Politica | Second hand

Stallo all’italiana

L’incertezza politica in cui annaspa in questo momento l’Italia non è un fatto inedito. È successo anche ad altri paesi europei, ma come ne sono usciti?
Parlamento
Foto: upi

Trovare i numeri per la maggioranza che consentano di governare appare in questi giorni incerti un esercizio a metà fra la missione per conto di Dio dei Blues Brothers e l'inevitabile presa di coscienza della plausibilità di elezioni anticipate con legge elettorale rivista. Lo stallo in cui si trova il Paese, tuttavia, non è uno scenario inedito (e non lo è nemmeno per gli altri Stati europei). Ma cosa accade, di solito, in queste situazioni, e come se la sono cavata i paesi che ci si sono trovati?”, a chiederselo è Il Post che illustra diversi “campioni” degni di nota.

Il Belgio ad esempio è il caso più eclatante: sono stati infatti 540 i giorni consecutivi senza un governo in carica con pieni poteri, fra il 2010 e il 2011. Tutto a causa dell’inaspettata vittoria del partito separatista fiammingo della N-VA che batté i socialisti guidati da Elio Di Rupo, e sottrasse loro i voti necessari a formare una maggioranza. 

Altro caso riportato è di nuovo quello italiano, stavolta relativo alle elezioni politiche del 2013, quando il Pd, che non ottenne risultati da capogiro (molti voti furono catalizzati dal Movimento 5 stelle), si trovò ad avere una larga maggioranza alla Camera - grazie al premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale vigente, ovvero il Procellum -, ma non al Senato. I problemi allora furono due: innanzitutto la difficoltà di creare una Große Koalition con il centrodestra (a mettersi di traverso fu l’allora segretario dem Pier Luigi Bersani) e inoltre il fatto che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, si trovasse nel “semestre bianco”, il periodo di sei mesi prima della scadenza del suo mandato, cosa che non gli permise di sciogliere le Camere. Non si poteva quindi andare a nuove elezioni se prima non si fosse raggiunta una quadra sul nome del nuovo presidente della Repubblica. Finì - ma sbrogliare la matassa non fu cosa da poco - con le dimissioni di Bersani da segretario del Pd, la rielezione di Napolitano, ed Enrico Letta come primo ministro designato.

A trovarsi in un’impasse fu anche la Spagna (secondo posto come crisi di governo più lunga, soffiato all’Iraq). Alle elezioni del 2015 il Partito Popolare del presidente Mariano Rajoy fu inquinato da numerosi scandali di corruzione che gli costarono la maggioranza parlamentare. Contemporaneamente erano cresciuti Podemos, un nuovo partito di sinistra che agguantò il 20 per cento dei voti, e Ciudadanos, partito europeista, liberale e contrario all’indipendenza della Catalogna che prese il 13%. Nell’impossibilità di accordarsi (venne rifiutata anche l’opzione larghe intese) nel giugno del 2016 il Paese tornò al voto, ma per la seconda volta non ci furono i numeri per la maggioranza. Rajoy propose allora nuovamente la carta della grande coalizione, ma per il voto di fiducia che fece uscire la Spagna dalla crisi dovette aspettare altri 4 mesi.

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