Ambiente | H2, Italia e Europa

Idrogeno fra PNRR e burocrazia italiana

Di idrogeno se parla ogni giorno ormai ma tanti (tutti?) i progetti, tanti del PNRR, rischiano di andare a gambe all’aria per le norme tecniche italiane.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Idrogeno e burocrazia italiana
Foto: Pixabay/PngEgg

Il recente corso tenutosi presso il centro H2 a Bolzano Sud, organizzato dall’ordine regionale dei giornalisti, ha avuto il pregio di fare il punto della situazione a distanza di otto anni e mezzo dall’inaugurazione. A riguardare questo servizio tv si capisce quanto i desideri di allora siano rimasti per larga parte tali.

Ci ha pensato l’Unione Europea con il Green Deal annunciato a fine del 2019 a tirare fuori dal cilindro l’idrogeno come soluzione per il futuro. Nel corso si è spiegato del basso grado di efficienza dell’idrogeno utilizzato nella mobilità rispetto ai veicoli puri a batteria nonché dei vari “colori” dell’idrogeno a seconda di come viene prodotto. Anche si è accennato all’idrogeno come possibilità di stoccare parte della produzione elettrica ma i problemi… ci torno più tardi. Si è parlato pure delle decisioni della Giunta Provinciale sui fondi del PNRR e altri fondi ministeriali destinati essenzialmente alla mobilità. Curioso che quando ho accennato alla somma totale di tali interventi (oltre 140 milioni, anche se non capisco tuttora se sono contributi al 100% della spesa o meno, leggasi anche qui), ho visto alcuni sguardi come se avessi rivelato un segreto ben custodito… in un atto pubblico.

Sul discorso stoccaggio attualmente pare non esserci nulla. Su mia domanda il progetto presso la centrale di Cardano la risposta è che, per motivi di distanze e di norme, un impianto produttivo con tecnologia PEM (qui una descrizione relativa ad un progetto europeo). Proprio un paio di giorni fa si è appreso che si parla di nuovo di produrre idrogeno utilizzando il calore prodotto dall'inceneritore bolzanino per rifornire i bus H2 di Sasa.

Norme italiane estremamente restrittive

Ecco il problema. Distanze, la parola chiave per capire come le attuali normative sulla sicurezza, materia che l’Unione Europea ha lasciato alle singole nazioni, rischiano di limitare pesantemente proprio le iniziative H2 in Italia. Problema che ho sollevato anche in occasione di una recente conferenza stampa in piazza Magnago e l’interlocutore ministeriale ha fatto un po’ di fatica ad ammettere questo problema affermando che si sarebbe arrivato ad una svolta in questo periodo. Eppure basterebbe adeguare il contesto normativo e regolamentare a quello che vige negli altri paesi europei invece… no. Un paragone? Nel “Libro bianco del metano per autotrazione”, presentato nel 2009, c’era un paragrafo dedicato alle distanze necessarie per realizzare un distributore di metano per autotrazione che evidenziava come queste in Italia fossero decisamente superiori rispetto, ad esempio, alla Germania. Ebbene, ad oggi, trascorsi qualcosa come tredici anni, le norme di allora dovrebbero essere ancora quelle vigenti. Perché? Tralasciando la volontà di lasciare le cose come stanno da parte di una parte di quel settore economico per mettere i bastoni fra le ruote a possibili concorrenti, si rimane sconcertati che, nonostante vigano in Europa norme meno restrittive e non risultando problematiche di sicurezza di alcun tipo, nulla da fare: le norme rimangono immutate e immutabili nel rigido conservatorismo dei labirinti ministeriali romani.

Una partenza che rischia di trovare tanti, troppi ostacoli

Anche nella mobilità H2 si parte azzoppati e non poco. È stato fatto cenno, come esempio lampante, alla stazione di rifornimento di idrogeno a Innsbruck. Compatta, con self service (vietato in Italia...), come nel resto d’Europa. Un altro pianeta rispetto al retrogrado assetto regolamentare italiano. Si è parlato, con evidente diplomazia, di un quadro “conservatore”. In realtà, come avviene tuttora per la distribuzione del metano/biometano per auto (mai cambiante negli ultimi quindici anni, a parte il self-service introdotto all’italiana all’insegna di un rigoroso iter degno dell’Ufficio Complicazioni Affari Semplici), le norme sono palesemente inadeguate, per certi versi obsolete, e che rischiano di ostacolare non poco le tante iniziative finanziate con fondi europei e ministeriali sulla mobilità H2.

Norme "conservative": costi molto alti e limiti alla realizzazione dei progetti

Al corso, infatti, illustrando in un breve tour il centro H2, diverse volte si è parlato delle rilevanti complicazioni quando è stata realizzata la struttura, che poi del tutto esente da “sviste” progettuali parrebbe non essere (ad esempio, lo stoccaggio al coperto dell’idrogeno quando questi impianti solitamente stanno all’aperto quindi uno dei tre edifici sarebbe, concretamente, inutile). Complicazioni che comportano sia nella realizzazione e poi nelle spese di manutenzione oneri tali che potrebbero far diventare troppo costoso e quindi antieconomico a livello italiano qualsiasi investimento nella mobilità H2 in Italia ma, probabilmente, pure negli stoccaggi.

Come al solito, quindi, il rischio che molto non venga realizzato, o realizzato in fretta e furia, poiché “il diavolo sta nel dettaglio (normativo)” e che abbia pure una rilevanza ridotta rispetto alle aspettative iniziali, è notevole. Avendo partecipato nel passato ad un tavolo tecnico romano, le resistenze della “burocrazia romana” le ho constatate tutte. Come dire: quando la burocrazia vive di vita propria in una bolla ipergarantista. Non dimentichiamoci comunque che una responsabilità risiede pure a Bruxelles. In tutti questi anni non aver cercato delle norme univoche e applicabili in tutti paesi membri, infatti, porta a questa babele regolamentare che, oggi ma ormai da parecchio tempo, non ha davvero alcun senso.