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Archeologia & Carta & Musica

Un laboratorio e “Due o tre cose che so di archeologia e di musica…” - Nico Aldegani, archeologo sperimentale svela perché ha smesso e ricominciato a scavare.
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Foto: Foto: Privat

Il prossimo 15 dicembre presso la Biblioteca della donna a Bolzano si parla di Donne di carta: una conferenza (a cura di Anna Bernardo, medievista, e Marcello Beato, storico dell’arte medievale) illustra la figura femminile nel Medioevo in relazione alla carta, in primo luogo nella veste di donne impegnate nella produzione all’interno delle cartiere e in secondo luogo, invece, il ruolo della donna emancipata che di quella carta ha fatto uso per mettere per iscritto il proprio pensiero riuscendo a imporsi in un mondo ancora molto dominato dalla figura maschile. Accanto ci sarà, sempre di mattina, un laboratorio a cura di Nico Aldegani, archeologo sperimentale, dedicato a bambini e bambine incentrato sul “fare la carta”. Non si realizzeranno soltanto quelle superfici fini su cui poi eventualmente disegnare o scrivere, no, in tempi natalizi ai soliti materiali ingredienti si aggiungono anche spezie profumate e diversi colori per testare l’abilità e la creatività di ognuno. Le carte prodotte da ogni partecipante potranno poi essere ritirate dopo tre giorni, cioè dopo la necessaria seccatura all’aria.

Nico Aldegani è abile sperimentatore e con i ragazzi ama anche praticare l’altra sua passione, la musica, che nell’archeologia musicale si fonde del tutto. L’anno scorso, ad esempio, aveva fatto fare dei crepitacula a scuola: “sono dei sonagli fatti d’argilla, a forma di animale, vuoti all’interno e riempiti di pezzi di metallo. Una volta cotti nel forno, si possono azionare, shakerando, affinché emettano i loro suoni…”

salto.bz: Che ne dici di creare un festival sul tema “archeologia e musica”?
Nico Aldegani: Bellissima idea! Ci sono eventi simili, ma non toccano la nostra provincia stando all’interno di grandi convegni sull’archeologia. Ci sono archeologi musicali che sono per forza degli archeologi sperimentali perché gli strumenti se li devono fare loro non potendo suonare una tromba di duemila anni fa… Per cui ci sono parti dedicate all’archeologia musicale all’interno di questi convegni in cui vengono suonati strumenti antichi ricostruiti, appunto. Ora l’aspetto interessante è vedere un archeologo confrontarsi con la musica. Alcuni non sono musicisti, altri vengono dal mondo della musicologia o di quello musicale vero e proprio, per cui si tratta di un mondo davvero molto variegato. Negli anni passati ho partecipato a diversi convegni di archeologia musicale, dal primo che era Iconea al British Museum, nel 2008, a tanti altri anche in Italia. Lì si vedono musicisti che suonano insieme, con diversi strumenti, ovviamente non di diverse epoche perché ciò potrebbe sconvolgere non poco un archeologo… ma questo riguarda un altro discorso. Il problema è che ciò rimaneva e rimane confinato all’interno di quei convegni e non viene diffuso. O per meglio dire, si tratta del modus operandi dei convegni. E, purtroppo, il pubblico normale non si avvicina a un convegno sull’archeologia o lo fa soltanto raramente… Però la European Association of Archeologists, di cui sono membro, ha una parte dedicata all’archeologia musicale e quando fanno i loro Call for papers sono ben accettati tutti i topoi che ne fanno parte.

Si potrebbe pensare a un evento non propriamente concentrato sull’archeologia musicale quanto andare a creare un legame tra la musica e i workshop di archeologia sperimentale per invitare soprattutto i giovani ad avvicinarsi a questo tipo di esperienza pratica, una cosa che nel mondo di oggi, quasi tutto virtuale, viene spesso a mancare.
C’è qualcuno che ci ha già provato: a Trento era stata fondata la prima cattedra di Archeologia musicale in Italia, il mio professore Roberto Menini. Lui aveva organizzato una serie di concerti che toccava sia il tema di archeologia musicale che quello dell’antropologia: ad esempio, c’era stato un concerto di musica indiana tradizionale dove si usavano ancora i cimbala, strumenti che erano e sono presenti in tante culture e che ritroviamo anche nella Roma Antica. Erano aperti a tutti e si tenevano a Trento. Il povero professor Menini è scomparso qualche anno fa, molto giovane, e con la sua morte si era anche bloccata l’intera situazione nel Norditalia. Lui era un pioniere che spronava molto la questione. Era stato un mio mentore, e questo è il motivo per cui ho smesso di fare archeologia musicale, il tutto mi aveva un po’ sconvolto.

Tu fai l’archeologo sperimentale, se ora vogliamo parlare di archeologia classica, non ti è mai venuta voglia di andare in uno scavo e provare le brezza di trovare un oggetto perduto?
L’ho fatto in passato. La mia carriera di archeologo era iniziata sugli scavi, come tutti. Sono stato sia in scavi di archeologia classica, quindi di archeologia greco-romana, sono stato in Tunisia e Algeria, in scavi classici. La storia di Roma e delle sue province l’abbiamo scavata per bene. Sono stato anche su scavi pre e proto-storici. Quando avevo finito la Triennale, ero andato tutti i giorni sugli scavi, quelli normali che mediamente sono di emergenza: devi scavare il più in fretta possibile perché ci vogliono costruire sopra l’area individuata, i materiali, una volta trovati, non li rivedi più nella tua veste di semplice archeologo dipendente di una cooperativa, per esempio. Non li studi tu, a meno che non riesci a farti dare un incarico dalla sovrintendenza direttamente. Rendendomi conto di questo stato delle cose, a un certo punto mi ero detto: basta! Non scavo più!

Perché?
In Italia ci sono così tante cose da studiare, prima di andare a cercarne altre che poi vanno tutte a finire da qualche parte per essere dimenticate. Quindi preferisco studiare bene le cose già trovate e ricostruirle, in quanto la ricostruzione è una conoscenza fondamentale dei manufatti. Adesso però ho ricominciato a scavare, non sono riuscito a mantenermi a distanza…

Dove?
Questo è un segreto, ne parleremo appena trovo qualcosa!

Svelami un altro segreto, allora, che mi incuriosisce di questo mestiere: che cosa si prova nello scovare qualcosa di antico?
Credo sia una delle cose più belle al mondo! L’archeologia ha ancora una parte di avventura, poi va detto che sono stato in posti particolari a scavare. Non solo qui in Italia, quando eravamo in Algeria erano i tempi ancora prima della Primavera araba. Avevamo sempre una scorta vicino, per cui eravamo sugli scavi, con tutti questi uomini armati attorno, e a un certo punto non pensi più a ciò che potrebbe succedere perché sei concentratissimo su quello che stai facendo. Tutta l’attenzione va allo strato di terreno che stai asportando, in quanto lo devi conoscere a fondo. Poi, all’improvviso, ti salta fuori una ceramica bellissima o del metallo, se sei fortunato, o una sepoltura. Questa è un’emozione talmente forte che è difficile descriverla. Bisogna provarla!