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Gli stranieri, la propaganda e la realtà

Il rapporto Eurac: sempre più migranti in Alto Adige. Gli africani sono solo il 14% del totale. Sulla bilancia: dati, percezioni distorte e imprenditori della paura.
Migranti
Foto: upi

Chi sono i migranti in Alto Adige? Come funziona il loro inserimento a scuola, nel mondo del lavoro e sulla scena politica? Queste sono alcune delle domande a cui un manipolo di studiosi - 30 in tutto - di sociologia, geografia, diritto, storia, biologia, antropologia, scienze politiche e linguistica di Eurac Research ha voluto rispondere visto il progressivo radicamento sul territorio dei cittadini con residenza straniera (la popolazione con background migratorio è quasi triplicata negli ultimi vent’anni, da 16.000 presenze nel 2002 a oltre 50.000 nel 2017). Un trend, dicono gli esperti, che non si fermerà, nemmeno di fronte alla pandemia. Il risultato dell’analisi è contenuto nel “Rapporto sulle migrazioni Alto Adige 2020”, primo report interdisciplinare sul tema a cura dell’istituto di viale Druso a Bolzano.

Per quanto in una certa percezione comune alcune categorie possano suscitare più diffidenza, la realtà è spesso diversa da come ce la immaginiamo o ce la vogliono far immaginare gli imprenditori della paura (Roberta Medda-Windischer, Eurac)

Provincia multiforme

 

Fra le 100 pagine di testimonianze, infografiche e immagini, spunta ad esempio la storia di Hanaa, irachena d’origine e da quasi trent’anni in Italia, dal 2015 consigliera comunale a Vipiteno e consigliera nella Comunità comprensoriale Wipptal nelle fila della Lega Nord; c’è poi Gertrud, che si è trasferita da Curon Venosta a Kirchdorf in Austria nel 1952, quando la diga ha sommerso la sua casa; e c’è Irina, collaboratrice del Centro russo Borodina di Merano. Un affresco che dimostra quanto sia variegato il fenomeno migratorio nella provincia di Bolzano. “I media e tanti politici ci restituiscono spesso un’immagine fuorviante: si focalizzano sui migranti che provengono da paesi a basso reddito e culturalmente più lontani”, evidenzia la giurista Roberta Medda-Windischer, co-curatrice del rapporto. “Ma per quanto in una certa percezione comune alcune categorie possano suscitare più diffidenza, la realtà è spesso diversa da come ce la immaginiamo o ce la vogliono far immaginare gli imprenditori della paura. Se ampliamo la prospettiva, dati e ricerche scientifiche ci mostrano un quadro più articolato”.

 

Convinzioni da scardinare

 

Dal report emerge che al primo posto, fra la popolazione straniera residente in Alto Adige, ci sono gli albanesi seguiti dai tedeschi e i pakistani; i cittadini provenienti dai vari stati africani sono in coda. La loro somma rappresenta infatti il 14 per cento del totale degli immigrati, cioè solo un quarto degli immigrati europei, spiegano i ricercatori. Diversamente dalla percezione comune la religione prevalente è quella cristiana e nelle scuole il 50 per cento degli alunni definiti “stranieri” per il loro passaporto è in effetti nato e cresciuto in Italia. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il rapporto analizza da una parte la manodopera che arriva da altri paesi e anche da altre regioni italiane; nel 2017 Bolzano è stata la terza provincia italiana più attrattiva dopo Bologna e Monza Brianza, con una domanda molto alta e una disoccupazione complessiva sotto al tre per cento. Dall’altra parte, il report racconta di chi, spesso con un titolo di studio accademico in tasca, dall’Alto Adige emigra, circa 1500 persone solo nel 2017.

 

Equilibrio necessario

 

Gli studiosi sostengono che i flussi migratori portano con sé un’ambiguità di fondo, anche in Alto Adige: sono inevitabili, e in alcuni casi indispensabili per ragioni economiche, ma aumentano anche il rischio di tensioni sociali se manca una gestione attenta e coraggiosa. “Qui il legame con il territorio rimane molto saldo, ma allo stesso tempo non è possibile né desiderabile sottrarsi alle dinamiche migratorie globali”, specifica il sociologo Andrea Membretti, co-curatore dell'indagine. “Anzi, è proprio qui, dove è stato raggiunto a fatica un equilibrio di convivenza tra diversi gruppi linguistici, che il tema lancia nuove sfide, a partire dal ruolo che le nuove comunità potranno avere – insieme a quelle storicamente presenti – nello sviluppo di questa provincia”. Un tema per esempio è quello dei migranti che sempre più spesso abitano le aree interne: il numero di chi si è trasferito nei centri minori è cresciuto del 30 per cento tra il 2000 e il 2018, contro un aumento del 23 per cento degli spostamenti verso le città. Un altro aspetto su cui giuristi e politologi si sono soffermati è come il meccanismo proporzionale previsto dallo statuto di autonomia stia reagendo alle trasformazioni e come la politica locale, invece di essere diffidente, potrebbe far leva proprio sui nuovi abitanti per rafforzare l’autonomia territoriale, come accade in regioni analoghe alla nostra come Catalogna o Scozia.


 

“Abbiamo riunito un ampio gruppo interdisciplinare all’interno di Eurac Research, abbiamo interpellato vari enti pubblici e privati e singoli esperti, e abbiamo lavorato intensamente per quasi due anni, supportati con creatività dal team di comunicazione”, sottolinea l’antropologa Johanna Mitterhofer, project manager. I contributi sono ad ampio spettro: dal management della diversità linguistica, culturale e religiosa al mercato del lavoro, passando per la scuola e la politica, con varie digressioni per esempio su edilizia abitativa, esperienze dell’ospedale di Bolzano e cause legali per discriminazione.
“Con questo rapporto - conclude Stephan Ortner, direttore di Eurac - vogliamo ancora una volta contribuire concretamente alla costruzione del futuro del nostro territorio, mettendo a disposizione analisi e raccomandazioni a decisori politici, amministratori pubblici, soggetti privati e operatori del terzo settore che sono chiamati a gestire i flussi migratori”.