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Esperienza weimariana

"Hegel e il pensiero nazionale dello Stato di potenza in Germania" Traduzione di Antonio Merlino. Un Contributo alla storia dello spirito pubblico.* Di Carlo Amirante
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Foto: Salto.bz

Un secolo dopo la sua pubblicazione in Germania è edito in traduzione italiana a firma di Antonio Merlino il primo libro del giurista tedesco Hermann Heller
Nel 1921 Heller dava alle stampe il suo su «Hegel e il pensiero nazionale dello Stato di potenza». L’opera conteneva le prime riflessioni di uno tra i più lucidi interpreti dell’epoca di Weimar (1919-1933). Tra le sue pagine si trova una veemente critica dello Stato come potenza espansionistica, ma anche e soprattutto il senso di una radicale insoddisfazione per la scienza politica e giuridica del Novecento, con le sue aspirazioni a subordinare il diritto alla potenza dello Stato che si andava profilando nei convulsi anni di Weimar.


Il libro di Hermann Heller apre così una fondamentale prospettiva sull’esperienza weimariana, idonea ad arricchire il panorama culturale tanto dello storico e del filosofo quanto del giurista. I gravi problemi affrontati da Heller sono infatti radicati in un passato che ci è vicino e che è vivo nel presente.
Il primo merito di Antonio Merlino è di proporre al lettore italiano l’opera prima di Hermann Heller che a sua volta ebbe il merito di affrontare, in un saggio coraggioso e privo di timore reverenziale, l’opera di Hegel dedicata allo Stato di potenza.
La scelta di Heller di dare alle stampe questa monografia in una fase particolarmente calda della storia tedesca ed europea, quel maggio del 1919 «tra le rovine della Germania bismarckiana e la nascita del nuovo ordine repubblicano» nato con la Costituzione di Weimar è una prima prova di quella intelligenza culturale e politica che caratterizzerà tutta la sua produzione scientifica e il suo impegno in difesa di un’autentica democrazia dai forti contenuti sociali.

Iscritto al partito socialdemocratico e, come ricorda Merlino, condannato a morte dagli organizzatori del Putsch di Kapp del 1920 per essersi schierato con Radbruch a difesa delle istituzioni repubblicane, Heller si rese conto del grave rischio per le democrazie europee che le ideologie e i movimenti populisti e reazionari implicavano.

Hermann Heller è un costituzionalista e, per non fargli torto, un teorico delle istituzioni e della politica, che - al contrario di non pochi fra i suoi colleghi - decise di prendere parte attiva a fianco dei lavoratori e dei sostenitori di un ordine democratico. Iscritto al partito socialdemocratico e, come ricorda Merlino, condannato a morte dagli organizzatori del Putsch di Kapp del 1920 per essersi schierato con Radbruch a difesa delle istituzioni repubblicane, Heller si rese conto del grave rischio per le democrazie europee che le ideologie e i movimenti populisti e reazionari implicavano. Ma forse il merito maggiore di Merlino è quello di indurre il lettore italiano a condividere l’illuminante interpretazione filologica e persino terminologica della concezione hegeliana dello Stato, proposta dalla rigorosa ricostruzione di Hermann Heller, cogliendo quella continuità tra le opere giovanili di Hegel sulla religione e il costituzionalismo dei suoi tempi e le sue tesi sostenute nell’opera dell’estrema maturità, la Philosophie des Rechts.


La convinta – ma non per questo convincente per noi – insistenza di Hegel sull’assoluta autonomia dello Stato di potenza anche rispetto al suo ordinamento giuridico, fa giustizia di tutte quelle interpretazioni buoniste (non solo tedesche) del pensiero politico e giuridico di Hegel.

Heller coglie nel modo più coerente l’idea e direi l’ideale di Stato di Hegel, che è l’unica compatibile nella sua radicalità e assolutezza con l’assenza di ogni vincolo internazionale dello Stato hegeliano. 

Sostiene Merlino nell’introduzione al libro che la coraggiosa rilettura critica del giovane Heller, in controtendenza con le interpretazioni più edulcorate della teoria hegeliana del diritto e dello Stato tuttora influenti sul dibattito filosofico e politico si traduce nel disvelare le tragiche conseguenze per la storia – non solo tedesca – del Novecento: cioè il «traghettamento delle idee fondamentali della tradizione romantica e idealistica» prima nell’ideologia (e aggiungerei nella prassi) dello Stato transpersonalista, espansionista e guerresco di Bismarck, poi in quella giuspubblicistica e in quelle ideologie che contribuirono a segnare il destino della Repubblica di Weimar, culminando nel dramma della seconda guerra mondiale.
Nel solco del ragionamento di Heller, Merlino pone nella giusta luce la corruzione dell’idealismo tedesco, di quella Kulturnation fondata sul principio personalista ed incentrata sul diritto soggettivo, che perde con Hegel la sua radice sociale e garantista in favore di quella concezione transpersonalista alla base dell’assoluto primato dello Stato di potenza sull’individuo.
Affermando che per Hegel «lo Stato è quindi potenza e nient’altro che potenza» e che «in primo luogo esso è “potenza bellica”, poi, a seguire, “potenza delle finanze” giacché le finanze sono diventate oggi un “elemento essenziale della potenza”», Heller coglie nel modo più coerente l’idea e direi l’ideale di Stato di Hegel, che è l’unica compatibile nella sua radicalità e assolutezza con l’assenza di ogni vincolo internazionale dello Stato hegeliano. 
Purtroppo l’influenza della teoria hegeliana dello Stato di potenza - per cui la guerra è lo strumento fondamentale di una politica internazionale che ha la funzione di pacificare ogni tipo di conflitto minante la compattezza e l’unità interna dello Stato – non si esaurisce nella fase storica analizzata da Heller in questa sua opera prima e con chiaroveggenza e lungimiranza in Europa e il fascismo.
Mi auguro che questo libro possa essere un utile contributo alla critica di quella forma di cinico realismo antico ma sempre attuale che fa delle guerre e della produzione di armi sempre più sofisticate e letali la base irrinunciabile di Stati la cui crisi di identità di fronte alla finanza internazionale e ai mercati globali si traduce in povertà, disoccupazione e diffuso disagio sociale in una fase storica in cui la solidarietà e la cooperazione fra popoli e Paesi sono indispensabili per combattere la pandemia e risanare il pianeta.

Carlo Amirante, già Professore ordinario di Dottrina dello Stato, Diritto costituzionale e comparato nell’Università Federico II di Napoli