Books | Tra gli scaffali

Girasoli e betulle

Il racconto di un superstite bolzanino che fu tra i soldati scagliati dalla sciagurata furia bellicista di Benito Mussolini ad aggredire il colosso sovietico.
ritirata Russia
Foto: Wikipedia

Quella della memorialistica è una branca della ricerca storica per lungo tempo considerata minore o addirittura ignorata. Si riteneva, assolutamente a torto, che i ricordi personali di chi aveva vissuto un determinato periodo e si era trovato coinvolto in determinati avvenimenti, rispecchiassero una visione troppo soggettiva per poter contribuire a delineare un quadro preciso di quei momenti e di quei fatti.

Negli ultimi decenni si è fatta strada una concezione assai diversa, quasi opposta potremmo dire. La raccolta delle memorie personali, anche e soprattutto di quelle che non vengono dalla penna dei grandi protagonisti, dei generali, degli uomini politici, degli intellettuali di grido, è divenuta una componente imprescindibile dal racconto storico.

Un esempio per tutti. A Rovereto è nata e si è sviluppata, anche sotto l’impulso di ricercatori come Quinto Antonelli, un’ampia ricerca sulle memorie familiari dei trentini, espulsi verso un difficile confino negli anni della prima guerra mondiale. Una fase storica poco conosciuta è tornata alla luce proprio grazie ad un paziente lavoro di recupero di antiche carte, di memorie familiari tramandate di generazione in generazione, di immagini, destinate altrimenti ad andare perdute.

Il libro di cui parliamo si iscrive pienamente in questo filone. “In mezzo ai girasoli e sotto le betulle”, di Corrado Palmarin (Impressionigrafiche Editore) raccoglie le memorie di un reduce dalla tragica campagna di Russia. Umberto Montini, personaggio noto a Bolzano, era uno dei giovani scagliati dalla sciagurata furia bellicista di Benito Mussolini, ad aggredire il colosso sovietico. La parte centrale del suo racconto, come del resto avviene per altri libri che narrano le stesse vicende, è quella che comincia con la grande offensiva sovietica nel dicembre 1942, con le linee italiane e tedesche frantumate, con la tragica ritirata. Umberto Montini fu tra coloro che finirono prigionieri e, tra questi, uno dei pochi a poter ritornare. La maggior parte morirono di stenti, di malattia, di denutrizione nel corso dei trasferimenti o nei campi di prigionia.

Riconosco - scrive in una delle ultime pagine del suo manoscritto - di avere avuta molta fortuna, ma non mi sento una vittima, le vittime sono i miei cari compagni d’arme, che sono rimasti di e i loro familiari che, a distanza di cinquant’anni ancora sperano di rivederli”.

La fortuna, per Montini, ha il volto dell’infermiera e della dottoressa che, tra gli altri, lo aiutarono a sopravvivere durante i ricoveri in un ospedale al quale molti altri prigionieri non uscirono vivi. A sopravvivere e a tornare a casa. Molti tra i superstiti hanno cancellato dalla loro mente e dalle loro parole l’esperienza vissuta. Altri come Montini l’hanno ripercorsa ed hanno cercato per anni di riallacciare i rapporti con chi gli aveva aiutati in quei momenti drammatici.

Il libro racconta questa storia e il modo romanzesco con cui essa si è conclusa.

A raccogliere e riordinare questo flusso di memoria un altro bolzanino, Corrado Palmarin, al quale Umberto Montini ha affidato le sue carte e che, con un lavoro durato oltre tre anni, ne ha tratto un volume che ora entra di diritto a far parte di quella memoria che non deve scomparire con i protagonisti di un’epoca tragica.

Se nei duri momenti di guerra - scrive Montini nell’ultima pagina delle sue memorie -, di tutte le guerre, si è desiderata con disperazione la pace, in nessun caso, in modo assoluto, si deve desiderare la guerra”.