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Preoccupazione o speranza?

Incontro con l’artista milanese Riccardo Previdi ad Ar/ge Kunst di Bolzano, all’insegna di un Abc filosofico-artistico a cura di Frida Carazzato
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Foto: Foto: Salto.bz

Saletta affollata nella galleria Ar/ge Kunst per l’incontro con Riccardo Previdi nell’ambito del ciclo La mia scuola di architettura a cura di Emanuele Guidi, direttore artistico sin dal 2013, ispirato a un’idea di Gianni Pettena. L’artista e “anarchitetto”, nato e cresciuto a Bolzano, aveva concepito una serie di fotografie in cui troneggiano le montagne attorno al capoluogo della provincia che lui definì come la sua scuola di architettura, appunto. Per un momento di riflessione giocosa. Guidi vi ha preso spunto per avviare a sua volta una riflessione “sui possibili formati di produzione e trasmissione di conoscenza, così da espandere l’idea stessa di educazione e scuola” – come leggiamo sul sito - essendosi la galleria sin dal nome che deriva dall’abbreviazione di Arbeitsgemeinschaft (comunità di lavoro) e dalla sua fondazione nel 1985 negli spazi di via Museo 29, dove tuttora ha sede, posta l’obiettivo di “promuovere un’idea di lavoro collettivo intorno ai linguaggi dell’arte contemporanea e alla loro relazione con discipline quali l’architettura, il design, le arti performative e il cinema”.

La serata con Riccardo Previdi era la “lezione” numero 8 e correva sotto il titolo Elementi per una pratica in dialogo con Frida Carazzato, l’assistente curatoriale del Museion (suoi i progetti presso il Cubo Garruti, il Project Room e le proiezioni multimediali sulla facciata dell’edificio). E qui c’è il primo elemento di intreccio tra le due realtà che ruotano attorno all’arte contemporanea a Bolzano, visto che dello stesso Gianni Pettena si era visto per l’intero inverno l’albero di Natale costruito con parti di automobili dismesse proprio davanti all’entrata del museo cittadino. Ce ne saranno altri.

Prima di iniziare, due parole sull’artista: classe 1974, è originario di Milano e ha vissuto dal 2001 fino al 2016 a Berlino, dopo gli studi di arte all’Accademia di Brera e di architettura al Politecnico di Milano. Ora vive e lavora tra Merano e Milano. Accanto alle numerose mostre collettive (Milano, Bologna, Londra, Berlino, Basilea, ecc.) ha all’attivo anche parecchie personali, a partire dal 2001. Tra queste citiamo le più recenti: Open alla Triennale di Milano (curata da Ilaria Bonacossa) nel 2015 e What Next? al Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova curata dalla già nominata Frida Carazzato nel 2017. A queste due si rifa il volume uscito all’inizio del 2018 What Next (edito da YIaWAB – Yes I am Writing A Book) in concomitanza del finissage della mostra nella galleria di Francesca Minini Fun With Flags a Milano, di cui si è anche parlato.

Nel corso della serata Riccardo Previdi ha spaziato nella sua arte e nel suo pensiero grazie a un glossario di termini suggeriti in ordine alfabetico dalla curatrice Carazzato, termini chiave per farlo parlare delle sue intriganti riflessioni filosofiche attorno alle arti, alle nuove e meno nuove tecnologie, la fotografia, l’architettura e internet. Previdi l’ha fatto con l’aiuto di immagini delle sue opere proiettate sul muro catturando l’attenzione totale delle persone presenti in sala, tra cui tanti giovani studenti della sezione arte del corso di Design presso l’università di Bolzano. La prima lettera A ovviamente ha introdotto il tema dell’Architettura, la seconda B ha fornito l’opportunità di parlare del volume succitato nel senso di Book che sta per libro: bilingue, italiano e inglese, offre una panoramica dell’arte e delle riflessioni artistico-filosofiche di Riccardo Previdi, grazie a una conversazione con Ilaria Bonacossa, un saggio critico di Carazzato e un altro a firma di Luca Cerizza, dove tutti e tre erano (e sono) suoi curatori per varie mostre e installazioni in giro per l’Italia e per l’Europa. Un folto inserto di immagini completa meravigliosamente il volume affinché chi lo prende tra le mani si possa fare subito un’idea di cosa si sta parlando, un raro esempio di un catalogo ben fatto che dura a nel tempo. Non da ultimo, complice la grafica a cura di Massimiliano Mariz. 

L’Abc della serata è continuato con le lettere C per Canvas (termine inglese per “tela” per cui Previdi ci ha raccontato delle sue sperimentazioni con fotografie accartocciate per tematizzare la superficie limitata del quadro) e D per Display/Device intendendo entrambi come piattaforme di altro, ossia nel caso del display lui si fa amplificatore di lavori di altri e nel caso di device intende i vari dispositivi che oggi abbiamo disponibili come forme di display per contenuti spesso obsoleti per cui essi sono andati di fatto svuotandosi. Qui Previdi si concentra sul mezzo, ma non nel senso di Marshall McLuhan, lo studioso canadese, il cui concetto di “il mezzo è il messaggio” aveva influenzato carismaticamente un’intera generazione negli anni settanta del Novecento, quanto nel senso di “il mezzo è l’unica cosa rimasta”...

La E sta per Errore, inteso come prodotto finale di un altro procedimento artistico che sta nell’accartocciare fogli di carta stampati con i codici grafici di un test iniziale di una stampante, azione che compromette la chiara lettura di questi codici, per cui i fogli accartocciati una volta rifotografati producevano nettamente dei Wrong Test, ossia “test sbagliati”. H come hazard per indicare la casualità, il non ordine, per cui ci può sempre essere un non controllo di ciò che accade, non solo nella pratica artistica, mentre la I ci porta a Internet, la rete virtuale che Previdi intende come un grande archivio di materiale, che lui usa parecchio per elaborare immagini scaricate, ad esempio dal sito della Nasa, in modo accattivante stravolgendone non poche volte il senso. Questo archivio molto ricco permette di osservare il contenuto ma non sempre ne rimane traccia, un dato di fatto che conduce il nostro artista a riflettere sulla dispersione delle fonti, sulla volatilità delle informazioni, per cui internet non ha nulla in comune con una enciclopedia cartacea dalle fonti dichiarate come ad esempio la Treccani. L come Layer indica la tecnica della stratificazione, usata spesso per mostrare aspetti diversi di una serie di elementi al fine di far trarre le conclusioni a colui che guarda e non di imporre una visione-opinione unica. Opera aperta, l’avrebbe definita Umberto Eco. O come Outside, ossia “all’esterno”, come l’opera Open, una scritta al neon che troneggiava sul tetto di Villa Croce o come l’opera intitolata Volksbühne esposta nel 2004 al vecchio Museion (smantellato per far spazio all’edificio della Lub) che consisteva in un palco mobile montato su un furgoncino Fiat che si poteva ripiegare su se stesso, sul quale per l’inaugurazione suonava un gruppo, e in seguito l’opera girava per altri luoghi d’arte fra Trento e Karlsruhe invitando il pubblico a uscire fuori dai musei. E la musica porta dritta alla lettera successiva R che sta per Ritmo e Rituale: il tempo scandito dalla ritmicità e il rituale che caratterizza le sue performance al pari di un rito arcaico, come ad esempio Cocoon, in cui lo stesso artista si era fatto ricoprire da un gruppo di persone con materiali di imballaggio, chiusi con lo scotch, fino a sembrare un bozzolo per poi esporre i resti in una stanza.

Ed eccoci arrivati alle ultime due lettere: T come Titolo che si riaggancia un po’ alla ritmicità in quanto i suoi titoli delle opere sono spesso ricorrenti, come Test e Tatami, aprendo però alla serialità, nel senso di un approccio pseudo-scientifico dove viene sì ripetuta la stessa cosa, ma solo apparentemente, però, visto che si tratta di momenti diversi in luoghi diversi che generano opere diverse; e Z come Zoom puntato per focalizzare il progresso tecnologico in un accostamento dell’infinitesimale piccolo all’infinitesimale grande, ossia i puntini di un ingrandimento fino al limite massimo di un capello scansionato e la foto scattata da Hubble nel 2010 del punto più lontano visibile nell’universo intitolata Deep Space. “Mi piaceva interrogare il limite della tecnologia, e porre lo spettatore nella parentesi tra questi due opposti che ci vengono attualmente offerti nella visione onde far riflettere tutti attorno al quesito che mi sono posto”, ci specifica Previdi alla fine della serata. E ci piace terminare questo scritto con il passaggio finale della intervista contenuta nel libro presentato che conduce oltre la sola riflessione creando un corto-circuito tra visione critica e curiosità creativa, le due qualità che contrassegnano l’intero lavoro di Riccardo Previdi: “Per il momento l’attenzione è ancora catturata dal senso di urgenza e di meraviglia che la tecnologia è capace di suscitare. Sicuramente le information technologies diventeranno sempre più sofisticate e invasive, ma spero che anche noi matureremo comportamenti che, almeno in parte, ci tuteleranno. Chiedere a Franca (sua figlia, ndr) che ha quattro anni di scrivere al mio posto What Next? significava condividere con lei il senso di questa domanda. Diluire la mia preoccupazione con la sua speranza.”