Cultura | LETTERE E FILOSOFIA

Fantasy, una cosa seria

Il convegno internazionale su Tolkien all’università di Trento. L’autore nei classici con Joyce, Pound, Breton, Yeats e Lovecraft. “È letteratura, l'Italia in ritardo”.
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Foto: The Fellowship of the Ring (by The Brothers Hildebrandt)

J. R. R. (John Ronald Reuel) Tolkien e James Joyce. Il linguista, filologo britannico e il poeta e drammaturgo irlandese. L’autore del Signore degli Anelli accostato alla mente dell’Ulisse e di Finnegans Wake, che disse che con il suo libro più sperimentale avrebbe occupato i critici per trecento anni. Entrambi però con degli importanti punti di contatto, come spiega Roberto Arduini, presidente dell’Associazione italiana di studi tolkieniani, in uno degli interventi del convegno internazionale su “Tolkien e la letteratura della quarta era”, Ottocento e Novecento.

L’appuntamento è promosso dal Dipartimento di Lettere e Filosofia di Trento, in collaborazione con l’Aist, per mettere in evidenza come la figura di Tolkien – confinata per anni, almeno in Italia, agli studi sul fantasy – si pone invece all’incrocio di numerosi e complessi percorsi letterari, in un dialogo che chiama in causa generi diversi rispetto a fantasy e fantascienza e anche le correnti di simbolismo, surrealismo, modernismo e postmodernismo. Al centro del seminario – da giovedì a venerdì – il rapporto tra lo scrittore e figure letterarie quali Ezra Pound, André Breton, James Joyce, W.B. Yeats, William Morris e H.P. Lovecraft. Tra i partecipanti sono venuti a Trento esperti del calibro di Tom Shippey, già professore a Oxford e Leeds, considerato il maggior studioso di Tolkien vivente, e Allan Turner e Thomas Honegger, docenti a Jena.

Tolkien e Joyce, quindi. “Pochi autori – nota Arduini, nell’auditorium di Lettere che non è pienissimo (forse gli studenti preferiscono Game of Thrones?) – sono così lontani nell’immaginario collettivo. Anche se entrambi hanno segnato il Novecento con solo tre opere, tra cui un romanzo che li ha impegnati per 17 anni e un’opera mondo con cui intendevano descrivere un universo intero. Sono comunque lontani per stile, argomenti, valori, ambizioni”.

Tolkien e Joyce hanno scritto entrambi un romanzo che li ha impegnati per 17 anni, un'opera mondo in cui descrivono un universo intero

L’uno appartenente agli Inklings, gruppo di discussione letteraria radicato all’università di Oxford, dove insegnava lingua e letteratura anglosassone. L’altro esponente di spicco del modernismo. Assumono però una similarità secondo Arduini che sta nell’approccio verso l’indescrivibile, “nel voler dire a parole l’indicibile”. “Tolkien sembra implicare che la stessa natura del linguaggio contenga essenzialmente un potere già esistente. Riuscendo nell’intento di indurre nei lettori emozioni negative o positive da parole che non possono comprendere, si è avvalso di una tecnica che è sostanzialmente modernista”.

Esprimere a parole l'indicibile, è questa la loro ricerca. Ma per tutti e due l'unica vera soluzione è il silenzio

L’autore de Lo Hobbit, della trilogia e del Silmarillion, pietre miliari che hanno poi ispirato un genere nuovo, il fantasy, “ha la preoccupazione molto modernista per l’instabilità del linguaggio, le sue forme e limitazioni”. Joyce, d’altro canto, è l’autore assieme a Virginia Woolf del flusso di coscienza, del linguaggio spezzato a tal punto da rendere il testo una trasposizione del pensiero. “In Finnegans Wake – prosegue Arduini – il linguaggio si frammenta, la babele di voci non è altro che un unico elemento, l’io narrante. Per i due autori quindi l’unica vera soluzione è il silenzio. Ecco perché il Silmarillion è rimasto incompleto e indescrivibile”.

Lui ed Ezra Pound si muovono come filologi, ma pensano come poeti. Hanno in comune il culto della parola, che è allo stesso tempo unità noetica e nucleo magico

È la volta di Tolkien con Ezra Pound, l’autore “maledetto” dei Cantos. “Tutti e due si muovono come filologi,  ma pensano come poeti” afferma Roberta Capelli, docente associata del dipartimento di Lettere. “Hanno il culto della parola, che è allo stesso tempo unità noetica (la noetica è la conoscenza intuitiva, ndr) e nucleo magico. E hanno sviluppato un’estetica su base linguistica. Ci arrivano in modi diversi: Tolkien per eccesso, Pound invece scarnifica, non è oscuro o esoterico, è solo difficile perché toglie i connettivi. Cantos e Signore degli Anelli si chiudono ma rimangono aperti. Sul fallimento, per Pound, novello Odisseo che non farà ritorno a casa, su una pace momentanea per Tolkien, una promessa di felicità rimandata”.

Stefano Giorgianni, moderatore del convegno e socio fondatore dell’Aist, difende il rilievo dato dall’accademia italiana all’autore britannico. “È giusto studiarlo all’università. All’estero lo si fa da 25 anni, in Italia si sta colmando il ritardo. Qui sono venuti studiosi come Shippey che ha dedicato la vita a Tolkien. I suoi libri sono letteratura a tutti gli effetti, il progetto riguarda proprio il collegamento con gli autori definiti classici, di cui fa parte. È di per sé un classico, il Signore degli Anelli è stato definito il libro del Novecento”. Resta il rapporto con il fantasy. “Non ci sono ancora studi universitari sul genere, se non per la letteratura d’infanzia. Le opere di Tolkien sono state incluse a posteriori nel fantasy che è nato da lui e che ha incluso centinaia e centinaia di autori”. Compreso George R. R. Martin.