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Società | Maltrattamenti

Tirare a campare

Alla base di molte tragedie c'è (anche) la contrazione dell'idea di futuro generata da luoghi o ambienti che ne soffocano il respiro.

La settimana appena trascorsa ha messo in evidenza un tema sul quale si tende a non riflettere abbastanza: il potere che hanno o possono avere i luoghi nel determinare certi nostri atteggiamenti. Prendiamo per esempio la galera, in cui ha passato diversi mesi (entrava e usciva, raccontano i giornali) quel tizio – Cherif Chekatt – responsabile dell'uccisione di 4 persone, tra le quali il reporter trentino Antonio Megalizzi, e del ferimento di altre undici. Della galera, del carcere, tutti hanno un'immagine più o meno brutta, è chiaro. Adriano Sofri (che qualcuno pensa sia latitante in Brasile) ci ha scritto sopra un libro (Le prigioni degli altri, Sellerio) dal quale estraggo questa scenetta: “Il ragazzo derelitto dell'anno supplementare è nella mia sezione, ed è sempre appostato al mio passaggio. Come va?, gli dico. «Tiriamo a campar» risponde «L'è l'ünica». Qualche volta è lui a chiedermi: «Come stai?», e io, per variare: «Tiriamo a campare». «L'è l'ünica», acconsente lui”. In un luogo nel quale si deve considerare il “tirare a campare” il massimo consentito, che fine può fare allora il futuro di quelle persone? È un miracolo se riescono a conservarne almeno un'ipotesi senza svenderlo, quel futuro, alla prima pessima idea che passa (eccola lì, la “radicalizzazione”), così rovinandolo e perdendolo definitivamente.

Esistono contenitori che sembrano davvero fatti apposta per generare comportamenti decerebrati

Ma cambiamo posto e morti. Vicino ad Ancona, in una discoteca chiamata “Lanterna azzurra Clubbing”, hanno perso la vita cinque ragazzi e una donna in seguito ad una reazione collettiva di panico causata dall'uso di spray urticante. Erano convenuti lì assieme ad altri per assistere ad un concerto di un tizio (Sfera Ebbasta, il suo nome d'arte) sul quale quelli come me, ormai a digiuno di nuove mode e tendenze, hanno dovuto poi informarsi per capire chi fosse. Paradossalmente, il dialogo avvenuto in carcere avrebbe potuto essere ascoltato anche in quella discoteca, cinque minuti prima della tragedia. Basta cambiare un po' accenti e facce (ma neppure troppo): Come va? Boh, tiriamo a campare. Certo, che una discoteca strozzi il futuro della gente come fa una prigione non è immediatamente intuitivo. Sembra un paragone tirato per i capelli. Non c'è infatti nessun potere violento o coercitivo che obbliga qualcuno a usare dello spray urticante quando manca lo spazio per muoversi, quando è probabilissimo che la reazione provocherà dei danni. Le disgrazie possono accadere dovunque, anche quando le condizioni non sono così favorevoli. Esistono tuttavia contenitori che sembrano davvero fatti apposta per generare comportamenti decerebrati, i quali a loro volta evocano successivi disastri (personali e collettivi). Non è una catena causale ferrea, tutt'altro, ma non è neppure molto sorprendente che alla fine accada ciò che non vorremmo accadesse. Esistesse un'intelligenza comune in grado di riflettere seriamente su un tale aspetto, forse potremmo smettere di “tirare a campare”, cioè smettere di vedere nel “tirare a campare” l'unico orizzonte di senso possibile, e cominciare a perseguire un'esistenza più degna. Ah, lo so che non accadrà. In fin dei conti tutti tiriamo un po' a campare in luoghi resi orrendi dalla nostra incapacità di notare quanto sono orrendi.