti emotivi con particolare incisività, per il suo complesso approccio all’esplorazione delle dinamiche relazionali e per l’idea e il coraggio di coinvolgere il padre direttamente nel proprio lavoro.

Karl, Daniel e Cornelia hanno anche avuto il compito di accompagnare Markus Licata, il padre di Sven, nel suo primo viaggio negli Stati Uniti, dove rimarrà fino alla fine di novembre, a prescindere da quando sarà effettivamente ultimato il puzzle di 13.200 pezzi, rappresentante un dettaglio della Creazione di Michelangelo, la cui ricomposizione è il fulcro della performance. La durata della performance stessa è imprevedibile e dipende dalla complessità del puzzle e da quello che avverrà nelle ore della sua composizione. Perché tutto avviene davanti a un pubblico e quindi l’esplorazione non sarà solo quella della relazione padre-figlio, ma anche quella della relazione fra arte e pubblico, fra privato e ostentato, in una serie di livelli di senso che rende particolarmente articolata la performance.
E per capire qualcosa di più di questi livelli di senso, ho posto a Sven alcune domande.

Sven, hai preso un’icona della storia dell’arte, la Creazione di Michelangelo, l’hai sbriciolata in 13.200 pezzi e ora la ricostruisci: la creazione può essere quindi un processo rapido come il toccare l’argilla con un dito o lento come ricomporre un puzzle di 13.200 pezzi. Ma si tratta sempre e comunque di un processo divino?

Ich zerbrösle die Arbeit nicht. Ich kaufte mir ein Puzzle. Kann man bei Amazon bestellen, hier: http://www.amazon.com/gp/search?ie=UTF8&keywords=8005125380046&tag=wonderclub Ich verstehe weder von Schoepfung noch von einem göttlichen Prozess etwas. Aber ich habe mir fest vorgenommen irgendwann die Bibel zu lesen.

Tuo padre è parte integrante di questo progetto e non è la prima volta che accade. Lui è colui che ti ha creato ed è difficile non riconoscere un certo parallelismo del rapporto padre/figlio nell’immagine che hai scelto. Tuttavia, nella storia umana ad un certo punto l’Uomo ha cominciato a ipotizzare di aver creato Dio, e che non sia avvenuto il contrario. È successo lo stesso nel rapporto con tuo padre? Sei tu ora il creatore e lui, per così dire, una creazione della tua arte? E il parallelo vale anche al di fuori dell’arte, nella vita “vera”?

Genau. Ich übernehme ein Ding wörtlich und ich setze es dann um. Gott-Adam. Vater-Ich. Ich weiss nicht ob Gott den Menschen, oder der Mensch Gott geschöpft hat. Mein Vater hat mich erschaffen, mich gezeugt. Mann - Frau - Fortpflanzung, Kind. Im rein darwinistischen Sinne, das Prinzip der Fortpflanzung.
Ich habe ihn gefragt, und er kollaboriert mit mir gerne. Hat er auch im letzten Jahr im Museion gemacht. Ich glaube es hat damit zu tun, dass wir jetzt Dinge umkehren. Mein Vater hat mir Skifahren beigebracht. Ich wurde einfach auf Skiern gestellt mit 4 Jahren. Ich bringe ihm die Kunst bei, oder so wie ich die Kunst sehe. Mein Vater ist auch ein Maler, und wir diskutieren viel über seine Arbeit. Er hat ab und zu Bedenken darüber, dass seine Malerei nicht gut genug sei, für den Südtiroler Kunstbetrieb. Mein Vater hat mir erzählt er hat Menschen in Südtirol Bilder geschenkt, sie wurden abgelehnt bzw. lächerlich empfangen. Daraufhin haben wir diskutiert und ich habe ihm gesagt, dass es sich nicht drüber Sorgen machen solle, sondern dass das ein gutes Zeichen sei. Und so weitermachen soll. Mein Vater hat eine Kraft in Farb- und Strichwahl. Das kommt vom Gefühl aus. Erst vorgestern haben wir uns eine Ausstellung von Merlin Carpenter hier in NY angeschaut, das hat ihm gut getan, dort erkannte er Ähnlichkeiten in seinem Malstil. Ich kann Kunst nicht vom Leben trennen.

Karl Prossliner mi ha raccontato di essere stato particolarmente affascinato dalla tua ammissione di “non saper fare nulla”, e dal fatto che questo “non saper far nulla”, nel senso di talento artigianale, avrebbe avuto un effetto sul tuo percorso di artista.
Innanzitutto, confermi di non saper far nulla? E in secondo luogo la scelta di una simbologia legata alla più elevata creazione ha qualcosa a che vedere con queto “saper fare”? Provi una sorta di “invidia del divino” per tutti coloro che “sanno fare”? E la tua arte è un tentativo di eludere il “saper fare” (sei principalmente un performer) oppure hai trovato la tua arte proprio nella rinuncia consapevole a questo “saper fare”?

Ich kann nichts im handwerklichen Sinne. Das haben Karl und ich einmal besprochen. Ich bin Autodidakt, was Kunst anbelangt. Ich hatte und habe immer noch Angst, die Eigensinnigkeit und die Unschuld zu verlieren. Darum schaute ich mir auch sehr selten Ausstellungen an. Symbolik war für mich immer sehr interessant, wenn es etwas schon gab, etwas sehr starkes Symbolisches, dann noch einen Draufsetzen. Das passt mir. Kunst soll meiner Meinung nach über Kunst hinausgehen, dass es auch Menschen berührt, die nichts damit zu tun haben. Schau dir Andy Warhol an. Beeindruckend! Mit Warhol habe ich mich angefangen zu beschäftigen seit ich in New York bin. Habe mittlerweile viele Bücher von ihm gelesen. Kennst du das Lied von den Velvet Underground: All tomorrow's parties. Ich verstehe dieses Lied jetzt, das macht Sinn, allerdings nur in New York.
Performance daher weil ich nichts produzieren will bzw. lange wollte. Mittlerweile habe ich auch angefangen zu malen. Von der Malerei habe ich sehr großen Respekt. Malerei ist die Königsdisziplin. Ist interessant mich wieder in ein kaltes Wasser zu stürzen. Bald mache ich eine Ausstellung mit Malereien. 
Was Neid anbelangt, bin ich nicht mehr neidisch, weil das kostet viel Energie. Kannst du diesen Satz unterstreichen? [selbstverständlich, erledigt. nda]
Klar nütze ich das total aus, Autodidakt zu sein

A Südtiroler in New York. Fa ancora un certo effetto o ormai si può dire che gli artisti altoatesini siano in grado di dialogare con il “grande mondo” al suo stesso livello?

Ich bin jetzt mittlweile schon seit fast 10 Jahren von Südtirol weg. Lebte in Bologna, dann 5 Jahre in London und seit ca. 2 Jahren in New York. Hier fühle ich mich wohl und bin verliebt.
Ich glaube man richtet sich alles so her wie man will, ob in Südtirol oder Ausland. Provinziell und kleinkariert kann man überall sein. Offen auch.
Wenn ich mich im Laufe der letzten Jahren nicht bewegt hätte, würde ich nie zu den Menschen gekommen sein, dir an mich glauben und mir weiterhelfen.