Cultura | L'intervista

“La cultura oggi? Come un Frankenstein”

Giorgio Camuffo e Gerda Videsott dell’unibz sul ruolo del design nella formazione, l’educazione nei musei, gli “incroci” di conoscenze e i nuovi modi di intendere l’arte.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Educazione
Foto: Unsplash

L’argomento è stato al centro di un recente convegno (organizzato dalla Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano in collaborazione con il settore educational del Mart di Rovereto) attraverso “Esperienze e visioni” geograficamente trasversali, portate dal Trentino-Alto Adige e non solo: che funzione hanno e possono avere in futuro i musei e il design nell’ambito dell’educazione e della formazione? Ne abbiamo parlato con il professor Giorgio Camuffo e la ricercatrice Gerda Videsott dell’unibz.


Quali spunti sono emersi dal convegno dello scorso 22 ottobre?

Siamo partiti da qui: come si possono costruire interventi educativi e didattici attraverso il design. Pensiamo che in questo momento i musei possano essere, in tal senso, dei luoghi di sperimentazione dove peraltro già si stanno testando nuovi modi di fare didattica, un diverso rapporto con l’oggetto artistico, e alcune pratiche interessanti che coinvolgono non solo gli insegnanti, come accade nelle scuole istituzionali, ma anche altre figure che provengono dal mondo dell’arte e della scienza. Il risultato è l’incontro, prezioso, di conoscenze diverse.

Qualche esperienza che vi ha colpito più di altre nel corso dell’evento?

Potremmo citarle tutte, in verità. È stata un’occasione di confronto con le varie realtà museali, dal Mart al Museion al Muse con il suo rapporto con la scienza, interessante soprattutto nell’ottica in cui sarà fondamentale educarci ed educare i nostri figli sui grandi temi del futuro che vedranno la scienza, appunto, protagonista. Partendo dalla pandemia, passando per il cambiamento climatico, e il cibo che è largamente responsabile della produzione di CO2 (le emissioni di gas serra prodotte complessivamente dal “sistema cibo” sono il 37% del totale). Ecco, spiegare ad esempio ai ragazzi cosa significa alimentarsi o coltivare in una determinata maniera può essere molto formativo.
Ci siamo soffermati sulla necessità di capire come e a chi comunicare questi grandi temi, quali strumenti usare e, per quanto ci riguarda, su che ruolo può avere il design in questo campo.
Fra le altre cose nel corso del convegno è stato illustrato l’esempio del museo Tattile Omero di Ancona dove i visitatori sono abilitati e anche invitati a conoscere l’arte toccando in senso letterale alcune riproduzioni di opere originali e altre opere fatte apposta dagli artisti per essere fruite attraverso il tatto. In questo caso siamo di fronte a un’esperienza con il corpo diversa, a un altro modo di sentire l’arte all’interno del museo. I visitatori dormono o fanno un picnic davanti a un’opera d’arte, si organizzano degli incontri davanti ad essa e si innescano discussioni, insomma il museo diventa anche un luogo di apprendimento e un’occasione per esplorare tematiche differenti da quelle del museo stesso.

La cultura, oggi, è sempre più una sorta di Frankenstein, è fatta di tante piccole cose, di “pezzi” presi da campi differenti

In termini di sperimentazione e innovazione qual è lo stato dell’arte dei contesti museali in Trentino-Alto Adige?

Crediamo che il terreno sia fertile. Ci sono ad esempio molte aspettative intorno al direttore del Museion di Bolzano, Bart van der Heide, che è molto interessato ai nuovi “incroci” nei musei, ai confronti, pur mantenendo le specificità della disciplina.
La cultura, oggi, è sempre più una sorta di Frankenstein, è fatta di tante piccole cose, di “pezzi” presi da campi differenti. O perlomeno il design, che è la nostra area di competenza, è sempre di più così, parte dall’oggetto per poi sondare altre direzioni fra cui quella dell’educazione e dei modi di educare.

E come può il design esercitare con maggiore consapevolezza la funzione educativa in futuro?

Il design è una disciplina in continua evoluzione, è difficile dire “il design è…” o “il design fa…”. Non è certamente solo il disegno degli oggetti ma molto altro, è trovare ad esempio il modo di comunicare quel disegno, anche ai bambini, e poi ha in sé l’idea stessa di connessione con le persone. Il design e i designer, del resto, sono diventati i protagonisti della scena della cultura contemporanea proprio per questa capacità di ibridarsi e parlare lingue differenti.

 

In tutto questo ha un ruolo considerevole anche il digitale. L’impossibilità di lavorare durante il picco della pandemia, con i musei (luoghi “fisici” per antonomasia) chiusi e l’assenza di pubblico, ha portato a sperimentare di più le opportunità offerte dal mondo tech così come, in scala, è successo nel mondo dell’istruzione.

Il digitale ci dà grande supporto, ma dobbiamo tenere a mente che è uno strumento, non deve essere il fine altrimenti si va fuori strada. La scuola è un luogo di incontro, in continuo cambiamento, e dove c’è bisogno di empatia, tutto diventa complicato se si è schermati da un video. La pandemia è stata un disastro anche dal punto di vista della formazione, specie, va da sé, per le discipline in cui la pratica è fondamentale. Come facciamo, per esempio, a far percepire agli studenti di design la piega di un foglio? Come facciamo a fare un disegno se non abbiamo la materia, se non sentiamo la matita che scorre sulla carta? A distanza tutto è filtrato, posto che l’approccio online non è da considerarsi negativo in toto, anzi.

E con il “fattore virtuale” ci sarà, a vostro avviso, un cambio di paradigma nella fruizione museale? Si cementeranno nuovi modi di vivere l’esperienza dell’arte?

Andremo incontro a grandi rivoluzioni tecnologiche, ci ritroveremo magari virtualmente dentro un museo potendolo “toccare”. Il rapporto tra empatia e tecnologia sarà determinante.

Quali sono, infine, le maggiori criticità del settore educativo?

La scuola dovrebbe essere più sperimentale, più aperta, accettare l’imprevisto, e come dice a ragione il designer Giovanni Anceschi deve essere “indisciplinata”, in senso caratteriale, essere fuori dalle discipline. L’intelligenza, del resto, è sempre indisciplinata e una scuola troppo burocratica e strutturata si limita. In un contesto del genere i più innovativi, i più curiosi, anche i più insicuri e i più imprecisi non trovano spazio. E non è un buon segnale.