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Al bar per una lezione di umanità

Intervista con una barista speciale. Perché un caffè e un sorriso a volte possono salvare una vita.
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Foto: M.Deola

Sono le 9.30 del mattino, ora di punta al bar dell’ospedale di Bolzano e la tensione è tangibile: gente digiuna perché ha appena finito i prelievi per le analisi, medici e infermieri che hanno iniziato il turno molto presto e fanno finalmente una pausa, pazienti ricoverati che scendono al bar in cerca di un po’ di evasione. 

La situazione è simile ai giorni intorno a ferragosto negli autogrill: un grande grappolo di persone assedia prima la cassa e poi forma un gregge impaziente davanti al bancone. C’è molto rumore, il macinacaffè e la macchina dell’espresso ronzano a ritmo alternato e il loro chiasso si mescola al tintinnio delle tazzine. Man mano che ci avviciniamo al bancone mi preparo interiormente a ricevere un trattamento stressato e sbrigativo, stretta fra i gomiti degli altri clienti. E invece una voce particolarmente squillante e gentile mi chiede: “Buongiorno signora, cosa posso prepararle?” Rimango così sorpresa da questo tono di voce che guardo istintivamente il nome sul cartellino della divisa: “Marina Deola”. Alzo lo sguardo e incontro due occhi azzurri e solari, incorniciati da una ciocca di capelli bianchi che sbuca sotto la visierina grigia della divisa da lavoro. La signora Marina mi guarda dritta negli occhi e con un sorriso disarmante mi chiede nuovamente cosa prendo. Più tardi scoprirò che questo suo sorriso ha contribuito a salvare una vita. 

 

 

Dopo aver preso il caffè rimango lì a osservare la scena: si apre un sipario e quel bancone diventa il palco di uno spettacolo a sorpresa. Prima che la gente arriva al bancone c’è nervosismo e confusione, ma quando raggiungono la signora Marina la situazione si distende. Il suo buon umore, che sembra stonare con l’ambiente circostante, trasforma visibilmente anche le persone con cui interagisce.

Sono tanti i clienti, una decina appoggiata lungo il bancone, dietro di loro altre tre file da dieci in attesa del loro turno. Marina pattuglia avanti e indietro lungo il bancone, prende le ordinazioni e le passa a voce alta alle due colleghe davanti alle macchine del caffè. “Uno liscio, tre macchiati freddi e uno caldo, un cappuccio senza lattosio e un ginseng!” Nell’attesa rassicura con qualche parola gentile gli altri clienti che ancora non hanno ordinato, pattuglia ancora con passo veloce, sgombra il bancone. Man mano che le colleghe preparano le ordinazioni, Marina porta a colpo sicuro a ognuno esattamente ciò che ha ordinato; in venti minuti non ne sbaglia uno e non ha mai bisogno di chiedere di chi era il macchiato freddo.
Il tutto sempre sorridente, senza un minimo segno di stress. Anzi, sembra appagata e a suo agio. È nel suo elemento, come un’agonista che ama lo sforzo che fa. 

Decido di tornare in un momento più tranquillo per scoprire qual è il segreto di tanta serenità:

salto.bz: Signora Marina, l’ho vista durante l’ora di punta, davanti al bancone c’erano almeno quaranta persone e lei non ha mai sbagliato un’ordinazione. Come fa, usa delle tecniche di mnemonica?

Marina Deola: No, non ho una tecnica, solo tanta passione per ciò che faccio. Penso che qualsiasi cosa, anche il lavoro più semplice, va fatto con attenzione e passione. Questo incide sul modo di approcciarsi alle persone: guardo negli occhi chi ho davanti, fotografo il suo viso e così la sua ordinazione diventa una cosa personale. 

Non ho una tecnica, solo tanta passione per ciò che faccio. Penso che qualsiasi cosa, anche il lavoro più semplice, va fatto con attenzione e passione

Nonostante la situazione di stress, lei è rimasta gentile, calma, sorridente.

A volte basta un sorriso per trasformare una situazione stressante in un incontro piacevole per tutti. Dopotutto qui siamo nel bar di un ospedale, la gente non è in vacanza. Io vengo da un percorso di malattia, niente di grave, ma ho imparato che in queste situazioni si ha bisogno di sorrisi. 

Da quanti anni fa questo lavoro?

Ormai sono 41 anni che faccio questo lavoro, sempre al bar dell’ospedale. Ho iniziato giovanissima, ancora al vecchio ospedale. Avevo iniziato le magistrali a Rovereto, ma poi a 15 anni ho dovuto lavorare perché mio padre si è ammalato e c’era bisogno che dessi una mano. 

A volte basta un sorriso per trasformare una situazione stressante in un incontro piacevole per tutti. Dopotutto qui siamo nel bar di un ospedale, la gente non è in vacanza

 

 

Ma quindi come fa, associa un viso all’ordinazione?

Sì, io fotografo tutto già quando i clienti arrivano da lontano, registro mentalmente tutta la sala. Abbiamo una parte di clientela giornaliera, abituale, di cui so già cosa prendono. Li vedo da lontano e già preparo quello che prendono abitualmente. Poi abbiamo una clientela di degenti, che vengono per un certo periodo e allora anche in quel caso so cosa prendono. Ai pazienti in degenza fa ancora più piacere essere riconosciuti e sentirsi dire: „Io mi ricordo che Lei prende il caffè macchiato freddo, vero?“ Così si sentono benvenuti in un contesto che non è piacevole, non sono mica qui in albergo, sono ricoverati in ospedale. E poi ci sono i clienti di passaggio, di cui non so cosa prendono e devo associare l’ordine a un viso completamente nuovo. Comunque se riesco a lavorare bene è anche per merito dei miei colleghi: siamo un’ottima squadra in cui tutti si impegnano e ognuno fa la sua parte.

I pazienti in degenza che vengono a prendere il caffè vengono anche per un po’ di compagnia, per scambiare due parole.

Sì, ci sono sempre situazioni in cui ci vuole una particolare sensibilità e accoglienza. Per esempio, un giorno è venuto un signore che aveva problemi di vista e ha rovesciato il caffè che aveva ordinato. Era imbarazzato ed è scappato via. Gli sono corsa dietro, l’ho riportato al bancone e gli abbiamo preparato un altro caffè. Dopo l’operazione agli occhi è venuto da me con il figlio e mi ha detto: „Signora, non sa che bel regalo mi ha fatto ad accogliermi così quel giorno.“
Oppure qualche anno fa, durante le feste natalizie c’era un paziente molto depresso che mi ha confessato che voleva farla finita. Allora sono uscita da dietro il bancone, l’ho portato in un angolo e gli ho detto: „Lei mi abbracci forte, il più forte che può!“ Qualche giorno dopo mi ha detto: „Lei non sa il bene che mi ha fatto con quell’abbraccio. Quell’abbraccio mi ha salvato la vita!“ (Le vengono gli occhi lucidi, ndr)

La mia energia? Io amo quello che faccio, mi piace interagire con la gente. E nel tempo libero apprezzo la corsa e l’affetto dei miei cari, in cui rientrano anche gli animali

Da dove viene tutta questa energia positiva? 

Sono fatta così, mi sveglio tutti i giorni alle 4.30 e mi spengo solo a sera tardi, per la disperazione di mio marito (ride). Comunque io amo quello che faccio. È un lavoro semplice, ma mi piace interagire con la gente. Nel pomeriggio quando stacco dal lavoro faccio 20 chilometri di corsa. Credo che anche questo sia un po’ il segreto della mia energia positiva. La corsa e l’affetto dei miei cari, in cui rientrano anche gli animali: ho due cani, tre gatti, un canarino e una colonia di ricci in giardino.

 

 

Ha sempre praticato la corsa?

No, ho iniziato negli ultimi anni. Ho avuto un intervento importante, a cui ne sono seguiti 5 o 6 altri. In quel periodo ho conosciuto queste persone che correvano e ho voluto provare. Quando tutti mi dicevano che non potevo, che avrei dovuto stare a riposo, ho iniziato. L’ultimo intervento è stato un anno e mezzo fa. Mi avevano detto di stare ferma per due mesi, per via del grande taglio sull’addome. Però la passione per la corsa è stata più forte e allora dopo un mese mi sono fatta fare una panciera rigida per sostenermi mentre correvo. Sono arrivata su all’Eberle di corsa e in cima ho pianto per la felicità. Quando l’ho detto al medico mi ha detto che ero matta. Ma gli ho risposto: „Se muoio, almeno muoio felice!“. E dopo un anno di allenamento ho fatto la maratona di Roma, sono 42 chilometri ed è stata una bella soddisfazione.

In 40 anni i clienti sono cambiati, non si guardano più negli occhi, fissano il telefonino, a volte non salutano neanche. Ma anche qui, in ospedale, a volte si riesce a incontrare l’altro con un sorriso

E i clienti, come sono cambiati negli ultimi 40 anni?

Tantissimo. Le persone oggi hanno un approccio diverso: non si guardano più negli occhi, fissano il telefonino e non registrano cosa succede intorno o chi hanno di fronte. A volte non salutano neanche, né all’arrivo, né quando vanno via. Allora in maniera gentile glielo faccio notare, perché secondo me è importante percepire l’altro. Io uso pochissimo il cellulare, perché mi distrae troppo da tutta la realtà che c’è da vedere. Però bisogna anche pensare che il cliente in questo bar non viene per piacere. Se è in ospedale, vuol dire che è qui per qualche accertamento o per fare visita a qualcuno che sta male. Questo non è un bar normale, c’è una tensione molto diversa ed è comprensibile che possano capitare clienti più nervosi. Sono convinta che dobbiamo sempre tener presente il contesto in cui agiamo e che nei confronti di tutti ci vuole empatia e consapevolezza. Allora si riesce a incontrare l’altro con un sorriso.