Economia | Ritratto

Capitane coraggiose

Elisabeth Tocca, CEO e fondatrice di Cora Happywear, sul lavoro femminile, l’innovazione della “sua” moda eco-sostenibile, i pregiudizi granitici, e il sogno di un papà.
Cora
Foto: Cora Happywear

“Sono una che ha sempre amato lavorare, non vedevo l’ora di finire l’università per mettermi all’opera”, piglio stakanovista e voglia di fare la differenza, con questa combo Elisabeth “Lisi” Tocca, 43 anni, “ma emozionalmente 30”, ha creato la sua startup di moda sostenibile per mamme e bambini Cora Happywear con sede a Pineta di Laives. Appassionata di viaggi, “di esplorazione e di tutto ciò che è ‘nuovo’”, Lisi, dopo gli studi di marketing seguiti da un’esperienza lavorativa in Accademia europea “un ambiente giovane e altamente formativo”, passa alla Dr. Schär, la nota società che produce alimenti gluten free. “Già con la nascita della mia prima figlia ho modificato il mio stile di vita, il modo di comprare. Prima facevo sempre sport dopo il lavoro, e avevo sempre il frigo vuoto, del resto era mio padre il cuoco di famiglia, ma l'arte della cucina è una qualità che non ho ereditato. Poi tutto, inevitabilmente, è cambiato”, spiega l’imprenditrice. Dopo un paio di anni torna a lavorare, stavolta per uno dei principali marchi di abbigliamento sportivo, la Salewa, “non tanto per la passione del tessile quanto per quella della montagna, e ho iniziato a valutare l’importanza di quello che indossiamo e le influenze che la grande industria ha su di noi”. La sfida successiva per l’imprenditrice diventa quella di svuotare quelle sacche di pregiudizio verso la figura della donna e della mamma di fatto ancora così presenti nel pantheon del mercato occupazionale.

L’idea è stata quindi quella di “provare a creare qualcosa di sessualmente neutro, anche se al momento l’azienda Cora attira più le donne”. Scardinare preconcetti asfittici non è tuttavia affare semplice. “Sono le regole del gioco del mercato ad essere sbagliate, e pensare che in Scandinavia è assolutamente normale per un uomo andare in paternità, anzi deve farlo, la differenza sta tutta lì, perché in una famiglia moderna lavorano entrambi i genitori e dunque è fondamentale offrire un’alternativa che non privilegi l’uno o l’altro ma piuttosto il nucleo famigliare”. Cora atterra sul web il 24 aprile 2014, una data simbolica, il Fashion Revolution Day, istituito quell’anno per ricordare le 1.133 persone morte nel 2013 in seguito al crollo dell’edificio Rana Plaza di Dhaka, uno dei poli tessili più grandi e importanti di tutto il Bangladesh. Un episodio tragico che contribuì a prendere atto della necessità di un futuro più etico e sostenibile per l’industria della moda. “Non vogliamo essere un marchio di élite sostenibile, ma democratico, certo i prezzi non possono essere quelli delle grandi catene ma sono comunque accessibili”, spiega Lisi.

Una delle peculiarità del progetto è un modello di vendita che offre la possibilità di cimentarsi nella piccola imprenditoria potendo contare su un’entrata aggiuntiva flessibile restando sul mercato. Tale modello si basa sul social selling, le signore si incontrano a casa di una o dell’altra, assistono alla presentazione del prodotto e, se vogliono, possono acquistare subito oppure ordinare, anche online. Le mamme “lifestyler” - una trentina in tutto finora più le Cora ambassador che sostengono l’idea di Elisabeth -, infatti, hanno tutte un piccolo portale e-commerce personalizzato e possono lavorare direttamente da casa, percependo una provvigione pari al 20% delle vendite se l’acquisto viene fatto durante questi “party casalinghi”, il 10% se invece il prodotto è stato comprato su internet. “Abbiamo inoltre dei corner per i nostri abiti in alcuni negozi di alimenti biologici, e questo ci aiuta a dare maggiore credibilità al progetto”, chiosa l’imprenditrice. I capi vengono prodotti in Italia, Grecia e Turchia dove le condizioni di lavoro eque sono garantite da una certificazione internazionale. Le materie utilizzate, ad oggi, sono il bambù e l’eucalipto - che hanno il vantaggio di un’ottima resa e crescono molto più in fretta rispetto al cotone senza bisogno di irrigazione artificiale - la lana rigenerata, il cotone organico; senza lavorazioni chimiche e nel rispetto della natura. E il serbatoio di idee va riempiendosi, assicura Lisi, “anche qui in Alto Adige abbiamo molte risorse naturali, e si potrebbe cominciare a fare ricerca e sviluppo su materie prime di scarto, ma diamo tempo al tempo”. Intanto i primi test nel mercato nord europeo vanno a buon fine, anche grazie al fatto che Cora riesce a distinguersi per l’uso che fa delle materie prime alternative, “credo che siamo gli unici nel settore della moda dedicato ai bambini”.

"Mio fratello e io ci siamo resi portavoce del sogno di nostro padre che aveva da sempre il desiderio di creare qualcosa che fosse suo, non riuscendoci poi per vari motivi. A 40 anni, ‘l'età del senso’ come la chiamo io, ho iniziato a riflettere su come avrei voluto proseguire il mio percorso, e mi sono lanciata nell’impresa"

Il fiuto per l’imprenditoria è una caratteristica di famiglia, il fratello di Lisi, Daniel, è uno dei tre soci di Re-bello, altro marchio eco-sostenibile altoatesino. “Mio fratello e io ci siamo resi portavoce del sogno di nostro padre che aveva da sempre il desiderio di creare qualcosa che fosse suo, non riuscendoci poi per vari motivi. A 40 anni, ‘l'età del senso’ come la chiamo io, ho iniziato a riflettere su come avrei voluto proseguire il mio percorso, e mi sono lanciata nell’impresa. Con Daniel ci scambiamo spesso delle idee, quella di Cora in effetti è nata una sera di Natale che eravamo insieme”. E poi è arrivato il coraggio di tentare. Insieme a un investor locale, un’altra socia svizzera e un piccolo business angel. Ma è più ”facile” avere questa audacia in una Provincia economicamente ricca e prolifica come l’Alto Adige? “No, affatto, l'Italia è piena di bellezze e di opportunità, ma spesso si tende ad assumere un atteggiamento vittimistico incolpando della propria immobilità sempre qualcun altro, se le persone invece prendessero più iniziativa potrebbero, già nel loro piccolo, cambiare molto le cose”.

 

Il concetto di sostenibilità nel tessile è ancora sostanzialmente inesistente in Italia ma Lisi non ha dubbi: “La situazione si evolverà, anche perché non possiamo andare avanti in questo modo, non facciamo che produrre immondizia. E ci lamentiamo di una catena che di fatto alimentiamo, pretendiamo un prezzo del prodotto basso, finanziando così, indirettamente, l’esternalizzazione delle produzioni in paesi dove il lavoro costa poco. Capisco che non tutti possano avere a disposizione budget alti, ma un passo in avanti sarebbe domandarsi: mi servono 10 magliette a stagione o me ne bastano 2? Esistono, insomma, le possibilità per essere sostenibili, e Cora è una di queste”. Lo è al punto che l’azienda è stata notata dalla QVC, il retailer multicanale dedicato allo shopping e all’intrattenimento, che ha lanciato il progetto QVC Next Lab, per aiutare concretamente le giovani imprese al femminile, offrendo alle start up più innovative un percorso di supporto e formazione. Cora è fra le 13 finaliste di questa edizione. “Abbiamo l’opportunità di confrontarci con grandi imprenditrici femminili, poi faremo un viaggio in Israele e le imprese che piaceranno di più alla Qvc andranno in tv, nel frattempo siamo stati contattati anche dalla Vogue bimbi”, racconta Lisi, entusiasta. “Il mondo delle start-up è come una montagna russa di emozioni, ma ne vale la pena, ogni giorno”.