Cultura | Salto Afternoon

'68 in Italia: cosa è stato, cosa resta?

Se volete sapere tutto del '68 leggete l'ultimo libro di Marco Boato. Dell'autore sono note la lingua sciolta e la memoria invidiabile.
68_1.jpg
Foto: Salto.bz

Boato detiene infatti il record dell'intervento più lungo nella storia del parlamento italiano (18 ore e 5 minuti) e ricorda senza omissioni le stragi, gli attentati e i morti che hanno preceduto, segnato e seguito quell'anno. Saperla raccontare e avere molte cose da dire: il risultato di queste due doti sono le oltre trecento pagine de “Il lungo '68 in Italia e nel mondo. Cosa è stato, cosa resta”, edizioni Els La Scuola, 2018. Un saggio pieno di informazioni, che espone con chiarezza i fatti, molto ragionevole e equilibrato nelle valutazioni. E questo, accanto alla completezza, è un altro suo pregio: riconoscere e nominare meriti e errori, senza cadere nella celebrazione o nella denigrazione. Trovo invece che questa ricostruzione sia debole per quanto riguarda il piano internazionale, ovvero il confronto tra il '68 italiano e ciò che avvenne intorno a quella data in altri paesi occidentali.

Il '68, avverte l'autore, inizia prima e finisce dopo quella data. La prima affermazione mi sembra del tutto vera, la seconda solo in parte.

In Italia, come in Germania e in Francia, il '68 è il culmine di sommovimenti iniziati anni prima; lo stesso si può dire di Gran Bretagna e Stati Uniti, anche se in questi due paesi quella data è meno “periodizzante” che in altri. Già negli anni Cinquanta e Sessanta si vedono i segni di una rivolta giovanile che mette in discussione non solo le scelte politiche dei governi, ma anche il costume, la cultura, l'ordinamento sociale nel suo complesso. Come argomenta Boato, il '68 è preceduto e preparato dalle manifestazioni dei primi anni Sessanta, dalle mobilitazione dei giovani in occasione dell'alluvione di Firenze, dalla “Lettera a una professoressa” di don Milani e dei suoi alunni e da molti altri eventi. Questo in Italia. Allargando lo sguardo al piano internazionale, non ci sarebbe stato un '68, né in Italia, né in altri paesi, senza la rivolta di Berkeley, e ancor meno senza il movimento hippie, la cultura underground, la straordinaria produzione musicale del mondo anglosassone, da Woody Guthrie ai Pink Floyd.

Se il '68 inizia prima, non è del tutto vero che termina molto dopo. Il '68 italiano sì. Il '68 italiano si concentrò quasi esclusivamente sulla dimensione politica e segnò l'inizio di una stagione di militanza che sarebbe durata una decina di anni. Boato la fa terminare con il convegno internazionale contro la repressione che si tenne a Bologna e che segnò la fine della “carica innovativa del movimento del '77.” Fino ad allora furono gli anni dei gruppi extraparlamentari, delle assemblee, delle manifestazioni e occupazioni, dei cortei, dei comitati di agitazione, dei documenti, dei volantini e degli slogan, dei picchetti, dei servizi d'ordine e di molto altro. Fu la mia generazione, quella dei fratelli minori dei sessantottini, a segnalare, a metà degli anni Settanta, che qualcosa non andava in tutto quel delirio; mi riferisco, per indicare due momenti simbolici, al raduno di parco Lambro nel '76 e appunto a Bologna '77.

La Germania ci andò vicino con il gruppo Baader-Meinhof; ma il grosso della Außerparlamentarische Opposition imboccò un'altra strada, che avrebbe portato alla nascita del movimento ecologista.

Nessun paese ha avuto la vocazione gruppettara, ideologica e settaria che il '68 ha lasciato in eredità all'Italia. Nessun paese ha sviluppato e coltivato un approccio così fazioso alla politica, le cui conseguenze più deleterie Boato stigmatizza, senza tuttavia sottolineare con la dovuta chiarezza questo aspetto del “suo” '68. La Germania ci andò vicino con il gruppo Baader-Meinhof; ma il grosso della Außerparlamentarische Opposition imboccò un'altra strada, che avrebbe portato alla nascita del movimento ecologista. Del resto, in Germania c'era un partito socialdemocratico serio, guidato da personalità del calibro di Willy Brandt e Helmuth Schnidt, che seppero dare una risposta non palingenetica, ma pragmatica alle richieste di rinnovamento che venivano dalla società. In Italia abbiamo la classe dirigente che sappiamo. Della Francia si ricorda il “maggio”, con le manifestazioni oceaniche di operai e studenti; un mese dopo il generale De Gaulle conquistò la maggioranza assoluta all'Assemblea nazionale: tanto possente quel movimento non doveva essere stato. In compenso si misero all'opera i nouveaux philosophes, ad argomentare che tanto la realtà non esiste e che la vera rivoluzione sta nella liberazione del desiderio. Bell'alibi per i furbi e i furbetti, ma decisamente poco come programma politico.

Il mondo anglosassone fu il più lontano dalla dimensione strettamente politica del '68. Negli Stati Uniti, come abbiamo visto, non ci fu; ci fu Woodstock, nel '69, data molto più importante per quel paese. In Inghilterra, se ci fu un '68, finì esattamente quell'anno con un documento celeberrimo, la canzone Revolution, scritta da John Lennon. Vale la pena citarne alcuni versi, perché il testo non dice affatto ciò che in quegli anni ci si poteva aspettare. You say you want a revolution – Well, you know, we all want to change the world; come dire: guarda che non è che sei l'unico a voler migliorare il mondo. You tell me it's the institution - Well, you know, you better free you mind instead; come dire: te la prendi con l'istituzione, ma faresti meglio a disintossicarti la mente. You say you got a real solution - Well, you know, we'd all love to see the plan. Insomma: facci vedere il tuo progetto, se ne hai uno. A questa richiesta il '68 non seppe rispondere. E noi da allora stiamo ancora aspettando.

 

Bild
Profile picture for user rheticus rheticus
rheticus rheticus Mar, 03/13/2018 - 19:01

“non ci sarebbe stato un '68, né in Italia, né in altri paesi, senza la rivolta di Berkeley, e ancor meno senza il movimento hippie, la cultura underground, la straordinaria produzione musicale del mondo anglosassone, da Woody Guthrie ai Pink Floyd”

A quei tempi non c’era la comunicazione globale che c’è oggi; non credo che la rivolta di Berkeley
abbia avuto un grande impatto, qui da noi. Neanche il movimento hippy era ancora conosciuto e tanto meno Woody Guthrie ed i Pink Floyd, che sono arrivati negli anni ‘70..

Il ‘68 ha posto fine ad un eccessivo autoritarismo ma ha aperto le porte ad un eccessivo permissivismo ( o forse “impunitivismo”).

Mar, 03/13/2018 - 19:01 Collegamento permanente