Bruno Kessler
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Politica | Avvenne domani

Una generazione consumata

A trent’anni dalla scomparsa di Bruno Kessler

Mi accade, per una singolare coincidenza, di realizzare che tra pochi giorni, il 19 marzo, cadono i trent’anni dalla scomparsa di Bruno Kessler, uno dei politici più rilevanti nella storia regionale del dopoguerra, proprio mentre sto lavorando su un suo intervento in uno dei dibattiti più accesi che la Camera abbia ospitato sulle cose altoatesine: quello del 1981 sul censimento etnico. Un dibattito durato tre giorni e nel quale Kessler, assieme ad un altro politico eletto nel Trentino, Marco Boato e a Roland Riz della Südtiroler Volkspartei svolse un ruolo di assoluto protagonista.

Era un abito, quello del primattore in politica, che indossò con assoluta disinvoltura nel corso di tutta la sua lunga carriera.

Come è avvenuto per molti altri protagonisti di quella vicenda storica, anche su Bruno Kessler è calato uno spesso velo di oblio. Se a Trento il suo nome continua ad essere ricordato è perché gli è stata intitolata una fondazione che rappresenta un’assoluta eccellenza in molti campi della ricerca. Non è un’indicazione avvenuta a caso visto che Kessler ha legato una parte consistente del suo pensiero e della sua azione ad uno sforzo titanico per creare strutture votate alla ricerca e all’educazione di alto livello. L’esempio fondamentale resta quello dell’ateneo universitario trentino, da lui fortemente voluto e sostenuto, alla nascita ed anche quando la tumultuosa e turbolenta stagione nella facoltà di sociologia indusse molti a deprecarne financo l’esistenza.

Se a Trento si è persa, almeno in parte, la memoria di un politico dalla fortissima personalità, dalle intuizioni estremamente innovative, discusso e criticato per la sua gestione del potere, il fenomeno è ancor più marcato in un Alto Adige dove la memoria del passato anche recente, degli uomini e delle donne che hanno costruito, nel bene e nel male, l’assetto politico, sociale ed economico nel quale viviamo oggi si è quasi completamente persa. Vale qui il discorso fatto in questi giorni, in occasione del decimo anniversario della scomparsa di Alcide Berloffa, che tra l’altro con Bruno Kessler ebbe una fortissima comunanza di pensiero, di azione, di collocazione all’interno di quel mondo complesso e variegato che era allora la Democrazia Cristiana. Vale lo stesso discorso anche per molti politici di lingua tedesca. Non meraviglia quindi che questo oblio inghiotta anche e soprattutto i personaggi che si sono mossi nella vicina provincia di Trento, verso la quale lo storico “los von Trient” sembra autorizzare il vezzo assurdo di un totale rifiuto di rapporti, di dialogo, di confronto.

Accade così che venga riposta agli archivi anche la memoria di un personaggio come Bruno Kessler che invece, pur muovendo da un forte radicamento nel suo territorio, ebbe sempre una visione storica che non si chiudeva nel particolare di un Trentino fine a se stesso. Basterebbe, a testimoniarlo, un brano di quell’intervento di cui dicevo in apertura. Bruno Kessler riflette sulla vocazione di intere generazioni di politici che si sono, dice con una bellissima scelta del termine, letteralmente consumati attorno al problema di come assicurare una pacifica convivenza delle popolazioni di questa terra. Vale la pena di rileggere quelle frasi.

“A livello locale si può dire che un'intera generazione, dopo quest'ultimo dopoguerra, si è occupata prevalentemente di questa problematica, essenziale del resto per la vita di quelle popolazioni e delle loro istituzioni. Un'intera classe dirigente di ogni partito si è, per così dire, consumata intorno alla ricerca di soluzioni che, dopo tante vicende, consentissero e consentano in futuro, la pacifica convivenza su uno stesso territorio di popolazioni profondamente diverse per storia, per vicende, per lingua, per tradizioni e per provenienza.

Soprattutto la storia dell'ultimo secolo e mezzo ha profondamente inciso sulla vita di quelle popolazioni, ha mutato ripetutamente le condizioni di appartenenza statuale delle stesse ed ha modificato conclusivamente l'insediamento autoctono originario nell'Alto Adige-Südtirol. Basti pensare alle vicende politiche succedutesi alla scomparsa del principato arcivescovile di Trento avvenuta all'inizio del secolo scorso, con l'inglobamento del Tirolo, e quindi alla monarchia austro-ungarica, del territorio italiano, per nazionalità, del Trentino. Basti pensare all'inversione di situazione determinata dalla prima guerra mondiale, al fascismo ed alla sua opera di denazionalizzazione delle popolazioni originarie ed all'insediamento di nuove e diverse. Basti pensare agli accordi tra Mussolini e Hitler per opzioni del 1939. Basti pensare all'annessione del territorio al Terzo Reich tra il 1943 e il 1945, all'assetto definitivo dato allo stesso, poi, dal trattato di pace, a conclusione della seconda guerra mondiale, con l'allegato accordo De Gasperi-Gruber, nonché alle successive e più note vicende dell'ultimo trentennio, per comprendere il travaglio, in più di un passaggio il dramma, di quelle popolazioni sui confini di Stati e di culture diverse, e per comprendere ancora oggi anche gli stati d'animo complessi di quelle popolazioni.

Non può meravigliare, pertanto, il fatto che ancora oggi, e probabilmente ancora in avvenire, si discuta qui non tanto dei problemi generali di quel territorio, comuni a molti altri del nostro paese, ma piuttosto di problemi che attengono alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo, al destino delle diverse comunità etnico-linguistiche che in quel territorio convivono”.

Questo, anche questo, è stato Bruno Kessler. C’è da sperare che in questi mesi che ci separano dal cinquantenario del secondo Statuto, Trento e Bolzano trovino assieme i modi e i tempi per riflettere su coloro che come lui, con lui e contro di lui, furono i protagonisti di quella stagione e sull’eredità che hanno lasciato.