Società | integrazione europea

UE. Nuove generazioni, nuove soluzioni

EU-Balkan Youth Forum: i giovani dei paesi membri dell'Unione Europea incontrano i giovani dei Balcani Occidentali. Insieme, pensano all'Europa - integrata - del futuro.
I partecipanti dell'EU-Balkan Youth Forum
Foto: EU-Balkan Youth Forum

“Cos’è l’Europa?” - hanno provato a rispondere a questo quesito, nel novembre scorso, i giovani provenienti da tutta Europa riuniti in un’iniziativa del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano. Coordinatore del progetto, in prima fila, Nicola Minasi, ex Ambasciatore d’Italia a Sarajevo; partner, invece: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, CeSPI, RYCO, RCC e CCI.

Tra le oltre mille candidature sono stati 78 gli studenti da tutta Europa selezionati per partecipare all’EU-Balkan Youth Forum di Roma. Un’opportunità per discutere di un’Unione non più a 27, ma a 33 stati – comprendendo i sei dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Kosovo e Serbia). Un tentativo – riuscito – di radunare i giovani e coinvolgerli nella discussione di questioni comuni, mobilitando fresche e innovative menti dal basso, in grado di sviluppare una rete transnazionale di idee, competenze e iniziative volte all’integrazione europea dei paesi balcanici. Quattro i giorni di lavoro – dal 22 al 26 novembre, arricchiti da panel tematici e interventi – cinque i gruppi di discussione: cooperazione governativa e democrazia dal basso, identità e riconciliazione, tematiche ambientali, integrazione economica, spazio digitale. Punti cardine per un’integrazione europea sostanziale, su cui i giovani si sono confrontati tra di loro – con l’appoggio di dieci mentori – e con le istituzioni. A presentare il risultato dei lavori, racchiuso in un sintetico e accurato documento contenente raccomandazioni concrete per l’Europa del futuro, un portavoce per ciascun gruppo. Nei cinque minuti a disposizione per l’esposizione, i giovani si sono ritrovati faccia a faccia con le istituzioni, rivolgendosi direttamente – e convintamente - ai decisori politici; la conferenza conclusiva si è tenuta infatti alla presenza del Ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, e della vicepresidente della Commissione Europea, Dubravka Šuica, che si sono rivelati, insieme agli altri rappresentanti istituzionali, uditori attenti. Rafforzare le sinergie tra i giovani e le organizzazioni della società civile in un’ottica di scambio e crescita; implementare il processo di decarbonizzazione nei Balcani; creare organizzazioni e reti affidabili di fact-checking per assicurare una buona informazione online – sono solo alcune delle proposte elaborate nel corso della settimana dagli studenti, che saranno inserite sulla piattaforma UE della Conferenza sul futuro dell’Europa e che fungeranno da linee guida per le progettazioni future nell’ambito delle rispettive aree di interesse.

Emerge, dal Forum, una nuova generazione europea (a 33!) brillante, preparata e attenta, capace di analizzare contesti, rilevare le problematicità e offrire, congiuntamente, soluzioni concrete. L’Unione Europea ne sarà all’altezza?

 

Tra i mentori dell’EU-Balkan Youth Forum anche Andrea Rizza Goldstein, responsabile dei progetti sull’area Balcanica e di Ultima Fermata Srebrenica per Arci Bolzano. Insieme a Ivana Antonijević, referente del progetto RYCO – Regional Youth Cooperation Office, un organismo istituzionale fondato nel 2016 che opera nei Balcani Occidentali con lo scopo di promuovere lo spirito di riconciliazione e cooperazione fra i giovani della regione, attraverso programmi di scambio – si è occupato del secondo gruppo di lavoro sul tema identità e riconciliazione (United in diversity, beyond past wars).

“I profili dei ragazzi, 18 nel nostro gruppo, erano altissimi – ammette Rizza Goldstein – e nel corso del lavoro è emersa la loro competenza, qualità di ragionamento e sensibilità rispetto ai temi.” La situazione, di per sé, era interessante: gruppi eterogenei univano ragazzi con carriere diverse, che hanno approcciato l’argomento dell’identità e della riconciliazione in modi differenti, anche a seconda della provenienza - “c’era chi era dentro il tema, come ad esempio i ragazzi serbi, bosniaci o kosovari e chi, invece, lo ha analizzato quasi in modo teorico, con l’approccio della ricerca e dell’analisi.” Mentre il punto di partenza per quanto riguarda i partecipanti era più che promettente, iniziare il lavoro a partire da un breve statement in grado di riassumere l’attuale situazione in merito al tema della riconciliazione nei paesi dell’ex-Jugoslavia è compito assai arduo.

“Se da una parte esistono indicatori scientifici in grado di misurare, ad esempio, lo stato di inquinamento dell’aria o delle acque, o il tasso di deforestazione – spiega Rizza Goldstein – e se lo sviluppo economico è misurabile con parametri numerici, o sul tema della stampa sono disponibili dei dati, per quanto riguarda il processo di riconciliazione non esistono dei parametri di valutazione. La questione è estremamente parcellizzata nei Balcani, anche all’interno di uno stesso stato.

Per questo motivo, i ragionamenti all’interno del gruppo sono stati condotti con  l’obbiettivo di verificare – a trent’anni dall’inizio delle guerre jugoslave – quali sono gli ostacoli al (mancato) processo di riconciliazione che i diretti interessati vivono concretamente nella propria quotidianità, per trovare delle soluzioni sostenibili per le comunità interessate e per tutte le parti coinvolte, vale a dire vittime e responsabili – nel quadro di una regione in cui si respira ancora, a tutti i livelli, l’odore acre della distruzione lasciato dalla guerra.

Come è vero che non esiste una scienza precisa in grado di misurare lo stato di avanzamento di un processo di riconciliazione, altrettanto vero è che si tratta di processi difficilmente esportabili da un contesto all’altro. “Benché il processo di riappacificazione francotedesca, in cui l’Unione Europea trova un suo fondamento, sia stato portato a termine in maniera favolosa e con dei risultati desiderabili, ogni comunità deve trovare un suo sistema di fare i conti con il passato – e fare i conti con il passato è uno dei complicatissimi segmenti del processo di riconciliazione, dai tempi variabili a seconda della particolarità della situazione” commenta Rizza Goldstein.

Insomma, mentre la questione francotedesca può considerarsi un cold case, in quanto a riappacificazione, la situazione nei Balcani è incandescente.

Effettivamente – soprattutto in alcune zone – a 30 anni dall’inizio del conflitto, lo scenario è ancora parecchio intricato e anche solo individuare dei presupposti sui quali avviare un processo di riconciliazione pare essere cosa lontana. Diverse sono le questioni non risolte che ostacolano l’operazione, come ad esempio la percezione di verità e giustizia, la war legacy – che non riguarda solo il peso della tragedia e le sue conseguenze dirette, ma anche tutti coloro che hanno avuto parte attiva e responsabilità militari, politiche, sociali e morali durante la guerra e che sono, ancora, al potere (eccetto i grandi criminali di guerra, condannati dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia) – e, soprattutto, il non avere una base fattuale comune sulla quale costruire una narrazione.

“Secondo me il processo di riconciliazione è il segmento finale di un procedimento basato su delle travi importanti – spiega Rizza Goldstein – che a loro volta rappresentano dei processi molto complessi. Ovvero: verità e giustizia, che vanno più o meno di pari passo, ma sono due cose diverse; dialogo, che è un processo altrettanto complicato, perché abbraccia il dialogo uno a uno, tra vicini di casa, così come il dialogo di micro-comunità e quello infragruppo, il quale permette di ragionare sulla narrativa e di costruirla, o modificarla, fino ad arrivare al dialogo tra gruppi sociali diversi, e a quello tra gli stati coinvolti. A questo punto – prosegue – si può iniziare a ragionare sul processo di confronto con il passato. Dopo che sono state piantate delle travi solide e sane rispetto ai processi che rappresentano i segmenti precedenti, inizia il processo di riconciliazione.”

Emblematico, per la sua complessità, è il caso bosniaco. La Bosnia-Erzegovina è amministrata, in seguito agli accordi di pace di Dayton, siglati nel novembre del 1995 – che hanno placato il conflitto, ma non contribuito ad instaurare un processo di convivenza – in due entità principali: la Republika Srpska e la Federazione della Bosnia-Erzegovina, oltre al distretto autonomo di Brčko. Con ampie autonomie e un sistema presidenziale di stampo collegiale – per cui ciascuno dei tre presidenti (uno per ogni popolo costituente; serbo, croato e bosgnacco) governa per otto mesi, in modo alternato – lo Stato, così diviso, offre a ciascuna comunità non solo una narrazione mono-nazionale, sostenuta dalla classe politica di riferimento e dal sistema educativo, ma anche, con il sistema dei veti incrociati (prerogativa di ciascun presidente) il rischio di uno stallo politico. E’ proprio ciò di cui si parla nell’ultimo periodo, date le spinte di Dodik – l’attuale presidente serbo-bosniaco – che sta alzando il livello dello scontro, minacciando addirittura la ricostituzione di un esercito serbo.

È evidente, dunque, la necessità di una classe politica di spirito democratico, in grado di sostenere i primi passi di una società civile nella direzione dell’avvio di un processo di riconciliazione, così come è necessaria, all’inverso, una società civile capace di votare una classe politica di ampio respiro, pronta a camminare nella stessa direzione. Tuttavia, al momento, i presupposti per l’una o per l’altra cosa sono pochi; sia perché il potere è ancora nelle mani di chi ha avuto un ruolo o degli interessi durante il conflitto, sia perché ormai un’intera generazione si è formata nel clima delle narrazioni mono-nazionali.

 

Le raccomandazioni conclusive degli studenti seduti al tavolo United in diversity, beyond past wars del EU-Balkan Youth Forum prevedono proprio un coinvolgimento reale del livello politico nei processi di riconciliazione; la richiesta, forte e chiara, è quella di una classe governativa partecipe e sostenitrice di progettualità e tentativi di dialogo. Segue poi l’urgenza di un riconoscimento delle nuove generazioni – su cui ricade il peso di un conflitto a cui non hanno preso parte – come organismo sociopolitico da consultare e includere, di fatto, nelle decisioni da prendere riguardo al loro futuro. Sarà possibile, così, rompere il malsano e paradossale paradigma per cui i giovani portano il peso di un passato nel quale non hanno avuto ruolo, ma non sono chiamati in causa quando si tratta di discutere il futuro, di cui invece sono protagonisti. Importante anche l’ambito educativo, all’interno del quale le narrazioni storiche mono-nazionali attualmente adottate ostacolano un’opportunità di dialogo. I programmi educativi andrebbero rivisitati sulla base di un lavoro accademico – congiunto tra paesi membri dell’UE e paesi balcanici – e quindi sostenuto da commissioni intergovernative e indipendenti che ne garantiscano le aspirazioni nell’ambito della riconciliazione. Con lo stesso spirito di unione e dialogo andrebbero poi favorite le opportunità di scambio di conoscenze ed esperienze tra i giovani europei, per incoraggiare la costruzione di legami basati sulla fiducia e l’apprendimento reciproco. Il primo passo che i giovani dei Balcani Occidentali desiderano sostenere è però quello della costruzione di un contesto nel quale essere liberi di chiedere scusa dei crimini di guerra commessi e dispiacersi per quanto subìto, senza sentirsi traditori o colpevoli. In poche parole, è tanta la voglia di creare delle occasioni di dialogo, perché nel momento in cui si ascolta la storia “degli altri” non si può negare che questa esista.

A partire dall’esposizione finale dei risultati, per cui sono stati scelti appositamente due portavoce – una ragazza bosniaca e un ragazzo serbo – i giovani del gruppo identità e riconciliazione auspicano, con tono deciso, la possibilità di iniziare a lavorare anche su una narrativa futura, questa volta possibilmente comune.

Che siano stati proprio loro a riempire di significato il motto europeo, in varietate concordia?

 

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Karl Trojer Gio, 12/16/2021 - 10:53

Congratulazioni !!! L´Europa va compresa come progetto di pace. Il rispetto reciproco ne è la condizione, e l´apprezzamento delle diversità ne è la forza, l´energia. Saranno ancora i giovani a dare alla nostra vecchia Europa una sostanziale, nuova spinta verso una vera comunità dei valori umani. Che ciò divenga realtà entro i prossimi cinque anni....

Gio, 12/16/2021 - 10:53 Collegamento permanente